QUANDO HODJA NON MISE LA TESTA A POSTO
Il tappeto
volante del Bulgistan, Ole Lund Kirkegaard
(trad. Maria Valeria
D'Avino)
Iperborea 2020
"'Io voglio
andare in giro a conoscere il mondo'. Papà Hodja scuoteva la testa.
'Che sciocchezze',
diceva. 'Chi ti ha messo tanti grilli in quella stupida testa. No,
figliolino, tu resterai qui a Pjort e diventerai un sarto. Allora sì
che sarai in una botte di ferro'. 'Io non voglio finire in nessuna
botte!' protestò Hodja. 'No, no ridacchiò divertito il vecchio
Hodja, strofinandosi uno dei suoi occhi storti. Volevo dire che avrai
una bella casetta, un giardino con la fontana e... eh eh, forse anche
una bella mogliettina, che ne pensi?'"
Spesso, e a latitudini
diverse, tra padri e figli non c'è comunanza di obiettivi.
E così capita che
anche in questo villaggetto del lontano Bulgistan, Pjort, tra i due
Hodja non ci sia intesa.
Il vecchio sarto Hodja,
strabico e un po' indolente, come la maggioranza degli abitanti del
villaggio, non asseconda il desiderio del piccolo Hodja che, pur di
non andare a scuola, si è messo in testa di voler vedere un po' di
mondo. Tutti i grandi a cui lo chiede lo prendono in giro e nessuno è
disposto ad aiutarlo nell'impresa.
Tutti, tranne il
vecchissimo el-Faza. Forse perché ha gli occhi diversi da tutti gli
altri, questo tessitore di tappeti è l'unico che asseconda il
desiderio di questo bambinetto curioso, offrendogli in prestito un
tappeto di un bel rosso fiammeggiante, che può volare.
A cavallo del tappeto,
a parte una prima partenza rocambolesca, Hodja spicca il volo e
finalmente vede un po' di mondo. Da solo.
Attraversa il cielo del
suo villaggio abitato da uomini in babbucce, grandi bevitori di
acquavite e donne vestite di nero e con il velo in testa, vola sui
terrazzi dove spesso la notte le persone si sdraiano per vedere le
stelle e addormentarsi con il profumo di zagara nelle narici, ma si
spinge anche più in là. Arriva nella grande città di Naga dove le
strade brulicano di gente e il grande palazzo del sultano svetta.
La grande città però
si rivela pericolosa e il piccolo Hodja ne passa di cotte e di crude.
Nonostante ladri, imbroglioni, potenti, guardie con le lance e
carcerieri grami cerchino di fargli del male, con lui non ce la fanno
ad averla vinta: il mondo degli adulti fatto a pezzi dall'inventiva
di un ragazzino.
La banda dei bambini di
Ole Lund Kirkegaard è roba forte.
Tutto è cominciato in
Danimarca nel 1967 con il piccolo Virgil, poi a regolare cadenza
annuale, sono nati dalla sua penna Albert, Jakob e co. in Orla
Mangiarane, Hodja, poi Topper e co. in Otto, Ivan Olsen, il Tarzan di
Gomma e tra quelli postumi Tippe con il suo cappello a punta.
Bambini speciali che in
Italia hanno già avuto una loro veste editoriale, pubblicati da
Mursia tra gli anni Ottanta e Novanta, nella collana i Corticelli. E
ora, uno dopo l'altro, speriamo, stanno arrivando nel catalogo di
Iperborea con le nuove traduzioni di Maria Valeria D'Avino. E a colori!
In patria, la
Danimarca, sui suoi libri sono cresciute intere legioni di bambini e
bambine. Tradotti da subito in molte lingue, trasformati anche in
film di successo, i libri che raccontano le avventure di tutti loro
sono tenuti insieme da un Leitmotiv molto preciso che probabilmente
ne ha decretato il successo e l'entrata a tutto diritto tra i
classici della letteratura.
La costante è il fatto
che questi bambini incarnano l'esatto contrario del mondo degli
adulti. Sono agli antipodi.
Tutti loro infatti in
un modo o nell'altro si trovano a dover combattere una personale
battaglia contro la stupidità diffusa dei grandi che hanno intorno.
Lo abbiamo visto già con il Piccolo Virgil (e io personalmente ne ho
avuto contezza leggendo al principio della mia storia con i libri per
l'infanzia su un librino Mursia ora tutto scollato, l'esilarante Orla
Mangiarane, un bullo fatto e finito a cui due ragazzini svegli fanno
scherzi tremendi).
Lo constatiamo
nuovamente qui, seguendo il piccolo Hodja che vuole vedere il mondo,
invece di mettere la testa a posto.
Due sono i protagonisti
assoluti di questa storia. Da un lato c'è Hodja -un po' anche fratello di Alì Baba- con la sua tenacia,
capace di cavarsela, di realizzare i suoi sogni, con la sua
scaltrezza, abile e svelto a organizzare imbrogli per chi l'ha
imbrogliato.
Dall'altro, il contesto in cui agisce. La descrizione di
questo villaggio mediorientale, una buffa commistione tra mondo scandinavo e levantino (a partire dalla toponomastica), andrebbe apprezzata e meditata. Contesto che si
costruisce, innegabilmente sulla percezione del Medio Oriente da parte di un danese, attraverso il racconto dei dettagli e una ironica
descrizione delle abitudini locali: le babbucce, i narghilè,
il bianco delle case, i loro tetti piatti (quanto devono suonare
esotici in tutto il Nord Europa), le donne con il velo, il brulichio
del mercato e della grande città, la grassezza del sultano, il
cicaleccio delle sue 234 mogli, e la loro passione per i bambini, la
pigrizia diffusa, il grande caldo che mette sete... di acquavite.
In
tutto questo, l'elemento magico che spesso arriva nei libri di
Kirkegaard, è l'elemento simbolo per eccellenza di quel mondo: un
tappeto volante.
Puro divertimento sono
i suoi disegni a china. Con quella giusta percentuale di ironia
caricaturale che un bambino o una bambina riconoscono immediatamente
come affine.
Ecco. Ed è proprio
l'affinità che Kirkegaard dimostra di possedere nei confronti dei
più piccoli che rende la banda dei suoi bambini roba forte. Vissuto
in un piccolo centro della Danimarca, Kirkegaard per diversi anni ha
fatto il maestro. A questo osservatorio privilegiato un giorno però
ha voluto rinunciare per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.
Scelta che ha regalato ai suoi lettori tante buone storie, ma a lui
diversi rimpianti e qualche fragilità di troppo.
A soli trentotto anni è
caduto nella neve e non si è più rialzato.
Carla
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