mercoledì 16 ottobre 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

QUANTA VITA IN UN CRAC! 


Spesso la vita, per come la percepiamo e per come la raccontiamo, può dare l’impressione di svolgersi come un unico e saldo filo continuo. Il fatto che il vivere accada giorno per giorno ci convince che un passo dopo l’altro si proceda su una linea senza strappi. È più o meno così che la si racconta anche ai bambini e alle bambine, come se l’idea di stabilità, di integrità garantisse maggior pace e serenità. L’idea stessa di ciò che si rompe, di qualcosa che si spezza, è più spesso percepita e tramandata (da questa parte del mondo) come negazione - fine- morte. Il racconto illustrato di Matteo Pompili, Lorenzo Monaco e Luogo Comune, ci induce a guardar bene… ché la vita fa CRAC! E ce lo racconta già la copertina squarciata da una crepa come un lampo che rompe il cielo percorrendola da piede a testa fino a spezzare il titolo: CR-AC. 


Come nei più originari racconti della creazione, gli autori scelgono di partire da un uovo: al 21° giorno fa CRAC ed ecco il pulcino. CRAC fa il sacco amniotico rompendosi. Fanno CRAC le stelle da cui nascono i pianeti e anche le superfici dei pianeti fanno CRAC dando vita a mari e montagne. Le forme di vita che si avvicendano sui pianeti fanno CRAC, alcune scompaiono e/o si trasformano in forme di vita diverse. 


Il mondo che conosci è tutto un masticare, uno spezzettare, un triturare, dentro e fuori di te. 


Così anche l’evoluzione degli animali umani e quella delle loro società sono raccontate attraverso i momenti di discontinuità: la storia di ciascun essere vivente, la storia del cielo, della terra, la storia delle società umane, la storia della scienza e della conoscenza è una sequenza di fratture. “Nel tuo mondo niente è tranquillo”. 


“Questo (libro, ndr) è stato concepito guardando un frutto ammuffito, un’arancia demolita lentamente da un fungo. Tanto è bastato per farci riflettere su degradazioni, fratture, scismi, scissioni. E idee scientifiche che hanno portato a degli strappi con il passato. Per riconoscere che tutte le cose alla fine si rompono: è inevitabile. Certo può essere triste e doloroso, nessun lombrico vorrebbe cedere al becco di un merlo. Ma è anche vero che senza distruggere non si può creare nulla di nuovo. È la verità del germoglio che spunta solo bucando il terreno, della musica che per esistere deve rompere il silenzio e dei nani che nelle fiabe trovano diamanti solo con la forza del piccone. Le cose rotte hanno un loro fascino: preannunciano nuove storie, lasciano spazio a una moltitudine di opportunità e possono promettere, perché no, mondi migliori.” Dunque un albo illustrato di divulgazione scientifica che dalla geologia passa all’antropologia, alla sociologia e infine all’attualità. I testi riescono a mantenere chiarezza pur esprimendosi con estrema sintesi, le illustrazioni sono accattivanti e ricche di dettagli. 
E una pagina finale ti culla beatamente in questo vortice di CRAC. 
Nelle ultime tre doppie pagine il linguaggio cambia per proporre una serie di approfondimenti chiari e concisi sui vari CRAC raccontati in precedenza. Si dà spazio alle nozioni scientifiche, a cenni storici, alle principali problematiche ambientali e a qualche domanda sul futuro. Nei risguardi di chiusura si trova anche una prima bibliografia e un QR code per accedere all’elenco completo delle fonti. Non è la prima volta che questi autori si cimentano con il racconto delle scienze naturali: Pompili e Monaco - entrambi fondatori di Tecnoscienza - hanno già lavorato insieme alla realizzazione di diversi titoli di divulgazione scientifica per Editoriale Scienza e molti altri editori; Luogo Comune, artista poliedrico (dai muri di molte città del mondo alla pagina illustrata), per Topipittori si era già impegnato con la raffigurazione divulgativa della natura nel bellissimo ‘Alfabeti naturali. Piccola guida della creatività dell’Universo’ dove aveva dato prova di abilità con i pennarelli a spirito. 
Il risultato di questa collaborazione può dirsi riuscito nel felice compito di aprire orizzonti di curiosità, stimolare connessioni tra le conoscenze e mettere in relazione la vita propria e quella dell’universo intero. 
Ma in tutta questa vita che si spezza e che continua notiamo subito una grande assente. 
La parola morte non appare mai (nessun lombrico vorrebbe cedere al becco di un merlo, per es.), le immagini raffigurano scheletri di animali estinti e un uccellino giace sul terreno visibilmente senza vita, ma nulla di più. 
Che sia una scelta evidentemente ponderata ce lo conferma, su esplicita domanda, Matteo Pompili: "La nostra intenzione era quella di arrivare anche al concetto di morte, ma senza forzature e con leggerezza. Quando dopo la lettura - a immagini sedimentate - gli insegnanti lavorano coi ragazzi sul libro però ci siamo accorti che emergono proprio questi aspetti: la perdita temporanea o duratura di adulti di riferimento e la volontà di farcela e di diventare autonomi nonostante quanto accaduto. Insomma, CRAC è anche un libro che suggerisce di accettare le perdite e di “danzare” nonostante esse." 
Dunque un racconto articolato capace di fare di una assenza una domanda, una possibilità di riflessione per i giovani lettori e le giovani lettrici, tra i sette e i dieci anni, e per chi con loro sa farsi interrogare da un bel libro. 

Patrizia 

“CRAC”, Matteo Pompili e  Lorenzo Monaco, ill. Luogo Comune, Camelozampa 2024 
 

lunedì 14 ottobre 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

"FARE" ARTE


Il libro si apre con una grande verità: “Quelli che non vogliono imitare qualcosa, non producono nulla.” E questo lo ha detto Salvador Dalì. 
Nella stessa introduzione Joséphine Seblon, che di formazione è una storica dell'arte, dopo aver sdoganato il fatto che imitare in campo artistico non sia reato, spiega quale sia stata la molla che le ha fatto venire questa bella idea che poi è diventata libro. E che con l'imitazione, ovviamente, ha molto a che fare. 
Due bambini piccoli da un lato, i suoi figli, e dall'altro la sua voglia di appassionarli a ciò che appassiona tanto anche lei: l'arte, o per meglio dire la storia dell'arte. Come la capisco... 


Il colpo da maestra sta nel fatto che lei sia stata capace di legare per bene il fare al conoscere. Nonostante ogni doppia pagina parta da una opera d'arte, ciò nonostante credo che è nella parte operativa che i ragazzini dai cinque anni troveranno il primo gancio di interesse. Per poi, una volta acchiappata la loro attenzione, portarli a conoscere opere d'arte delle epoca passate, quindi artisti moderni e infine contemporanei.


Come funziona il libro è subito molto chiaro (altro pregio dell'operazione). 
Due doppie pagine consecutive dedicate a singole opere d'arte, ordinate cronologicamente. Nella prima delle due c'è il punto di partenza, in verità di arrivo, dell'intero processo, ossia la creazione che diventa modello per fare qualcosa che sia a essa connessa. 
Sulla pagina di sinistra si parte con gli "stencil preistorici" e c'è l'immagine della celebre pittura rupestre di Pech-Merle in Francia: i due cavalli maculati, con il manto a macchie di leopardo, considerati uno dei più antichi esempi di espressione artistica, risalente al Neolitico, ossia 25.000 anni fa. Al di sotto della fotografia si leggono poche righe che sono breve informativa sulla storia di quell'opera, la tecnica usata e poco altro. Quindi segue un boxino che rivolge alcune domande ai lettori-osservatori (cosa vedi disegnato sul muro? vedi delle mani?) Già nella pagina accanto si vanno a fare cose: lista dei materiali occorrenti e poi, nella doppia pagina successiva, si impara a fare uno stencil, ossia una tecnica molto affine a quella usata dagli artisti preistorici. 
Le istruzioni sono ordinate secondo numerazione e per ogni opera d'arte principale richiesta ai bambini, ce n'è sempre una seconda - di riserva e riportata in un boxino dal titolo Prova anche questo! - nel caso funesto, con la prima qualcosa sia andato storto, oppure il desiderio di non smettere sia più forte di quello di finirla lì. E così il cerchio si chiude. 


Il senso di tutto è partito da un manufatto artistico e si chiude con un altro manufatto artistico, a suo modo. Lo schema è sempre lo stesso: per le pitture cinesi, per le vetrate delle cattedrali gotiche, per le maschere azteche e via andare. 
Due sono i principali grandi pregi di un libro concepito così. 
Il primo, lo abbiamo già in qualche modo anticipato: il dover essere operativi fin da subito. Conoscere attraverso il fare.
Pur dando la precedenza all'opera d'arte in sé che rappresenta, almeno in apparenza, la scintilla che accende tutto il resto. 
Il secondo è più sottile, ma con il primo ha molto a che fare. Mi sto riferendo alla scelta delle opere d'arte che ha fatto Joséphine Seblon. 
Una scelta originale, ma del tutto funzionale e propedeutica all'aspetto "laboratoriale" del libro. Ovviamente compaiono i giganti, da Pollock a Matisse, ma ci sono anche Anni Albers, artista del Bauhaus, o Barbara Hepworth (l'aspetto laboratoriale relativo alla sua scultura richiede la lavorazione di una saponetta che poi potrebbe lentamente dissolversi, lavaggio dopo lavaggio) o le istallazioni temporanee di Hélio Hoiticica o quelle di Christo e Jeanne-Claude sul lago di Iseo, fino ai pois di Yayoi Kusama. 


Questo è per dire che il suo repertorio di artisti, o per meglio dire, di opere d'arte è davvero molto interessante perché spalanca orizzonti ben più ampi rispetto a quelli consueti di libri del genere. 
Nella squadra che ha lavorato per la realizzazione del libro c'è anche Robert Sae-Heng che come artista, oltre che illustratore, dà il suo utile contributo. Accompagna con la dovuta discrezione, viste le molte cose diverse che devono convivere sulla pagina, con disegni molto connessi al testo. E così punteggia le pagine senza lasciare troppi spazi inespressi. 
Penultima considerazione: se da un lato è molto convincente la scelta di fotografare le opere d'arte in corso di realizzazione da parte di bambini veri (si vedono fotografate dall'alto manine e braccia imbrattate il giusto nell'atto della creazione, o altrimenti ritratte mentre scrivono o sistemano vasetti di piantine o incollano o spennellano), o addirittura compaiono fotografate nella loro completezza, un po' meno convincenti sono per esempio le silhouette di mammut o altre "perfezioni" da adulti che mettono da parte il meraviglioso stortignaccolo che i bambini sanno fare così bene: Picasso rules! 


Ultima considerazione: sarebbe stato bello se Robert Sae-Heng nella copertina non avesse usato come lettering per il titolo ogni possibile utensile (se ne capisce il senso, ciò nonostante... Chiedo scusa, ma è una mia idiosincrasia che non so curare) e se l'editore britannico avesse concepito un sottotitolo che non contenesse, anch'esso, la parola artista che è già nel titolo... 
Ma sono inezie. Il libro rimane bello.

Carla

"Tutti artisti. 20 progetti ispirati ai grandi artisti", Joséphine Seblon, Robert Sae-Heng (trad. Elisabetta Gnecchi Ruscone), Babalibri 2024 


venerdì 11 ottobre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

THE BOOK OF WONDER

Monsterium
, Junaida (trad. Asuka Ozumi) 
L'ippocampo 2024 


 ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Sin dall’alba dei tempi, il Monsterium era in viaggio per monti e per valli con a bordo le più strane creature. 
In una notte calma e silenziosa, mentre il Monsterium russava della grossa, la strana combriccola sgattaiolò via nel mondo di fuori. 
Cammina cammina, i mostri giunsero in una bella città e si misero a gironzolare per le strade. 
A quella vista grandi e piccini corsero a rifugiarsi in fretta e furia dentro casa." 

I genitori rapidi portano i loro bambini al sicuro e chiudono a chiave le porte delle case. 
Uscire è loro proibito. Le strade della città sono molto pericolose, a detta dei grandi. 
Quei tre fratellini però non ci stanno volentieri rinchiusi dietro i vetri di una finestra, dietro il legno di una porta. 


Il fatto è che per giorni e giorni i mostri vagano lenti lenti per le vie. 
I tre piccoli sono davvero stufi e quindi decidono di "evadere" con gli strumenti che hanno: uno scatolone di cartone sembra proprio una corriera che li porterà in un salto fuori di lì. 
Poi un palloncino potrebbe diventare una mongolfiera che dal cielo fa vedere loro il mondo dall'alto. Comincia così il loro viaggio tra cielo e terra, tra arcobaleni e alberi altissimi. 
Poi una voce molto terrena urla: il bagno è prooontooo! Ma il viaggio prosegue. Adesso li spinge ad arrivare fin negli abissi più profondi dove, un rumore sordo e indecifrabile, una sorta di bisbiglio costante attira la loro attenzione... 

Ecco. Gli abissi più profondi sono - quasi inevitabilmente - il luogo ideale per entrare in contatto con il mistero che avvolge la storia di questa città, invasa pacificamente da una schiera di mostri che ciabattano sul selciato delle vie cittadine. Da giorni e giorni. 


Complice il cambio di scenario nella giornata di quei tre solari bimbetti, che adesso devono farsi il bagno, i due mondi, che i grandi hanno cercato di tenere separati con ogni mezzo, si toccano, si incontrano e si piacciono. 
Va da sé che ciò che è mostruoso per un adulto lo è molto di meno per un bambino di larghe vedute... 
Questo è il primo libro che approda in Italia. Junaida, artista giapponese, verrebbe da dire un esteta della carta stampata, dal 2011 - anno più anno meno - pubblica delle vere meravigliose fantasmagorie visive. 
La maggior parte delle quali out of print. 
Il libro Monsterium viene pubblicato in Giappone nel 2020. 
A giudicare dai libri che lo seguono e da quelli che lo hanno preceduto, sembra rappresentare una piccola eccezione nello schema piuttosto consueto di Junaida: è un libro con un testo e una narrazione, seppur molto misteriosa e suscettibile di diverse chiavi di lettura, ma pur sempre una narrazione. 
A partire da Undarkness del 2021 fino a risalire a ritroso fino al 2011 con Train Rain Rainbow (un magnifico titolo per un leporello che lascia davvero senza fiato e che nelle sue figure fa esattamente la stessa cosa che fa con il titolo: le trasforma) i suoi libri sono piuttosto silenziosi. 
Si tratta - nella stragrande maggioranza dei casi - di veri e propri cataloghi, repertori di figure, ossia sequenze di immagini che occupano la singola pagina o la doppia e sono tenute insieme da un filo rosso tematico: da Lapis - Motion of the Silence (2015) fino a Home (2013) o Hug, di un anno precedente. Tutti, ma proprio tutti potrebbero stare perfettamente sotto un paio di titoli che ha dato già a 2 suoi libri: The Book of Wonder (2011) e Imaginarium (2019). Quest'ultimo è anche oggetto di una sua mostra personale. Tutti infatti raccontano un ricchissimo, strabordante, immaginario e tutti sono libri della meraviglia, Imaginarium e Book of Wonder, appunto. 
Monsterium, ammesso che si possa parlare di debolezza, ha nel testo il suo tassello meno robusto. Al contrario, le immagini sono in linea con gli altri libri precedenti in cui Junaida costruisce un fittissimo intreccio di forme che sembra avere radici nel Surrealismo, ma anche in autori con Escher, soprattutto per il suo gusto per la costruzione impossibile, assurda eppure riconoscibile nei singoli dettagli che la compongono. Il piano e lo spazio spesso si confondono. 
Anche qui è di nuovo un repertorio di forme, capaci di alludere a immaginari anche molto diversi tra loro.
Alcune sue costanti ritornano: il gusto per la visione dall'alto che è una sua cifra anche in Monsterium compare per dare corpo al silenzioso e lento corteo dei mostri. Il gusto per le architetture impossibili.
E ancora: grande manovratore del colore, gioca sul nero per la copertina irresistibile, e per "il fuori", ossia il cielo della città invasa e per il mare. 
A questo corrisponde una sorta di technicolor per le scene del "dentro", gli interni in cui i protagonisti danno vita al loro viaggio immaginato. 


Ma in assoluto la parte migliore è un altro suo Leitmotiv,  il "catalogo" di mostri che, in un primo momento, sono nascosti nel loro Monsterium, sorta di grande palazzo su sei zampe (la baba jaga qui non credo sia casuale citarla) e poi, fuggiti alla chetichella mentre il loro palazzo su zampe dorme, si snodano in un corteo composito come una variopinta sfilata di carnevale. 
Nessuno di loro inquieta, nessuno di loro fa paura, nessuno di loro è orrendo. Al contrario, il sentimento che generano nel lettore è quello della curiosità mescolata a una diffusa tenerezza.  


E questo lo sanno molto meglio i bambini dei grandi.
Come spesso succede. 

Carla

mercoledì 9 ottobre 2024

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

NUOVI LIBRI NUOVE PAROLE NUOVI SPAZI 

Come si aprono nuovi spazi dentro di noi? Come si fa a pensare fuori dagli schemi appresi, fuori dalla cultura che determina il nostro ragionamento senza che sia quasi possibile accorgersi della sua presenza? È una questione nevralgica quella che si pone, poiché è destino di ogni infanzia quella di essere intrisa, ancor prima che educata, di assorbire, ancor prima che imparare. 


Uno degli albi in cui è possibile sperimentare la forza della mentalità che ci permea è Aleph, della grafica Janik Coat. Come suggerisce il titolo, siamo di fronte a un abbecedario, una elencazione degli elementi basilari di un contesto conosciuto e condiviso: a partire dal cerchio per passare ad altre forme geometriche, le tavole quadrate si dispongono una dopo l’altra, pezzettini ancora sospesi, disancorati uno dall’altro, blocchi di un gioco nuovo che ancora non è stato sufficientemente sperimentato per sviluppare un senso. 


Aleph mi è rimasto impresso fin dalla sua prima apparizione per l’esperienza cognitiva che offre al lettore adulto: nello sbigottimento di non saper riconoscere immediatamente, in una narrazione sequenziale, un ordine culturalmente codificato, e non potendone applicare uno già rodato altrove, lo smarrimento si amplifica. Non è infatti confermatorio, l’alfabeto di immagini proposto, fatto per persone che conoscono già la lingua e le parole, quanto piuttosto una giustapposizione di forme e oggetti apparentemente casuale o forse piuttosto riferita, nel suo dispiegarsi, a un ordine più grande che ancora non si è completamente manifestato e di cui noi non siamo a conoscenza. 


Le aspettative narrative, quel senso di percorrere una strada già un po’ vista, di sapere insomma dove si sta andando presenta, ahimè, lo svantaggio di ottundere l’atteggiamento esplorativo e di rendere un po’ ciechi. Cosa c’entra il cerchio con il triangolo, i quadrati coi pallini? Un rombo e un albero?! E perché dopo un bacio viene un girasole?!? 





Per un occhio adulto, la sperimentazione reiterata della sorpresa è, a lungo andare, disorientante. Forse si trasformerà in un senso di fastidio, quasi un’irritazione. È un’emozione da gustare con coraggio, senza posare il libro da parte: superato questo scoglio, si potrà provare a stare, di fronte alle immagini, come forse un bambino sta davanti al mondo, e intendo: con lo sguardo libero da connessioni, registrando le cose per le cose, senza smarrirsi nella loro evidenza casuale, svincolati da un prima e da un dopo, da simbologie, dall’approvazione di chi sta intorno. Poi, e qui sta la vera forza di questo albo, sarà possibile apprezzare l’allentamento della tensione e il piacere che danno invece il riconoscimento, la prevedibilità, la disposizione consueta delle cose per come ce le aspettiamo.
 



In cima al gesto di girare la pagina sta la portata esatta del vuoto che precede la comprensione, e si può per contro prendere la misura di quanto coraggio serva per estendere la mano nell’abisso a raccogliere un significato non già sperimentato. Soprattutto, in Aleph è possibile capire che dietro alla boccata di ossigeno del riconoscere sta, ben nascosta, la minaccia di non saperci più togliere dai confini consueti ed asfittici, quasi tossici, della realtà per come l’abbiamo assorbita quando (ancora) non potevamo opporci. 
Per questo torno a dire: come si aprono nuovi spazi dentro di noi? Perché succede nell’infanzia, il primo chiudersi. È nell’infanzia e attorno a essa che i modelli hanno più potere: calano attorno all’identità per sostenerla, ma si trasformano presto in cortine difficili da individuare e oltrepassare. Gli schemi appresi ci pervadono, inquinano lo sguardo, corrompono la percezione di quello che sta intorno. Talvolta sfocano persino la percezione della persona che siamo. Questo è anche ciò che accade negli strepitosi racconti di formazione Fenicotteri in orbita, una serie di gemme taglienti la cui ripubblicazione e diffusione sarebbe assolutamente necessaria, di questi tempi. I racconti di Fenicotteri in orbita funzionano esattamente come le immagini di Aleph, per giustapposizioni e abbinamenti che stordiscono perché disattendono le aspettative e i codici di una rappresentazione dell’infanzia cauta, pigra, a volte persino compiaciuta. Essi contribuiscono alla restituzione di un’interezza di visione impossibile da maturare se non opportunamente alfabetizzata.


Philip Ridley è stato a buon titolo paragonato a Roald Dahl, e in effetti la sua visione d’infanzia si presenta del tutto priva di sconti e buonismi: rifiuta nettamente con empatia cristallina l’idea del bambino buono come quella altrettanto grossolana del bambino cattivo, ribalta con cognizione di causa l’idea di innocenza, fornisce una versione dolente e piena di contraddizione dell’animo umano, che esiste in nuce, udite udite, già da nei cuccioli della nostra specie, 


Ridley è uno di quegli autori che sembrano non aver dimenticato. Con uno sguardo fulminante e una forma mai banale, Ridley riscrive con autorevolezza e compassione la grammatica e la portata dell’idea d’infanzia, rappresentandola come territorio vergine tanto connesso con l’universo e l’immensità quanto progressivamente invaso dal contesto socio-culturale.


 

I racconti sono ambientati perlopiù in contesti disagiati, miseri e violenti, in cui con facilità è individuabile il braccio di ferro tra la voce interna della persona piccola e tutto ciò che gli ruota attorno, una tenzone che coinvolge grandi e piccoli, incessante e indispensabile poiché dalla sua riuscita dipende tutta la sopravvivenza. 


In questi racconti vengono descritti sentimenti che non siamo abituati ad ammettere nel cerchio delle cose nominabili: menzogne dette con la leggerezza di cui solo chi non sa cosa sta facendo è capace, misfatti compiuti in virtù della propria ignoranza, colpe terribili agite per innocenza, in piena innocenza, errori a cui si va incontro in piena coscienza, solo per salvarsi…
 

Con feroce lucidità, Ridley mette sulla pagina una complessità raramente attribuita a bambini e adolescenti; lavora per loro e per noi a realizzazioni impensabili in solitudine, rendendo praticabili territori ridotti al silenzio, in cui altrimenti non ci saremmo inoltrati mai. Fa insomma quello che a sentire certi filosofi dovrebbe fare l’abisso quando lo si guarda fisso, che più ci sporgiamo per intravedere il fondo, più il fondo ci viene incontro.


Bontà e innocenza ci esplodono tra le mani e nella deflagrazione si dissolve quel velo che abbiamo innalzato a nostro vantaggio, per proteggerci forse dal ricordo di quei sentimenti terribili e quelle violenze sottili a cui nell’infanzia si è irrimediabilmente esposti, senza difese e che senza difesa vengono assorbiti e assimilati e perpetuati, come fossero un preciso veleno costitutivo impossibile da evitare.


Innocenza e sensibilità hanno la tendenza a disporsi nel nostro immaginario appiattite prepotentemente al positivo, riducendo spesso i principali portatori di queste caratteristiche – i bambini e le bambine e i ragazzini e le ragazzine – a macchiette in pieno sole, di cui così è difficilmente possibile intravedere la profondità. Concepire per loro l’ombra, la sfumatura, comporta la presa d’atto di territori inesplorati in cui è invece salvifico entrare per dare la possibilità alle persone piccole – ma anche a quelle grandi - di poter essere viste interamente. 


Nulla di più grande e difficile può esservi, se non l’attenzione, lo sguardo veramente aperto, capace di registrare, affiancate, la bellezza e l’orrore, l’innocenza e la colpa. Nulla apre territori nuovi più che il coraggio di affondare la mano nell’ignoto, senza tregua, per recuperare, dal silenzio, ogni ultima parola che serve, per raccontare tutta intera, la persona. 

Giorgia

Noterella al margine. Philip Ridley ha girato anche un film. Si intitola Riflessi sulla pelle e dispiega a piene mani la poetica di questo scrittore. Non vi resta che guardarlo, se ne avete il coraggio…




“Aleph”, J. Coat, Gallucci 2018 
“Fenicotteri in orbita”, P. Ridley, (trad. di A. Ragusa), Salani 2009 
“Riflessi sulla pelle”, scritto e diretto da P. Ridley 1990 

lunedì 7 ottobre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

ARRIVARE E POI PARTIRE...

Canti dell'inizio canti della fine
, Bruno Tognolini, Silvia Vecchini, Giulia Orecchia 
Topipittori 2024 



POESIA 

INIZIO DELLA STORIA 

C'era una volta un re 
seduto sul sofà 
che disse alla sua serva 
raccontami una storia 

La storia incominciò 

C'era una volta il sole 
toccò col dito il mare 
nacquero le parole 
presero a raccontare 

La storia incominciò... 

Il secondo inizio parte da un'alga che diventa pesce e per raccontare esce fuori dal mare. E così quel pesce racconta la storia al serpente che la racconta a sua volta al sauro. Il sauro racconta la sua alla scimmia che poi la conta all'uomo. E quell'uomo ora diventa re e si siede sul sofà. Poi chiede alla sua serva di raccontare a lui una storia. 
E così la storia continuò... 
E questo che è un cerchio perfetto di un racconto che passa di bocca in bocca e sembra non finire mai non contiene la sua fine. 
 Quella arriva dopo. E la voce che la dice è un'altra. 

Questo libro nasce in un posto dove le cose crescono meglio che altrove: al festival Tuttestorie di Cagliari. Nel 2023. 
Elencare le cose belle e interessanti che accadono lì non ha senso: c'è un apposito programma da leggere. Ma ce n'è una che nel programma (online o di carta) non c'è: un fitto fitto parlare tra autori, illustratori editori, promotori, danzatori, attori, performatori, giocatori, bibliotecori (è solo per far rima).
 

E durante questo fitto fitto scambio di parole, di storie, sentimenti, risate, lacrime scappate, piccole monellerie e grandi affetti, consigli e riflessioni sui massimi e minimi sistemi che dura per i giorni del festival, nascono dei bei pensieri. 
Uno di questi, sulla malinconia degli addii struggenti dopo i campi scout (e dopo i festival aggiungerei), ha generato questo libro. 
Ipotizzata la parola chiave di Tuttestorie dell'anno successivo - la fine... e il nuovo inizio - Tognolini scrive a Vecchini e Vecchini risponde a Tognolini. Comincia così un titubante scambio di mail per vedere se il gioco tra loro poteva funzionare e se sarebbero stati in grado di farlo diventare qualcosa al di là dell'esercizio di stile. 
Datisi una serie di regole interne, Vecchini e Tognolini partono non certissimi di finire, però: decidono con matematica esattezza (questo è il sistema Tognolini) di scambiarsi parole chiave e versi sull'inizio o sulla fine di molte cose: dal gelato, al teatro, dal confine alla vacanza, dalla matita al litigio, dal sonno al giorno. Tognolini decide per 32 che è il suo numero perfetto, ma Vecchini, sull'entusiasmo di altre cose da dire, suggerisce di arrivare fino a quaranta. E così è. 


Scrivono su questa grande questione, che è doppia - atterrisce e intenerisce - ed è alla base di ogni essere, esserci. Enorme e sempre dentro ciascuno di noi è la grande domanda. Eppure ci provano, a parlare di inizi e di fini. Mettendoli sui due piatti della pagina, come fossero quelli di una bilancia, cercano di trovare l'equilibrio. 
Ci riescono e sono soddisfatti del loro scrivere versi a due voci, passano queste magnifiche quaranta poesie a Topipittori che spiana il percorso del futuro libro per farlo arrivare in tempo utile per il successivo Tuttestorie. Un soffio, se paragonato alle consuete ere editoriali. Lo danno da illustrare a Giulia Orecchia, che è sorella di Tognolini nel mettere figure laddove lui mette parole in rima. Lei fa un lavoro magistrale. A partire dalla copertina. Si muove per segni, per profondità. Toglie tutto quello di narrativo che potrebbe mettere per lasciare il giusto respiro ai testi, già molto pieni. Si "limita" a essere simbolica, quindi non sempre immediatamente esplicita. Segni, colori trasparenze sono la sua sigla. Tante formiche, due rari bimbetti, qualche uccellino, molti alberi e nuvole, case e pesci. Un bel rosso sipario, gocce di colore, carte, collage. E due colori guida, il blu e il giallo, per capire chi ha scritto cosa. Come se ce ne fosse bisogno. 
Il verso libero di Silvia Vecchini crea un'onda possente e irregolare alla quale Bruno Tognolini risponde con il suo passo molto più cadenzato e ri(t)mato. Ma insieme sono armonici a tal punto che capita che una sconfini nella risacca dell'altro. E viceversa. Così, tanto per provare. 


Detto questo, forse uno degli esempi più significativi della diversità di suono e anche un po' di sguardo di quei due pare di vederlo in INIZIO di ME e FINE di ME.  Silvia indaga il mistero di cosa c'è prima di essere se stessi. Qual è la strada che ha fatto quel bambino per essere quello che è adesso? Ha risposto alla voce dell'amore e adesso è qui. Lei scrive i suoi versi fluidi, pieni di suggestioni aeree, accenni, ipotesi poetiche che si connotano tutti per una diffusa ricerca di rarefazione. Le risponde Tognolini circostanziato, battente, concreto con una capriola finale che è un piccolo capolavoro dei sensi e del senso! Capolavoro che ha avuto anche il merito di aver fatto tirare un grande sospiro di sollievo a quel bambino che si era detto preoccupato, all'incontro con gli autori, temendo il peggio per la parola fine così vicino alla parola me! 

FINE DELLA STORIA
 
E vissero tutti felici e contenti 
ma più leggi 
più scopri 
che non tutto finisce 
come vorresti 
nemmeno nei libri alle volte 
si fanno miracoli 
e allora? 
A che serve una storia? 
A farti le ossa 
tra cento pericoli... 

Carla 

Noterella al margine. Tante cose si possono dire di Bruno Tognolini. Qui credo che vada messo in luce il suo gusto per la sfida - che è insito in ogni gioco che si rispetti - che non lo abbandona mai, nonostante i suoi tanti riccioli bianchi.




venerdì 4 ottobre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

MOOOOOLTO PERICOLOSA

La litigata, Victoria Scoffier, Alain Laboile (trad. Caterina Ramonda)
Terre di mezzo 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Stamattina Nil si ritrova di fronte una palla di pelo magrolina e un po’ sudicia, leggera come una mela: un gattino! 
La bimba se ne innamora all’istante. Lo chiama Nocciolino. 
I due diventano subito inseparabili. Già di primo mattino, pregustano con gioia i mille e più giochi da provare durante la giornata." 

Bambina, Nil, e gattino, poi gatto inspiegabilmente cresciuto in un soffio, da lei battezzato Nocciolino, diventano amici inseparabili. 


Sono entrambi piuttosto selvatici e liberi nella natura che circonda la casa. Giocano nel fango (a dire il vero lei gioca e lui si tiene a distanza e la guarda scettico). E la sera dormono (una fa finta e l'altro ha proprio gli occhi sgranati) entrambi in una scatola di legno che li contiene appena. Ma questa bellissima amicizia si interrompe un po' bruscamente quando Nocciolino, dopo aver segnato per l'intera notte le meraviglie dell'essere gatto libero (raffigurate da un gatto seduto nell'erba con occhi attenti) decide di esserlo, un gatto libero, e segue le orme di un suo simile che è passato nei paraggi. 
Nil non è affatto d'accordo e lui usa l'unica arma che ha, la graffia. 
Lei, a sua volta, usa la sua unica: gli urla contro che non lo vuole vedere mai più! 
Le loro strade si dividono. Con tutti i pochi pro e i molti contro che ci sono nella solitudine dell'una e dell'altro. Per non parlare del pelo bagnato e della pancia vuota... 
Più dell'orgoglio poté il digiuno? 

Per anni e anni di libri fotografici in Italia non se ne pubblicavano. O per lo meno ce n'erano pochi pochi (Munari a parte). Chi li voleva, doveva andarli a cercare altrove. I primi ad arrivare sono stati quelli concepiti per i più piccoli, immagine - oggetto o animale; immagine - espressione di un sentimento; immagine - colore di un oggetto. Poi con la consueta lentezza sono arrivati anche quelli, decisamente più impegnativi, che usano le fotografie per illustrare una vera e propria narrazione. 


Tra i rarissimi nati in Italia non va dimenticato il lavoro di Massimiliano Tappari che, ormai un bel po' di tempo fa, ci ha fatto vedere cose diverse da quello che era il soggetto della foto e ci ha costruito storie intorno: delle chiavi sono lo spunto per Parole chiave (Despina 2003) e i particolari di una moka diventano Coffee-break (Corraini 2013, 2024). Poi ha continuato la sua ricerca e i molti dei suoi libri, con i testi poetici di Chiara Carminati, sono diventati un canone. 
Alcuni cercano di seguirne il percorso, ma con risultati un po' fiacchi. 
In questi ultimi anni, la svolta. 
Si diffondono i libri per bambini in cui le foto diventano le illustrazioni. 
La casistica di come nascano libri del genere si esaurisce sulle dita di una mano. 
1) Chi fotografa per professione decide di costruire una storia e scatta foto ad hoc- come potrebbe fare un qualsiasi illustratore. 
2) Chi fotografa per professione decide di costruire una storia guardando il suo patrimonio di foto - come potrebbe fare un qualsiasi illustratore, aprendo un cassetto di suoi schizzi e bozzetti. 
3) Chi scrive e chi fotografa si conoscono e condividono una medesima idea di libro e decidono di convogliare i loro rispettivi talenti per dargli forma - come potrebbe capitare a scrittori e illustratori qualsiasi.  
4) Un editore chiede di fare foto ad hoc a un fotografo per illustrare una storia scritta di un altro autore. 
5) Chi scrive decide di costruire una storia ad hoc sulle immagini conosciute e apprezzate di chi fotografa. Questa categoria, a mio avviso, si dimostra la più pericolosa di tutte. A questa categoria appartiene La litigata


Victoria Scoffier, giornalista ed editrice, si innamora delle foto di un grande artista dell'immagine, Alain Laboile. Lei lavora nella rivista 6Mois che le pubblica. Come darle torto: sono pazzesche quelle foto di ragazzini bradi e mai in posa, rigorosamente in b/n. E lei è encomiabile per questo, perché lui è un assoluto talento con la macchina fotografica in mano. Anche se ci è arrivato quasi per caso nel 2004. 
La sua carriera di fotografo parte dalle foto in macro di insetti per poi passare a raccontare per immagini la crescita della sua numerosa famiglia, che razzola, sguazza, si diverte e si riposa (tra gatti e altri animali) nella casa di campagna che hanno nelle campagne intorno a Bordeaux. Le sue foto girano, in particolare in Francia e negli Stati Uniti, e il resto è storia: singoli scatti pubblicati su importanti riviste, libri di cui è unico autore dal 2012, mostre dal 2013 in poi. 
E nel 2017 Victoria Scoffier decide di scrivere e pubblicare con la sua casa editrice il libro La dispute, ossia un testo che lei scrive ad hoc, scegliendo come illustrazioni le foto di Laboile (o, viceversa, sceglie le foto che le piacciono di più e le tiene insieme con una storia). 
E così nella mia testa tornano a galla le poche parole che ho scambiato qualche giorno fa con Bernard Friot proprio sulla modalità n. 5. E su questa, per sua esperienza diretta, lui conveniva sul fatto che sia mooooolto (la sua o era molto ripetuta mentre lo diceva) difficile e pericolosa, per la qualità del risultato finale. 
Tornano anche a galla i miei pensieri espressi da qui sul delicatissimo rapporto di armonia, equilibrio e dialogo che deve esistere tra testo e immagine in un albo illustrato. Il pericolo che il testo diventi didascalia delle immagini o che queste non siano capaci di aggiungere nulla alle parole è sempre in agguato. Ragione per cui non tutti gli albi illustrati sono bei libri. 
Le cose che succedono in questo libro sono molteplici. Provo a elencare le principali. 


- La qualità delle foto è indiscutibile. A parte un paio di foto che paiono sgranarsi con l'ingrandimento eccessivo (ma forse è voluto e io sto prendendo una cantonata). 
- Testo e immagine fra loro fanno frizione più volte. Non si tratta però di quel meraviglioso gioco del contrappunto (immagine che smentisce testo o viceversa) che sfrutta il silenzio che esiste tra l'una e l'altro, ma piuttosto attestano un curioso disallineamento, una sorta di eco distorta tra i due codici. 
Non si contraddicono platealmente, il che sarebbe un bel gioco per il lettore, ma le parole (che arrivano per seconde nella fase di creazione) sono sempre un po' imprecise, rispetto a quello che l'occhio vede. 


- E poi il nocciolo della questione non convince. Il lettore riconosce la rabbia di quella bambina che si vede sfuggire il gatto. Riconoscerà altrettanto la ricerca di libertà del suddetto gatto. Riconosce forse anche i goffi tentativi di Nil di trovarsi amici alternativi e riconoscerà che avere uno scarabeo per amico non sia proprio il massimo per lei. Riconoscerà anche il fastidio di un gatto di avere pancia vuota e pelo bagnato. Ma poi cosa accade? Il gatto, essendo gatto, decide di tornare per fame e per freddo (la noia, perché aggiungerla?). E quindi la questione dell'amicizia ricercata e voluta da entrambi non sta tanto su.


E poi c'è da chiedersi: è proprio indispensabile dire così tanto, e dirlo con quel tono così "dolce" (un tantino dissonante con i contrasti del bianco e nero, dei fuori fuoco e con quel bel piglio selvatico di Nil)? Ed è altrettanto necessario dire e ridire a chiare lettere che Nil dovrà lasciare maggiore libertà a Nocciolino, per rispettare la sua natura di gatto? Perché l'amicizia non passa per il possesso? 
Il libro, quando fu concepito e pubblicato in Francia, presumo avesse l'intento di parlare a bambini piccoli, non a bambini incapaci di capire (ma poi ne esistono?). 

Carla 

Noterella a margine. L'idea di scrivere questo post nasce dall'esigenza di mettere in ordine i pensieri su questo libro. Libro, che ha raccolto tra amici di cui mi fido pareri controversi. Da entrambe le parti - gli entusiasti e i delusi - mi è stato chiesto di argomentare il mio punto di vista ed è quello che con sincerità ho cercato di fare. Mi scuso di averlo fatto pubblicamente da qui.

mercoledì 2 ottobre 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

DI ORSI, PRINCIPI E FUMETTI


La saga degli Orsi Nani del fumettista Émile Bravo torna di nuovo disponibile grazie alla casa editrice Logos che dall’estate del 2023 sta ripubblicando i titoli usciti più di dieci anni fa per Bao Publishing.
I protagonisti sono sette orsi nani che hanno delle caratteristiche a ben vedere molto affini alla loro natura di orsi: hanno uno spirito molto pratico, sono schietti, diretti, e cercano sempre di tornare il più velocemente possibile a una situazione di quiete e di riposo (o di pancia piena, come nel caso di La grande fame dei sette orsi nani). 

© Emile Bravo, La bianca addormentata e gli orsi nani, #Logosedizioni

Nel caso di La bianca addormentata e gli orsi nani, gli orsi si ritrovano, con molto disappunto, con una piacente ragazza che cerca di entrare nella loro casetta. La sciagurata racconta loro della sua matrigna cattiva che la vuole uccidere e chiede di essere accolta dai gentili orsi: 
“Farò tutto ciò che vorrete…”, prega la preoccupata principessa. 
“Le pulizie?” chiede uno degli orsi 
“Eh? Siete fuori di testa? Sono una principessa, io…” 
Parte così la ricerca del famigerato principe azzurro per togliersi da casa la principessa fannullona. 
Nel bosco il piccolo orso incaricato trova improbabili pennuti, castelli illuminati, ma soprattutto molti principi: uno che ha appena lasciato un ballo, uno bruttino che chiede di essere baciato, e poi anche una fata madrina bellissima ma dal carattere irascibile. 
La conclusione della fiaba, naturalmente, sarà alquanto originale. 
Due cose mi sono venute in mente leggendo (e ridendo nel contempo) il fumetto di Bravo. 
La prima è l’importanza dei fumetti come prime letture, e allo stesso tempo la fatica con cui si vendono fumetti in Italia in quanto prime letture. 
Negli anni passati sui fumetti si sono formate schiere di quelli che oggi vengono chiamati i ‘grandi lettori’, anni in cui, paradossalmente, c’era molta scarsità di ‘libri con le figure’. 
Oggi invece che i bambini e le bambine nuotano in un mare di proposte di albi illustrati, il fumetto non è ancora riuscito a fare da ponte tra questi e la categoria di romanzi definiti ‘prime letture’. 
Eppure il fumetto di Bravo è un ottimo esempio per capire perché questa categoria di libri andrebbe fatta entrare nelle scuole e nelle case con gran velocità. 
Andiamo così al secondo punto a cui ho pensato e che caratterizza questa serie di piccoli libri intitolata appunto Le mirabolanti avventure dei sette orsi nani
La caratteristica più avvincente della serie degli orsi nani è la miscellanea di personaggi famosi di fiabe altrettanto famose che si incontrano nelle pagine e che si susseguono senza sosta. 

© Emile Bravo, La bianca addormentata e gli orsi nani, #Logosedizioni


 
© Emile Bravo, La bianca addormentata e gli orsi nani, #Logosedizioni


In una forma di parodia, il racconto procede evidenziando caratteristiche dei personaggi in modo estremamente buffo: la fata madrina isterica, il principe ingessato di Cenerentola, i tre porcellini preoccupati dei soldi, eccetera. In questo carnevale di fiabe, in questo continuo passaggio del buono a cattivo e viceversa, gli orsi nani appaiono gli unici esseri di senno, preoccupati di liberarsi il prima possibile di questi scriteriati famosi delle fiabe, per tornare alla loro quieta realtà. 
Un bambino o una bambina che sta uscendo, non solo metaforicamente, dal mondo delle fiabe, che sta imparando a leggere in autonomia, a volte anche con molta fatica, non può che sentirsi premiato leggendo un fumetto che gli permette di non abbandonare ancora completamente la parte figurativa e allo stesso tempo di affrontare una tematica ‘adulta’ qual è quella della parodia e, ancor più in profondità, dell’ironia. 
In forma di albi illustrati molti autori hanno utilizzato questa formula dell’ibridazione e del mescolamento di fiabe famose: dallo Shrek di Steig, alla trilogia del coccodrillo di Mario Ramos, ai cartonati di Matthieu Maudet. 
Il passaggio alla forma del fumetto affina quest’arte della parodia che premia il sapere del lettore – i bambini sanno chi sono i personaggi – capovolgendo e stravolgendo le carte. 
I bambini diventano così grandi, perché leggono in autonomia, e ridono di ciò che avevano letto coi propri genitori, pronti a prendere il largo verso altri lidi. 
(Una chicca mi è venuta in mente scrivendo degli orsi nani: su Piccola Radio, i podcast di Radiotre per i più piccoli, c’è questa chicca che si intitola Chi ha rapito cappuccetto rosso? scritta da Italo Fasan (guarda caso anche lui fumettista) nel 1966 e interpretata da grandissimi attori tra i quali Vittorio Mezzogiorno. E’ un giallo in cui tutti i personaggi delle fiabe si mobilitano alla ricerca della scomparsa Cappuccetto. E’ divertentissima, e se siete in coda in auto, vi può pure aiutare a passare il tempo.)

Valentina 

"La bianca addormentata e gli orsi nani", E. Bravo (trad. F. Regattin), #Logosedizioni 2024