Il teschio, Jon Klassen (trad. Greta Poli)
Zoolibri 2023
ILLUSTRATI
"Entrarono nella serra.
'Oh mi piace questa stanza' disse Otilla.
'Questa è la mia stanza preferita' disse il teschio.
'Puoi mangiare le pere?', chiese Otilla. 'Posso mangiare quelle che cadono per terra, ma non riesco a raggiungere quelle buone sui rami', disse il teschio.
'Te ne prenderò una', disse Otilla porgendogli una pera a cui lui diede un morso.
Il boccone gli passò tra i denti e cadde sul pavimento.
'Ah, deliziosa', disse il teschio.
'Grazie'."
Uno spunto che Klassen non si lascia sfuggire nella fiaba tirolese riscritta dalla Manning-Sanders è un sottilissima punta di ironia, quando il teschio chiede all'orfanella alla porta del suo castello di prenderlo con le mani perché le scale in salita non le può proprio fare.
Ecco la prima bolla: Klassen ne approfitta e comincia a espandere il gioco di entrare e uscire dalla finzione alla realtà, dalla magia di una fiaba all'esperienza quotidiana. Il teschio, nella sua testa (!), è l'anello di congiunzione perfetto tra due mondi dalle regole ben diverse. E così parte il Klassen che conosciamo: gioca, là dove si può giocare, prende i pensieri dei suoi lettori e li sposta un po' di qui e un po' di là.
Questo modo di raccontare fa di lui un 'onesto bugiardo' , così come lo sono tutti i più grandi artisti, letterati compresi. In questo senso risulta nodale ciò che disse Mac Barnett in una memorabile (almeno per me e per chi mi frequenta) TED Talk a proposito della definizione di arte, citando tra i tanti anche Picasso. Ma se Barnett, peraltro grande amico di Klassen, spiega con un diagramma di Venn che tra la realtà e la finzione esiste una zona condivisa che è la creazione artistica e quindi decide nei suoi libri di far irrompere la finzione nella realtà, Klassen qui fa l'esatto inverso. Nella fiaba inserisce la vera verità: se nella fiaba un teschio addenta una pera, nella realtà perderà inevitabilmente la polpa dalla mascella... e lo stesso accadrà con il tè (al contrario del teschio tirolese che il pancake se lo sbafa senza fare briciole).
E ancora: il teschio klasseniano invecchia e ne è consapevole, il teschio klasseniano dorme stando con le orbite spalancate, il teschio klasseniano ha moti assolutamente umani: adora ballare e balla. Il teschio Klasseniano colleziona maschere tirolesi. Il teschio klasseniano dice bugie per galanteria ed è pronto a cambiare idea per far piacere a un'amica...
Ecco qui entra in gioco l'altra grande differenza con la fiaba di partenza.
E per questo va considerata la seconda bolla di invenzione di Klassen.
La complessità delle relazioni interpersonali. Tutti ma proprio tutti i libri di cui è autore unico ruotano inevitabilmente intorno a i rapporti che tengono assieme le persone tra loro. Una varia gamma di legami interpersonali che ognuno di noi - dai bambini fino agli adulti - può facilmente riconoscere. Non c'è suo libro in cui - con ironia ma anche con grande onestà - non vengano fuori le fragilità o le nostre buone pratiche di comportamento. La cura, il rispetto, l'invidia, la vendetta, la gelosia, la menzogna: pesci ladri, granchi spia, lepri bugiarde, tartarughe redente e tartarughe in cerca di affetto, armadilli pazienti e accoglienti.
E qui? Un teschio ospitale e rispettoso e una ragazzina coraggiosa, generosa e misteriosa si fanno compagnia e condividono un pezzo di strada assieme. Lo spessore umano di entrambi i personaggi esce dunque dalla dimensione della fiaba e irrompe in quella che è la sfera emotiva.
Entrambi sono pieni di attenzioni reciproche: dal rincalzarsi le coperte, all'avvertimento del parapetto basso. Fino all'apoteosi del dialogo per invitarsi reciprocamente al ballo. In maschera.
Ovviamente, e questa è la quarta bolla di invenzione, essendo Klassen a concepire la storia, nessuna sbavatura è concessa: solo dialoghi serrati, da cui tutto questo si evince. Come vorrebbe la norma: tutto accade e nulla è "raccontato". Una lezione di cinema d'animazione che Klassen non ha mai dimenticato.
E a proposito di cinema, l'altra grande bolla di invenzione, la quinta, che si espande nella sua testa è il filo horror che la attraversa. Anche in questo ambito Klassen applica la regola aurea del far vedere o anche del far sentire.
Nella fiaba tirolese è lo scheletro il personaggio che di più segue una vena horror nel suo precipitare dal camino osso per osso per poi ricomporsi e girovagare per la cucina in cerca della parte mancante, il teschio. Ed è ancora lo scheletro a essere coprotagonista nell'immagine di Robin Jacques. Ma più che horror tutto questo ha del comico.
Klassen, invece, ci va giù piatto, sonorizzando molti aspetti narrativi. A partire dall'invocazione del nome Otilllaaaaaaa che echeggia più volte nella foresta, fino al silenzio che esce dal pozzo senza fondo con il torsolo di pera e con la cenere delle ossa che ci precipitano dentro.
Ecco il pozzo senza fondo. Nella bella casa del teschio, tra luminose serre e sale da ballo a vetrate, c'è una zona d'ombra, o per meglio dire, buia: una prigione con un pozzo senza fondo.
Questo oggetto, icona del mistero e dell'inquietudine, compare due volte: la prima è solo per attestarne la presenza, mentre dopo viene utilizzato per far sparire nel nulla e per sempre la cenere delle ossa cremate dello scheletro che perseguita il teschio.
Il fatto che sia Otilla, con tutta calma e preciso metodo, a celebrare il macabro rito la rende ancora più magnifica di sempre: ne sottolinea da un lato la luminosità per la sua generosità e coraggio nei confronti del teschio, e dall'altro ne mette in evidenza il lato scurissimo del suo essere. Lato scurissimo che mai scompare, in quel suo voler mantenere un alone di mistero intorno a sé.
Da dove arriva? Da cosa scappa?
E a proposito di scuro e chiaro, di luce e ombra (e di tagli prospettici dall'alto) non si può non notare quanta sapienza ci sia nelle immagini: Klassen, per chi lo segue da sempre, ha fatto molta strada in questo senso. Con la sua consueta palette di colori, lui con la luce ci gioca già da parecchio, ma il livello raggiunto qui è davvero altissimo. Meriterebbe una terza puntata, ma vi risparmio.
La tavola con la scala a chiocciola, ma soprattutto le due di teschio e bambina a letto dalla notte al mattino successivo sono illuminanti (!!).
Sono piuttosto sicura che con il suo amico e collega nonché conterraneo, maestro indiscusso della luce, il canadese Sydney Smith, delle cose in proposito se le siano dette. Le lame di luce che entrano dai finestroni... Si sono guardati reciprocamente.
E ancora, entrambi conoscono benissimo e amano il Canada, essendo canadesi: la neve e le tempeste di neve e quella luce radente che attraversa la nebbiolina che fanno i fiocchi fitti che cadono. Klassen dichiara che i boschi tirolesi lui li ha disegnati come quelli intorno a Niagara. Più consueti, per lui.
Gran finale, in leggerezza: il suo racconto, con una punta di civetteria, sulla camicia da notte con i fiorellini. Lei sta lì unicamente, così dice, a coprire parte del viso di Otilla, perché lui non sa disegnare le bocche che sorridono...
Ma rendere espressivo persino un teschio, beh, questo lo sa fare.
Carla
Noterella al margine: Klassen è diventato famoso nel mondo per come ha saputo giocare con lo sguardo dei suoi personaggi. Questi ultimi, di solito raffigurati come forme poco più che abbozzate, seppure sempre di grande efficacia, hanno tutti un grande impatto sui lettori per il loro sguardo 'parlante'. Come lui ci lavori, l'ho già detto, ma anche in questo ultimo libro Il teschio la sua enorme capacità nel produrre impercettibili sfumature negli ovali bianchi e nelle pupille nere che li abitano, atterrisce.
E con queste sottigliezze la gamma espressiva chiama dentro e diventa indimenticabile.
[Fine]
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