AD ALTEZZA BAMBINA
Il cuore e la
bottiglia, Oliver Jeffers
Zoolibri 2019
ILLUSTRATI PER PICCOLI
(dai 5 anni)
"C'era una
volta una ragazza, più o meno come tante altre.
Aveva la testa piena
di tutte le curiosità del mondo.
Faceva domande sulle
stelle...
e si meravigliava
del mare.
Ogni nuova scoperta
la incantava..."
Nella
sua meravigliosa scoperta del mondo questa ragazzina non è mai sola.
Ad accompagnarla compare sempre un signore elegante nei modi e nel
vestire, con i baffetti grigi e non tanti capelli in testa. È con
lei a passeggio nel bosco d'inverno, d'estate sdraiato a guardare le
stelle, in barca mentre lei nuota nel mare e tener l'aquilone lungo
la spiaggia e sulla poltrona a leggerle di botanica, astronomia,
fisiologia e di fisica.
Ed è proprio quella stessa poltrona che a un
certo punto rimane vuota. Quel signore non c'è più e il cuore della
ragazza ne soffre. Per non star tanto male forse è meglio mettere
per un po' il cuore al riparo: chiuso in una bottiglia. Ma niente è più come prima. Spariscono le curiosità e rimane solo il ricordo di
quella poltrona vuota una certa pesantezza nel portare sempre al
collo quella bottiglia per tenere il cuore al sicuro.
La vita
però è sorprendente e sulla strada di quella ragazzina ormai grande
si avvicina una bambinetta che tanto la ricorda, per curiosità e
interessi. Per dialogare con lei occorre liberare il cuore dalla
bottiglia...
Oliver
Jeffers ha diversi talenti, oltre a quello di saper disegnare assai bene (i risguardi ne sono l'ennesima prova): ha belle storie da raccontare, trova le
parole e i disegni giusti per metterle insieme, con un punto di vista
ad altezza bambina, che, a ben vedere, è una dote ben rara.
Salvo rarissime eccezioni, i suoi libri colpiscono per uguale dose di
incanto, leggerezza e profondità di sguardo. Quello stesso stupore,
quella stessa leggerezza e profondità che a mio parere distinguono
il pensiero dell'infanzia da quello degli adulti.
In
altre parole, spesso e volentieri Jeffers sa raccontare il mondo come
lo potrebbe fare un bambino o una bambina.
Se
si parte dallo stupore, non è possibile non connetterlo con questa
ragazzina che guarda il mondo piena di domande e di curiosità su
come le balene respirino con i polmoni, su come sia possibile
'leggere' la forma delle costellazioni come si fa con quella delle
nuvole. Non ultimo lo stupore, di fronte alla poltrona vuota. Uno
stupore che, al contrario degli altri, non trova rapida risposta.
Lo
stupore e la meraviglia che contraddistingue lo sguardo di un
piccolo, si potenzia nel modo che Jeffers ha di disegnare i bambini:
sempre minuscoli rispetto a ciò che li circonda, sempre su gambette
sottili, apparentemente fragili, con teste a pera sempre un po' più
grandi del necessario (per contenere le belle idee che di solito
hanno).
Il loro essere piccoli in un mondo grande e per giunta
abitato in prevalenza da grandi, il loro essere disegnati con bella
sintesi attraverso pochi tratti significativi (come potrebbe fare un
quattrenne alle prese con il suo autoritratto) rende giustizia alla
corretta idea di infanzia che si dovrebbe avere. Gente piccola e
nuova che si guarda intorno per prendere le misure del mondo.
Va
da sé che in questo atto di 'prendere le misure' entrano in gioco
due altri caratteri distintivi del modo di raccontare di Jeffers, che
ancora una volta sono peculiari del pensiero infantile:
l'invenzione/immaginazione, o forse dovrei dire meglio la divergenza,
e la leggerezza, applicate entrambe all'insopprimibile istinto di
sopravvivenza che caratterizza l'uomo, piccolo o grande che sia.
I
bambini e le bambine usano metà del loro tempo di veglia per
difendersi dai grandi e l'altra metà del tempo inventano modi, si
arrangiano, per raggiungere la felicità.
Per intenderci, si guardino
in questo libro i modi cui la ragazza ricorre per rompere la
bottiglia, i modi di Leo per recuperare l'aquilone impigliato nella
chioma dell'albero (Zoolibri 2012), i modi di Alfredo per tenersi l'alce (2013), i modi del bambino che vuol riportare a casa il pinguino (2010), ecc. ecc. Non sembra fare eccezione l'idea di
chiudere in bottiglia il proprio cuore.
Terzo
talento: la profondità di sguardo. Anche qui, salvo rare eccezioni,
Jeffers non racconta mai una storia sola. La buona letteratura ci ha
insegnato ad apprezzare storie che siano oggetti complessi e
stratificati e ramificati e ci dovrebbe aver insegnato a diffidare di
storie che non dimostrino di esserlo.
Le
questioni che solleva Il cuore e la bottiglia
sono diverse e tra loro intrecciate.
Se
le si guarda come risalendo una scala che dal profondo ci riporta in
superficie, la prima cosa che colpisce è il fatto che si tratti di
una girl che si
interessa di scienza (c'è da augurarsi che nel mondo anglosassone
questa non sia ancora questione da dibattere, come in Italia, dove
invece è necessario rimarcarla ogni volta con l'intento di farla
diventare, prima o poi, consuetudine, ovvero normalità).
La
seconda questione è proprio l'inestinguibile sete di conoscere che
si ha quando si è piccoli e quando - così sembra voler dire Jeffers
- quando si ha qualcuno con cui condividerla. in questo senso Jeffers
racconta di una 'rimozione' degli interessi passati, per mancanza di
entusiasmo e curiosità, spenti entrambi dalla sofferenza di una
perdita.
Quindi
dal gradino successivo si può ragionare di felicità e di tristezza,
laddove l'una è caratterizzata dalla relazione e l'altra dalla
chiusura (in bottiglia) è la relazione tra grandi e piccoli
(declinata con voci differenti: un nonno e una nipote, una adulta con
una bambina).
Se
si sale ancora si arriva alla questione della trasmissione, ovvero
della capacità di fare tesoro della propria esperienza e di
attingervi come patrimonio interiore. In questo senso è
paradigmatico il ripetersi della storia tra nipote e nonno, tra
ragazza e bambina (o madre e figlia, chissà). E qui si potrebbe
anche ragionare e interrogarsi sul concetto di reciprocità...
Un
gradino sotto la superficie Jeffers mette sul piatto una serie di
grandi domande: che cosa succede quando si perde la gioia? come ci si
difende dal dolore? come ci si cura dalla mancanza di qualcuno
importante? come si può far vivere serenamente il ricordo?
Può bastare.
Carla
Noterella
al margine. Una manciata di dubbi di traduzione, il maggiore riguarda
l'originale girl che in giro per il mondo è stato declinato come niña, Mädchen, petit fille, menina. Il
genere non è in discussione, è evidente, ma dietro quel 'ragazza'
italiano si nasconde la perplessità possa essere uscito da una traduzione
non troppo meticolosa, o al contrario, auspicabilmente da una molto
ragionata che nell'uso di quella parola voglia un po' strizzare
l'occhio in cerca di una complicità tra adulto e bambino lettore,
suggerendo una patina di maggiore 'spregiudicatezza' e
'consapevolezza' al personaggio.
Come
a dire, prendendo a prestito il titolo di un altro bel libro, Io
sono soltanto una bambina? Ma
no, io sono una ragazza!
Ah, beh!
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