mercoledì 10 dicembre 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

LA STORIA DI UNA DIVENTA LA STORIA DI DUE 


La prende alla larga Van Rijckeghem, e ci fa entrare nella storia nel pieno di una zuffa tra ragazzini che si sfidano per impossessarsi della testa di Jormungandr e conquistare così il ruolo del “principe del solstizio”. 
Jormungandr è il serpente gigante che tiene insieme il mondo degli umani avvolgendolo tutto intorno fino a mordersi la coda e che simboleggia il caos e il destino, una delle intriganti narrazioni della mitologia norrena in cui questo racconto ci immerge piacevolmente. 
Ed è effettivamente tra caos e destino che si muoverà tutta la storia. Siamo nel villaggio della Rocca di Mimir, collocato dall’autore sulla costa orientale dello Jutland, Danimarca vichinga, anno domini 870. Ma com’è che ci ritroviamo proprio qui? 
Pare che uno zio ultra novantenne dell’autore avesse appena condotto una ricerca sul DNA dei Van Rijckeghem scoprendo che almeno un 5% delle origini della famiglia risalissero ai danesi: è abbastanza probabile dunque che qualche vichingo, intorno al nono/decimo secolo, si fosse inoltrato fino a Gand, nelle Fiandre, inserendosi nella genealogia della famiglia belga. Tanto è bastato a Jean-Claude, che a Gand ci è nato, per decidere di immergersi in quel 5% della sua antica storia e regalarci questa avvincente avventura. 
Ed è vieppiù interessante rilevare come una ricerca identitaria arrivi a rivelare stratificazioni di culture tanto diverse tra loro. Che di questi tempi è purtroppo sempre utile ricordarlo. 
Ma torniamo alla Rocca di Mimir. Il villaggio è piccolo, in tutto cinque case sulla costa. Gli uomini sono spesso in mare a fare razzie giù fino in Francia e oltre per depredare villaggi e rivendere merci e schiavi. Le donne sono impegnate a tessere lana, cucire vele e a portare avanti la vita del villaggio in assenza degli uomini. I ragazzotti, come abbiamo visto, si azzuffano senza troppe cortesie. 
È ora che entra in scena Yrsa, una ragazza di sedici anni che subito si presenta con le sue principali qualità: sagace e determinata, senza peli sulla lingua, capace di fronteggiare ogni insulto o tentativo di umiliazione. Di motivi per insultarla pare che ce ne siano. Yrsa ha un piede storto dunque è zoppa (non proprio un buon auspicio per le credenze del luogo), inoltre ben presto scopriamo insieme a lei che, pur essendo figlia di Toke, il rispettato Timoniere del villaggio, è nata da una donna che era stata presa come schiava. Per “sistemarla”al meglio, la potente nonna Gudrum l’ha promessa in sposa al figlio di un gioielliere dell’entroterra in cambio della lana di 25 pecore (solo perché zoppa, in realtà ne valeva 50 di pecore). Lei però è innamorata di Nokki, il più bel giovanotto del villaggio. 
Al rientro dalla spedizione, gli uomini riportano un ostaggio, una giovanissima suora, anche lei sedicenne, rapita in un monastero di Gand: suor Job. 
L’arrivo della giovane suora coincide con la metà della Prima parte del romanzo, la sua entrata in scena dà un nuovo motore alla storia. 
La suorina dice di essere una discendente di Carlo Magno dunque si decide di non trattarla come schiava ma come ostaggio, appunto, sperando in uno scambio che porti al villaggio ingenti di ricchezze. Così suor Job verrà affidata a Yrsa. Anche suor Job è sagace e determinata e, per quanto bigotta, è anche risoluta a salvarsi e a non farsi contagiare dai selvaggi pagani del villaggio. 
Yrsa e Job, sono due giovani donne distanti millemila miglia -in quanto a cultura, visioni del mondo, credenze, pantheon e divinità- che si avvicineranno sempre più, senza smancerie da “migliori amiche” ma con la durezza dei due caratteri e della diversità delle appartenenze. 
Suor Job è colta, sa leggere il latino, sa scrivere, conosce a memoria il Vangelo e tutte le preghiere per resistere -con la sicumera della religione dei potenti di quel tempo- al mondo pagano in cui si ritrova. 
Yrsa è ironica, sa tessere le migliori vele del villaggio, è sinceramente immersa nel mondo delle numerose divinità vichinghe e dei suoi miti cosmogonici. Inoltre sta appena scoprendo di possedere capacità divinatorie che a poco a poco la aiuteranno a indagare la verità sulle sue origini. 
Le due ragazze prendono la scena di primo piano del racconto ma anche tutto attorno la storia cresce fino a disegnare un caotico dispiegamento di eventi che determineranno un’altra svolta alle vicende. 
Seconda Parte. Un nuovo motore fa ripartire la storia: da qui in avanti le figlie del destino diventano due, con un unico destino da affrontare insieme. 
Credo che quanto fin qui accennato basti a dare l’idea di una storia avvincente, ricca di eventi e di capovolgimenti rispetto ai quali Jean-Claude Van Rijckeghem sa costruire personaggi mai bidimensionali: che siano protagonisti o no, quasi tutti sono parecchio sfaccettati e difficilmente incasellabili in caratteri prevedibili. 
Il finale aperto, anzi apertissimo, ci lascia col fiato sospeso anche se, arrivati a pagina 395, l’ultima, avremo imparato anche noi con Yrsa a leggere il futuro, e una idea di ciò che accadrà una volta chiuso il libro ce la siamo fatta. Pare che l’autore non escluda di dare un seguito a questa avventura per portarla a compimento. Ma già così, va più che bene. 
Di Jean-Claude Van Rijckeghem Camelazampa aveva già pubblicato “Testa di ferro” nel 2023, ancora un romanzo storico, ancora ambientato a Gand, ancora con protagonisti impegnati a ribaltare destini segnati, ancora con figure femminili per niente rassegnate. 
Dunque a Van Rijckeghem piace raccontare storie di donne e di coraggio, incastonate in affreschi storici che hanno tutte le carte in regola per incontrare il gusto e la complicità di lettrici e lettori a partire dai 13 anni. 

Patrizia 

“Figlia del destino”, Jean-Claude Van Rijckeghem , trad. di Olga Amagliani, Camelozampa 2025 

 

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