lunedì 29 febbraio 2016

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


ANGELI O SUPEREROI?



Nonostante sia piuttosto breve, il primo volume de The Golden Legend. L'avversario, che Pierdomendico Baccalario pubblica per le Edizioni San Paolo, riesce a essere un compendio perfetto di due 'generi': il fantasy e il fumetto classico, quello dei Supereroi.
Il protagonista di questa vicenda, un ragazzo di nome Jay, è un cultore dei fumetti classici della Marvel e di Sandman, uscito dalla penna di Neil Gaiman. Vive con una zia strampalata su un barcone e insieme si spostano di continuo. Arrivati in una nuova città, Jay assiste a eventi straordinari e si trova coinvolto in una vicenda che sembra politica, parliamo dell'elezione di un sindaco, ma presto assume contorni misteriosi, per non dire metafisici. Durante al primo scontro cui assiste, viene raggiunto dal sangue di una creatura e ne resta segnato con una cicatrice che è il segno fisico, ma anche simbolico, dell'essere entrato a far parte di una vicenda più grande di lui. C'è una banda di teppisti, manovrata da oscuri personaggi dotati di poteri ancora più oscuri. Dall'altra parte, a contrastare le manovre del Male, ci sono personaggi che sconfinano nella religione: Maria, dai capelli 'velenosi', un certo Michele, dotato di una spada fiammeggiante.
Dunque il bene e il male prendono il loro vero volto, la loro accezione religiosa, di demoni e angeli. Oppure no, perché l'autore si diverte molto a confondere le acque e a riportarci là dove eravamo, ai supereroi e ai super poteri.
Lo stesso Jay, eroicamente, muore, forse; ma sempre e solo per entrare nell'esercito del bene. Dunque forse è morto, ma forse no. Il giovane lettore e la giovane lettrice si ritrovano in balia di un autore che in questa storia supera se stesso nel costruire un intreccio complesso e appassionante allo stesso tempo. Così come credo Baccalario si sia divertito a citare l'articolato immaginario dei mondi del fantasy e del fumetto. Le stesse illustrazioni, di Stefano Marrone e Lorenzo Fornaciari, richiamano esplicitamente il linguaggio fumettistico. Ma, nello stesso modo, l'approccio fantasy della narrazione si ritrova nello schema dell'eterna lotta fra bene e male, nello scontro fra gli eserciti nemici, nella necessità di schierarsi dalla parte giusta, costi quel che costi. La scheda del libro ci rivela che siamo di fronte allo scontro definitivo fra sette angeli e sette demoni, ma l'autore è molto bravo nello sviare il giovane lettore, inducendolo a ricostruire da sé la trama segreta della vicenda.
E' davvero una storia godibile, in cui l'autore ha messo una estrema cura nel linguaggio, che sottolinea la vicenda drammatica, ma ne sfuma i contorni nell'ironia, nel non prendersi troppo sul serio, nemmeno quando si descrivono i mostri e i demoni più repellenti.
Ancora una volta Baccalario dimostra di padroneggiare alla perfezione il meccanismo narrativo, il ritmo dell'azione, la giusta calibratura fra suspense e ironia. Con un grande tributo a quelle che devono essere state alcune letture fondamentali: Spiderman, Sandman e tutti quei meravigliosi eroi di carta che oggi sembrano essere tornati a svegliare l'immaginazione dei ragazzini. La scrittura scorrevole e la lunghezza contenuta ne rendono possibile la lettura a partire dai dieci anni, con l'augurio che faccia sorgere il desiderio di andare anche alla fonte, alla produzione Marvel e DC Comics.
Come dicevo all'inizio, si tratta di una prima avventura: mi auguro davvero che la storia continui e ci riservi nuove rivelazioni.

Eleonora

“The Golden Legend. L'avversario”, P.D. Baccalario, Edizioni San Paolo 2016

domenica 28 febbraio 2016


NO ZUCCHERO NO BURRO NO UOVA 
TORTA ANITA

È interessante rendersi conto di quanto il cervello riesca a risvegliarsi e a produrre soluzioni quando vengono fatte delle richieste insolite: il 17 febbraio è stato un compleanno importante, Anita, la mia pronipote, ha compiuto un anno!



La mamma di Anita, Miria, mi chiede di pensare a una torta che non contenga tutti quegli ingredienti che una piccoletta di quell'età è preferibile non mangi: zucchero, burro, uova.
Fino a qualche giorno prima era per me impensabile produrre un dolce non dico goloso, ma neppure commestibile, senza la presenza di queste basi.
Incredibilmente, dopo una serie di esperimenti, sono arrivata a una ricetta che mi è piaciuta molto e che sto replicando costantemente.

Ingredienti:

100 gr mandorle pelate
100 gr mandorle con pellicina
100 gr datteri denocciolati (meglio freschi, ma ora si trovano difficilmente. Vanno bene anche quelli secchi)
100 gr di latte di mandorla senza zucchero
80 gr di olio di semi di girasole
50 gr di farina tipo 0
1 mela golden
scorzetta di limone (o di arancia) grattugiata
1 bustina di lievito in polvere
granella di nocciole tostate per decorare

Mettete a cuocere in un pentolino la mela sbucciata e fatta a pezzi insieme a qualche cucchiaio d'acqua e la scorzetta di limone grattugiata.
Tritate le mandorle, sia quelle pelate sia quelle con la pellicina, in maniera da ridurle in farina. Tritate i datteri.
Unite mandorle, datteri e la farina tipo 0.
Aggiungete alle polveri il latte di mandorla e l'olio.
Aggiungete la mela cotta schiacciata con la forchetta.
Infine setacciate il lievito e unitelo al tutto.
Mettete il composto in una teglia di cm di diametro che avrete leggermente unto con l'olio e infarinato.
Livellate il tutto e cospargete la superficie con la granella di nocciole.
Mettete in forno a 180 °C per 35 minuti.



Auguri!

Lulli

venerdì 26 febbraio 2016

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)


NEVER ALONE IN THE WOODS

The Tea Party in the Woods, Akiko Miyakoshi
Kids Can Press 2015


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Grandma's house was on the other side of the woods.
Kikko set out, following her father's tracks in the fresh snow.
The woods were very still. And so quiet. Kikko's footsteps were the only sound."

In quel meraviglioso giorno di inverno, dopo una grande nevicata che ha coperto ogni cosa di bianco, Kikko si incammina tra gli alberi con un pacchetto. Attraversa il bosco silenzioso seguendo le orme del padre che, uscito poco prima di lei da casa, è diretto dalla nonna per aiutarla a spalare la neve.


In quel pacchetto c'è la torta che la mamma di Kikko ha preparato per la nonna e che il suo papà ha dimenticato di prendere. Correndo e seguendo le uniche orme nella neve fresca, la bambina con il suo cappellino rosso, intravede in lontananza davanti a lei il profilo di una figura che indossa un lungo cappotto e un capello.



Lo chiama nel silenzio assoluto, papà!, ma per volerlo raggiungere Kikko inciampa nella neve e il pacchetto si rompe. Con le lacrime agli occhi, Kikko si rialza e si lancia all'inseguimento. Lo segue per tutto il tragitto che la porta davanti a una strana casa nel bosco, una villa signorile che a lei non sembra di aver mai visto prima. Kikko vede suo padre entrare, lo segue e, da una delle grandi finestre del piano terra, la bambina vede l'incredibile. 


Quella figura che Kikko credeva del padre si rivela essere un grande orso bruno che, entrato nella casa, si toglie cappotto e cappello. "Sei qui per il tè?" le domanda una voce alle sue spalle. La bambina si gira e vede che a parlarle è una capretta in cappottino e borsetta. Con gentilezza la prende per mano e la conduce all'interno della casa dove, Kikko couldn't believe her eyes!, sono ad accoglierla tutti gli animali del bosco. 


In abbigliamento umano sono lì riuniti per prendere insieme un tè, per mangiare un buon dolce, per fare due chiacchiere e un po' di buona musica assieme. A fare gli onori di casa una signora daino. La gentilezza dei presenti mettono a proprio agio la piccola Kikko. Tutti hanno qualcosa di gentile da dirle e, quando scoprono che lei era diretta dalla nonna per portarle una torta e vedono il pacchetto così rovinato, non esitano a offrirle una nuova scatola che contiene così tante gustose fette di torta che ne fanno una tutta nuova e coloratissima. Con un nuovo fiocco rosso il pacchetto ora può essere portato alla nonna. Kikko, seguita da una meravigliosa banda musicale di tutti gli animali che l'accompagnano, riprende la strada del bosco.



Arrivata alla casa della nonna, incoraggiata dagli animali, bussa alla porta e lì, sorpresi di vederla, ci sono suo padre e la nonna.
"Tesoro, hai fatto tutta questa strada da sola?" le chiede la nonna. Kikko, a quel punto, girandosi per incrociare di nuovo lo sguardo con quello dei suoi amici animali, si rende conto che loro sono spariti alla vista.


'Non si è mai soli nel bosco.'

Un prezioso albo che arriva dal Giappone, passando per il Canada.
Un racconto per parole ed immagini che corre lungo la sottile linea che divide la realtà dall'immaginario. Il vero dal sogno. In un mondo tutto in bianco e nero una bambina colorata - gialli i capelli, rosso il berretto, la gonna e le muffole - va. Dal suo piccolo errore, lo scambio della figura del padre con quella dell'orso, si snoda un percorso inaspettato che la conduce in una dimensione fantastica, fiabesca.
Già un po' Cappuccetto Rosso, ma anche un po' Alice, Kikko lentamente si allontana dal mondo della realtà per entrare in quello del sogno per poi riuscirne nuovamente e rientrare nella dimensione che le è conosciuta.
L'immaginazione sboccia al di là di una finestra e ha il calore di un'accoglienza inaspettata, la gentilezza dell'ospitalità, il profumo del tè fumante e di un dolcetto farcito.
In quella casa tutto converge verso il sogno, verso 'la concretezza' di un sogno. Quella sensazione di reale che si prova per l'appunto sognando.
Nella storia di Kikko essa non si interrompe in modo brusco, ma al contrario la segue fino al momento del 'risveglio', ovvero dell'incontro con nonna e papà. Si tratta, credo di non sbagliarmi, di quella bella sensazione che per pochi istanti dopo il risveglio si prova al pensiero del sogno appena svanito. Un rapido voltarsi indietro con la mente verso ciò che fino a un minuto ci aveva incantato.
Meraviglia delle immagini, sapienza della lingua del colore (in un mare di grigio), tenerezza e poesia del racconto, perfezione dell'idea che lo attraversa.

Carla

giovedì 25 febbraio 2016

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


OLIMPIADI FLUORESCENTI



Un gradito ritorno, quello di Anne-Margot Ramstein, che abbiamo già ammirato per Prima Dopo: ora ci propone un tributo all'evento sportivo dell'anno, le Olimpiadi.
Anche in Olimpica la struttura del libro è la stessa: le immagini proposte a coppie che di volta in volta indicano una relazione fra azioni diverse. E questa volta, a differenza dal precedente, le parole ci sono, esclusivamente in forma di verbi.
Le relazioni fra i due momenti possono variare: nel ping pong a 'servire' non può che seguire 'rispondere' e quindi viene sottolineata una relazione causale. Ma in montagna si può scalare, ma anche camminare. Dunque il lettore o la lettrice devono sforzarsi ad interpretare di volta in volta il senso delle immagini.


Olimpica ha uno stile ancor più nettamente grafico, con tavole essenziali o affollatissime, dedicate a sport e attività sportive diverse. La scelta della gamma cromatica, con colori marcati, tendenti al fluo, ricorda decisamente un impianto da grafica pubblicitaria. L'effetto è sicuramente forte, ancora una volta l'autrice costringe il lettore a lavorare in proprio sull'immagine, ad interpretarla e appropriarsene. Se volete vedere qualche pagina aperta, ecco la pagina del blog dell'autrice dedicata a questo libro.


Le inquadrature variano, portando il soggetto vicinissimo o lontano, a fianco o sopra gli sportivi all'opera, un continuo cambiamento del punto di vista che impedisce qualsiasi fissità. Sembra di aver capito tutto, colto ogni dettaglio, ma ogni volta che si sfoglia, un particolare, prima sfuggito, s'impone all'evidenza. Un libro per appassionati di sport, ma anche di arte, che amino i rompicapo e le belle immagini, a partire dagli otto anni.


Eleonora

“Olimpica”, A.M. Ramstein, L'ippocampo junior 2016

mercoledì 24 febbraio 2016

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


ODORE DI CASA

Piccola Orsa, Jo Weaver (trad. Carla Ghisalberti)
Orecchio acerbo 2016


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Grande Orsa uscì dalla sua tana invernale.
Al suo fianco trotterellava incerta una cucciola ancora mezzo addormentata, con gli occhi socchiusi al sole di primavera. 'Ci sono così tante cose da scoprire nel tuo nuovo mondo, Piccola Orsa!' disse Grande Orsa.
Grande Orsa condusse la piccola nella foresta, dove, tra gli alberi, tutto si stava risvegliando. 'Il nostro viaggio comincia da qui' disse."



Grande Orsa fa strada alla piccola tra il folto della foresta, tra i tronchi fitti che lasciano passare solo pochi raggi di sole. L'aria è ancora frizzante, quando l'inverno cede il posto alla primavera e tutto comincia a svegliarsi. Il naso e lo sguardo di Grande Orsa segnano la direzione. 


È il suo naso che per primo esplora il naso di un riccio con i piccoli, in un incontro stereofonico tra mamme e cuccioli. È attraverso il naso che conoscono api e salmoni. Naso ed occhi sono quasi l'unica parte che resta al di sopra del pelo dell'acqua del lago, al momento di attraversarlo. Il naso e lo sguardo puntano alle stelle. Ed è attraverso lo sguardo che Grande Orsa capisce che sta tornando l'autunno: lo stormo di anatre che solca il cielo pieno di nuvole è il segnale. Di lì a poco calerà il freddo e la neve coprirà il terreno. Si alzerà un forte vento e, ancora una volta con il naso e gli occhi puntati come l'ago di una bussola, Grande Orsa attraversa il principio dell'inverno e trova di nuovo...odore di casa. E la casa che era stata il punto di partenza diventa ora il punto di arrivo. Il ciclo di un anno, stagione dopo stagione, si è svolto sotto i loro occhi, i loro nasi.

Una storia esemplare nella sua semplicità. Una storia in cui si intrecciano temi universali quali la cura, la condivisione, lo scorrere del tempo attraverso le stagioni, le prime scoperte ed esperienze di chi è nuovo al mondo.


Una storia dove gli uomini non entrano.
Solo una Natura potente, due femmine orse e il tempo che passa.
Sebbene Grande Orsa sia una montagna di pelo, plantigrado dalle lunghe unghie e da centocinquanta chili di peso, è immediato riconoscere in lei l'essenza dell'affetto materno, comparabile a quello di una donna. Così come nella Piccola Orsa è facile leggere certa sventatezza propria dei piccoli, bambini inclusi, in quel suo appendersi ai rami bassi degli alberi e in quel suo saltare improvviso, quasi da gatto, al frullare del vento tra le foglie.


Asciugato il testo da ogni concessione a leziosità e a sdolcinatezze, il libro procede per grandi tavole in bianco e nero che riproducono gesti allusivi a comportamenti consoni ad ogni maternità, sia animale sia umana, in estrema sintesi assimilandoli tutti in un unico paradigma.
Colpisce infatti la grande tenerezza che suscita nel lettore il riconoscere in Grande Orsa e Piccola Orsa quel legame intensissimo e unico che esiste tra genitori e prole. Pur senza mai usare la parola mamma e la parola figlia.


L'altro elemento che non può non passare inosservato è il fatto che sia una storia tutta al femminile. Una storia dove i maschi non entrano.
In un momento delicatissimo per la coscienza di genere, un libro come Piccola Orsa diventa immediatamente una sorta di avamposto per la difesa della libertà di racconto. Nel riconoscergli questo merito, penso a tutti coloro i quali hanno avuto l'ardire di 'sparare' su molti capolavori della letteratura per l'infanzia, tacciandoli di un loro presunto ruolo diseducativo per quanto riguarda le questioni di genere e per quanto riguarda i modelli familiari sui generis che contengono.
La lingua inglese, rispetto a quella italiana così ricca di sfumature, nell'uso diffuso del genere neutro, ha quindi 'regalato' una straordinaria possibilità alla casa editrice Orecchio acerbo di vedere in quel cucciolo, il Little one in originale, una cucciola. E in tal modo, lontano dal chiacchiericcio spesso un po' becero che è nato intorno al tema, si è voluto trovare una risposta concreta e tangibile, ovvero un libro con la sua storia da raccontare.
Circostanza che, alla lunga, sono certa, si rivelerà vincente su ogni teoria di genere e su ogni imposizione di un modello di famiglia tradizionale.
Un libro prezioso, a partire dal titolo che brilla in copertina.

Carla

Noterella al margine: con le parole della stessa Jo Weaver dalle pagine di The Guardian seguiamo il pensiero che ha dato vita al libro. Prezioso, ancora una volta.


martedì 23 febbraio 2016

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

FESSO O CATTIVO


Fesso, di Mark Goldblatt, edito da poco da Il Castoro, è un romanzo complesso, dal titolo accattivante e fuorviante, che potrebbe alludere alle tante serie di successo dedicate ai ragazzini delle scuole medie. E con una vistosa copertina che si comprende solo alla fine.
La narrazione parte con mano leggera nel descrivere il diario del protagonista, Jullian, messo in punizione dal professore di lettere e costretto a descrivere le sue giornate.
Che sono poi le giornate normalissime di un ragazzino, il più veloce della Scuola Pubblica n.23, alle prese con le amicizie, i difficili rapporti con l'altro sesso e con il perverso meccanismo che trasforma un ragazzino normale in un bullo.
Jullian, dunque, è la normalità fatta persona, ha un gruppo di amici, di cui uno, Lonnie, è davvero un amico speciale, per il quale vale la pena scrivere una lettera d'amore fasulla per una ragazza, Jillian, che forse piace anche al protagonista. Ne deriva una complicata situazione, piena di equivoci, 'tradimenti', nuovi amici, come il gigantesco Eduardo, proveniente dal Guatemala.
Sono gli anni Sessanta e la socialità dei ragazzi non è virtuale, come ora, ma molto fisica; ci sono i muretti, gli spiazzi abbandonati, come il Ponzini, dove i nostri ragazzi passano il tempo e combinano guai. Quel genere di guai, come giocare con i petardi, che fanno venire i capelli bianchi alle mamme.
Jullian ci descrive, dunque, le sue amicizie, le sue delusioni, gli incontri, le dinamiche all'interno del gruppo di amici; quelli che davvero ti sostengono e quelli che ti mettono nei guai. Organizzando, magari, la Giornata del Tontolone Strapazzato, l'episodio all'origine del diario e che spiega perché Jullian si senta così in colpa.
Senza svelare il colpo di teatro finale, va detto che man mano che ci si avvicina al momento clou della narrazione, il tono perde la sua leggerezza e l'aura di beata incoscienza che permea i primi capitoli. E si finisce col chiedersi come dei bravi ragazzi possano diventare dei piccoli mostri. Salvo poi redimersi, perché siamo pur sempre in un libro per ragazzi. E' sicuramente la parte più originale ed incisiva di tutto il racconto, con la descrizione precisa del meccanismo mentale che porta un gruppo di persone ad avere comportamenti che i singoli non avrebbero mai.
Bella materia di riflessione, descritta in modo non moralistico, al contrario molto aderente alla realtà psicologica dei gruppi di ragazze o ragazzi: l'esclusione e l'inclusione, il farsi trascinare in situazioni sbagliate, il senso di colpa e, perché no?, la presa di coscienza, che può essere il passaggio al diventare grandi.
Mi sembra che il romanzo di Goldblatt, che scorre leggero per buona parte del libro, descriva bene il mondo dei ragazzini, maschi soprattutto, alle prese con la fatica di crescere e di costruirsi i propri legami sociali. Peccato solo qualche lentezza, qualche digressione troppo lunga, che appesantisce il buon ritmo del racconto.
Lettura impegnativa per ragazzi e ragazze a partire dai dodici anni.

Eleonora

“Fesso”, M. Goldblatt, Il Castoro 2016



lunedì 22 febbraio 2016

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


FENOMENOLOGIA FANTASMATICA

Storie di fantasmi per il dopocena, Jerome K. Jerome, Umberto Mischi
(trad. e adattamento di Irene Scarpati)
Biancoenero Edizioni 2016


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Era la vigilia di Natale.
E' sempre la Vigilia di Natale, nelle storie di fantasmi.
La Vigilia di Natale è la notte di gala dei fantasmi. E' la loro festa annuale.
Una volta l'anno, la Vigilia di Natale, i fantasmi escono per mostrarsi in pubblico: per vedere e farsi vedere.
Per mostrare il proprio lenzuolo da fantasma e per criticare il lenzuolo degli altri."

A Tooting, quella Vigilia di Natale, a casa dello zio John intorno a un tavolo sono riuniti sei uomini. Sei gentiluomini. La zia è appena andata a letto.
Dopo una cena ottima e dopo aver bevuto vari punch al whisky e uno al gin, dopo aver giocato a carte, i sei amici cominciano, a turno, a raccontare le loro storie di fantasmi come richiede la tradizione.
La Vigilia di Natale è la notte ideale per farlo: fuori fa freddo, c'è un gran fango sulle strade e tutti sono rintanati in casa tra amici e parenti. Tutti vivi. Cosa c'è di meglio che evocare tombe, cadaveri, assassini e sangue in una serata così festosa?


Sarà per questo che anche da parte dei fantasmi c'è questa predilezione per uscirsene proprio la sera del 24 dicembre. Anche se, talvolta, si fanno vivi -ops!- anche in altre ricorrenze particolari: la Vigilia di Ognissanti, l'anniversario di qualche impiccagione o, più semplicemente, in occasione della predizione di una qualche prossima sventura.
A seguito di una introduzione sulla fenomenologia dello spettro, i quattro racconti di fantasmi che si susseguono quella sera sono a dir poco emblematici. Apre la lacrimevole storia di Johnson un fantasma, amante fedele, partito per l'Australia in cerca di fortuna per aver modo di chiedere in moglie l'amata Emily. Al suo ritorno, dopo vent'anni, di lei non c'è più traccia; tuttavia un po' di estro, del buon marmo e uno scalpellino compiacente gli doneranno la pace. 

 
Pace interiore di cui gli spettri inquieti sono sempre in cerca.
Di inquietudine, di avarizia, di dabbenaggine si occupa la storia del cugino Joe che, in sole tre settimane, demolì pezzo dopo pezzo, la sua nuova bella casa per dar retta al fantasma secco e curvo del mugnaio che gli appariva ai piedi del letto ogni notte.
Degli altri fantasmi tacerò.


Ho cinquantasei anni e ho una certa contezza, maturata nel tempo, di cosa distingua dal resto del mondo gli abitanti della grande isola del Mare del Nord, e che riassumerei in un unico fatale aggettivo: BRITISH.
Già la sua traduzione in italiano, britannico, lo svilisce di un po'.
E, affermandolo, sono certa di non impantanarmi in alcun luogo comune.
Sotto l'etichetta british si cela una comunità fatta di uomini e di donne dal polso di ferro, orgogliosi conquistatori e consapevoli 'dominatori del mondo' per un bel po' di tempo, finissimi letterati, guidatori prudenti sull'altra corsia, estimatori entusiasti di porridge e pudding, distaccati osservatori delle altrui passioni.
Ma soprattutto, uomini e donne che dell'ironia tagliente hanno bisogno come dell'aria, per sopravvivere. Umorismo che gela e che 'tutti gli altri' - i non britannici - definiscono, come per difendersene, humor inglese.
Jerome Klapka Jerome è uno dei più distinti utilizzatori di sense of humor che la letteratura ci abbia regalato.
E, come se non bastasse, è un fine letterato.
Se il sanguigno mediterraneo da un lato si sente gelare di fronte alle raffinate freddure di un inglese, dall'altro ne irrimediabilmente attratto.
Io sono fra questi. Per tale motivo, con un lieve tremore ai polsi, anni fa proposi ai ragazzi con cui lavoravo sul tema del viaggio Tre uomini in barca. Temevo che me lo avrebbero tirato dietro: la storia di tre amici e di un cane chiusi in un microcosmo asfittico, una barchetta che naviga lentamente lungo il Tamigi. Temevo che gli interminabili battibecchi tra J., George, Harris, sotto gli occhi pazienti di Montmerency, costruiti su inezie, sfiancassero la pazienza di lettori alle prime armi. Temevo che il linguaggio affettato, espressione del noto autocontrollo inglese, fosse lontano anni luce dall'eloquio pimpante di ragazzini e ragazzine del Duemila.
Mi sbagliavo, oh quanto mi sbagliavo. Hanno letto e, nel leggere, hanno riso a crepapelle. E allora gioisco nel pensare che Biancoenero regali, ovvero ripubblichi (la prima edizione del 2010), un altro piccolo gioiello 'so british' e che lo faccia, per di più secondo i criteri dell'alta leggibilità, attraverso un curato adattamento di Irene Scarpati.
Contravvenendo alla tradizione delle storie di fantasmi da raccontare soprattutto nella Christmas Eve, ne consiglio la lettura tutte le sere dell'anno!

Carla


domenica 21 febbraio 2016


PIRASKJ. DALLA RUSSIA CON AMORE

Tra i miei parenti acquisiti c'è Vadim, trentenne russo/siberiano che vive in Italia da quando aveva otto anni. La Russia, le sue tradizioni, le sue atmosfere, i colori e molto i sapori sono per lui intessuti insieme al suo essere bambino, ai suoi affetti più cari.
Essendo un abile cuoco è spesso tra i fornelli, ma solo qualche volta sceglie di cucinare una ricetta della sua terra. L'occasione porta sempre con sé anche un tuffo nelle emozioni dell'infanzia e il cibo viene accompagnato da racconti e ricordi.
Qualche settimana fa, in una di queste cene, ho potuto gustare i piraskj, fagottini a base di pasta di pane imbottiti di verdure.
La versione che ho assaggiato e che vi propongo li vedeva ripieni di patate e funghi.


Ingredienti
(Per circa 15 pezzi)
750 gr di pasta di pane. Se non avete voglia di prepararla va bene anche quella pronta per la pizza
4 patate grandi
30 gr di porcini secchi
1 cipolla piccola
Burro, olio e sale


Iniziate mettendo a bagno i funghi in una tazzina di acqua calda e facendo lessare le patate sbucciate ma intere. Devono essere ben cotte, ma non devono disfarsi da sole.
In una padella fate soffriggere la cipolla tagliata sottile in olio in cui avete sciolto una noce di burro.
Quando la cipolla inizia a scurirsi unite i funghi scolati e tagliati a pezzettini.
Lasciare cuocere fino a che il tutto non sarà dorato e morbido.
Schiacciare le patate con la forchetta, salare e amalgamare ai funghi.
Stendete la pasta portandola a circa 5 mm di spessore. Tagliate dei dischi di circa 12 cm di diametro (di sicuro avete una ciotola della misura giusta).
Riempire i tondi con qualche cucchiaio di patate e funghi e chiudete bene premendo i bordi.
Cuocere in padella con olio di oliva ben caldo, girando man mano i piraskj su ogni lato.
Devono prendere colore ma attenzione a non bruciarli.
Vadim dice che sono buoni sempre e comunque anche freddi, ma il mio consiglio è di mangiarli caldi.
 Gabriella