lunedì 24 giugno 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

HEIDELBACH: UN FATTO PER I RAGAZZINI 

Marina, Nikolaus Heidelbach (trad. Valentina Vignoli) 
#Logosedizioni 2024 


ILLUSTRATI 

"L'abbiamo trovata in spiaggia mio fratello e io. 
L'abbiamo portata a casa. 
La mamma ha detto che poteva restare a vivere con noi. 
Le ho dato la mia camera e mi sono trasferito da mio fratello. 
L'abbiamo chiamata Marina." 

Marina è una ragazzina che per il momento non fa altro che annuire e scuotere il capo per dire sì o no. Non per questo resta esclusa dalle conversazioni casalinghe, anzi ascolta con attenzione e mangia di buon appetito, sopratutto il pesce. Piano piano comincia a parlare anche lei, poche parole isolate, ma fa rapidi progressi e quando un giorno, con il fratello minore, va al parco e un signore la prende in giro per il colore scuro della sua pelle lei gli addenta una coscia. Tocca scappare alla svelta. Marina fa il bagno con la porta chiusa, tutti i giorni. Un giorno ha cominciato a parlare come un fiume e non ha più smesso. Racconta cose magnifiche della sua vita nel mare: si chiama davvero Marina e suo padre è il re e sua madre la regina dei mari. Con le sue numerose sorelle viveva in castello magnifico con mille attrazioni. Ma poi un litigio con una delle sue sorelle principesse l'ha spinta a fuggire. Il fratello più grande alza gli occhi al cielo, la provoca e non le crede e, quando lei racconta quella che lui crede essere l'ennesima panzana, la offende dicendole che lei in mare non ci è mai stata... 

I libri di Heidelbach non sono mai facili (per i grandi, almeno). E neanche questo fa eccezione. Come sempre accade con le sue storie, la stratificazione di significati si presenta sempre molto impegnativa, a patto che la si voglia vedere e si desideri andare a vedere cosa c'è al di là di quel diffuso senso di inquietudine che gli adulti colgono e che caratterizza il poco testo e le immagini. Spesso, purtroppo, molti di loro, colti da questa vaga sensazione di disagio, si fanno spaventare e mettono giù il libro, dicendosi: naaa, non fa per me... figuriamoci per mio figlio... 
Questo è per dire che il sogno che Heidelbach in Italia sia un autore per tutti resta un sogno: una chimera. E chimera resta il fatto che capiti nelle mani giuste, quelle dei ragazzini. 

© Nikolaus Heidelbach

Tuttavia potrebbe capitare che qui passi qualche adulto più coraggioso e più illuminato. Qualcuno che i rari libri di Heidelbach che valicano le Alpi li aspetta fremente. 
E allora a quel qualcuno si può parlare di Marina
Andiamo a vedere la superficie e la profondità di questa storia. 
In superficie c'è una storia con un 'gancio' più facile, e molto evidente: la bambina emigrata da accogliere. Sempre in superficie ci sono tutti gli elementi consueti delle molte altre storie analoghe: è sola, ha difficoltà a comunicare, ha tratti somatici inconfondibili, su di lei lo stigma di essere diversa. Poi, di fronte alla domanda regina, che è spesso dietro a storie così : è arrivata qui, cosa ci facciamo, adesso (L'isola di Armin Greder docet)? Heidelbach si tuffa e va giù giù. 
Lui, che è lontano mille miglia da ogni retorica, sceglie di raccontare qualcosa di diverso, qualcosa che conosce molto bene: la mette letteralmente nelle mani di due ragazzini, fratelli, che la maneggiano fin dal principio ed è così che noi la conosciamo. Attraverso la loro relazione reciproca tutto assume spessore e senso. Con tutto quello che ne consegue. 
Si contano sulle dita di una mano quegli autori che se ne impipano della spiegazione, dell'insegnamento, della morale, in nome di una lealtà nei confronti dell'infanzia: Heidelbach dimostra ancora una volta di saper raccontare la potenza dell'infanzia con una onestà sconcertante. Sconcertante per i grandi, ovviamente. 
Ecco, questa è la sanissima inquietudine che attraversa le sue storie. 
Così Marina diventa un fatto di ragazzini. E come tale va letto. 
I due bambini, come spesso fanno i bambini, vanno dritti al punto e non si curano più di tanto delle farraginosità in cui potrebbero incappare: la trovano e la portano a casa. La mamma dice che può restare. Arriva una poliziotta e la madre gli inventa qualche scusa e quella se ne va. 

© Nikolaus Heidelbach

E anche in questo Heidelbach si allinea a quel modo di leggere il mondo ed evita tutto quello che potrebbe solo appesantire il percorso verso il nocciolo della questione. 
Il più piccolo, il più bambino dei due, le fa spazio e soprattutto le crede (anche la madre dà a vedere di farlo, ma è tutt'altra cosa). 
Il fratello più grande, che purtroppo ha perso quella capacità di viaggiare sul crinale tra la realtà e l'immaginazione, tra il vero e il possibile, è l'ostacolo, il granello che inceppa il meccanismo... 
E Marina? Heidelbach come le dà vita? Con la stessa sensibilità profonda con cui ci ha raccontato i due fratelli tra loro e i due fratelli con lei. Non c'è una sola parola, o un solo gesto dei due fratelli, che un bambino vero non pronuncerebbe o non farebbe e quindi non riconoscerebbe come suo. L'ho detto fino allo sfinimento: Heidelbach è uno dei migliori narratori di infanzia (e di umanità tutta) che mi sia capitato di incrociare. E anche qui accade lo stesso.
 
© Nikolaus Heidelbach

Il bambino piccolo è tutto fede, il fratello maggiore è tutto disincanto. La madre è tutta cura. Il passante al parco è a suo modo un'icona, di una fetta di popolazione... 
E Marina, dunque? Qui Heidelbach va ancora più in profondità: ne dà un'immagine che tiene conto di un sacco di cose non dette. Cosa l'abbia spiaggiata il giorno in cui i due fratelli la incontrano, possiamo intuirlo - Heidelbach non lo dice di certo ma disegna una copertina e un frontespizio piuttosto eloquenti - di sicuro lei sta scappando da una realtà traumatica e sta cercando di costruirsi una nuova realtà, una nuova identità. E le uniche cose che ha per le mani sono le cose che la circondano. 

© Nikolaus Heidelbach

Forse il poster con la sirena che è sul suo letto rappresenta per lei un punto di partenza... Si tratta dell'unica via di scampo che è in grado di darsi per andare avanti. Ragion per cui i suoi racconti sembrano inverosimili, in quel loro essere specchio "sottomarino" del mondo terrestre che lei ora ha davanti: il regalo per il compleanno, i saldi nel centro commerciale Sirena, le litigate fra fratelli, i parchi, le piscine e gli ottovolanti compresi. Sembrano inverosimili, illogici e impossibili, nelle sue parole, ma sono invece quanto di più autentico e possibile ci possa essere. Rappresentano il desiderio di una ragazzina di inventarsi una verità alternativa, per rimuovere la verità fatta di dolore da cui è appena fuggita. 
Il finale: il finale è ancora più heidelbachiano di tutto il resto. Pieno di mistero, di cose non dette perché i lettori ci possano entrare per farci i conti. Un unico indizio lo dà nelle risposte dei due fratelli, fino all'ultimo quei due son diversi. 

Carla

venerdì 21 giugno 2024

ECCEZION FATTA!

UN SEMINO NELLA SCARPA 

Papiro, Sante Bandirali 
Marcos y Marcos 2024 


Sta qui dentro, in Lettura candita per tre soli punti di tangenza. 
Il primo punto di tangenza dipende dal fatto che racconta la storia di un piccolo, davvero piccolo e dei suoi primi anni di crescita in famiglia. 
Il secondo punto di tangenza sono i molti libri di cui si parla, in modo velato o anche in maniera esplicita che riempiono gli scaffali della casa e ai quali il bimbetto non si mostra indifferente. 
La terza tangenza sta nella testa dello scrittore, che è la stessa testa dell'editore Uovonero, i cui libri spesso qui fanno la loro comparsa. 
Tre tangenze e chiudiamo il cerchio. 
Non lo definirei un libro per bambini o ragazzi anche se non ne vieterei loro la lettura, perché comunque la storia guarda con un certo disincanto e una buona dose di ironia il complicato rapporto tra genitori e figli. 
La storia è presto detta: due improbabili personaggi, Sofia Savi e Brando Cerberoni, sono marito e moglie ed entrambi sono sapientissimi studiosi (di ogni cosa). Tutto questo sapere, frutto di anni e anni di studi matti e disperatissimi, potrebbe perdersi con la loro fine terrena, quindi decidono di mettere al mondo un figlio. Pianificato tutto fin nei minimi dettagli, il bambino arriva: è Papiro. Perfetto come loro, amatissimo e sorridente con una unica ombra, diciamo piuttosto una peculiarità, che con il passare dei mesi incrina le loro sicurezze... 
Da questo punto in poi, parte una grande sarabanda di riflessioni e pensamenti, ricerche e ragionamenti, nonché un buon numero di batoste che spaziano dall'ambito della medicina convenzionale a quello della filosofia, dalla logopedia (sto rivelando troppo?) alla paleografia, fino alla chiromanzia... per far sì che Papiro ottenga agli occhi del mondo un posto luminoso e preminente. 
Peccato che in tutto questo turbinio si stia perdendo di vista cosa Papiro sia prima di ogni altra cosa: un bambino. 
Cuore di mamma e cuore di papà, lascia fare a noi che siamo grandi, tu sei nostro figlio e quindi dovrai essere il migliore! 
Papiro, almeno al principio, è un racconto che cresce piano, tra un'ironia e l'altra: nella nomenclatura (dove ci sono una serie di apici interessanti), nel contesto, nelle singole situazioni descritte - una su tutte l'atto di procreazione che dura tre secondi esatti, ma garantisce una perfetta riuscita del progetto, magari a scapito della soddisfazione personale e del ricordo... 
Brando e Sofia sono due intellettuali 'spinti' e Bandirali nel raccontarli si prende gioco di loro, del loro habitat e della loro inaffondabile sicumera. Ma Brando e Sofia sono al contempo anche due genitori e Bandirali anche su questo aspetto non perdona. Li guarda perplesso, li ridicolizza, li rende goffi, sorride della loro mancanza assoluta di senso delle cose. Ironico spesso e volentieri, al limite del sarcasmo, li compiange e nello stesso tempo li guarda con l'affetto del creatore, ma così facendo si toglie dalla scarpa un bel semino... e sotto sotto si mette lì a ragionare - per contrasto - su cosa significhi essere buoni e onesti genitori e bambini nuovi alla vita. 
Accanto a questo che rappresenta il nocciolo della storia, Bandirali mette intorno molta altra polpa che colpisce per originalità di visione. Sto pensando alla breve ma esilarante divagazione sul frammento autografo del Vangelo di Marco che per chi ha fatto, come la sottoscritta, ben due annualità di Paleografia e diplomatica con il mai dimenticato e compiantissimo professor Petrucci, assume un valore ancora più emblematico ed esilarante. 
E ancora. Ci devono colpire, a poche pagine dalla fine, le soluzioni che mette in campo e una su tutte, il repentino cambio di registro, di prospettiva, di narratore in un inaspettato quanto felicissimo meta racconto che è un piccolo gioiello per uscire indenne da una storia che poteva diventare una strada senza uscita. 
Va da sé che il finale, di cui non posso dire nulla, mi apre il cuore perché è affidato a un abbecedario che contiene Van Gogh, Leonardo, Caravaggio & co. 

Carla

mercoledì 19 giugno 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

DI PAROLE, DI NUMERI, DI LIBRI E ANCHE UN PO' DI DAHL 



Perché, caro lettore, non si può rimettere una quercia dentro una ghianda.
Non si può rimettere un temporale dentro una nuvola.
Non si può rimettere un milkshake dentro la mucca.
Hai capito, insomma. Mira era uscita nel mondo, e non aveva intenzione di tornare a rintanarsi nella sua vecchia vita soffocante. Non poteva farlo. E non l’avrebbe fatto.”


E’ un libro sugli adulti distanti.
No, è un libro sul potere dei libri.
No, è un libro sulle domande (addirittura una è nel titolo!).
No, è un libro sui tassi (quelli animali, intendo).
A cosa servono le persone? di Sara Pennypacker è un po’ tutto di quelle quattro definizioni, e anche più, come lo sono i libri di spessore. E di spessore ne ha da vendere, viste le quasi 300 pagine che lo compongono e che filano via dritte come quando un tasso vede un prato da scavare.
E’ la storia di Mira Fiordispina che ha circa nove, dieci anni: lei non lo sa di preciso perché i suoi genitori non hanno ritenuto che la sua data di nascita così importante da doversene ricordare. D’altro canto, per sua madre: “Un bebè è un accessorio di moda che completa il look inconfondibile di una persona”.
La signora Fiordispina è la sindaca della ridente città di Strambore, mentre il signor Fiordispina ne è il tesoriere. Due sono le parole d’ordine dei malefici genitori: soldi e fama! Tutto il resto è niente, tant’è che, dopo che Mira è stata usata per mirabolanti foto mentre era in fasce, ora serve solo come sguattera e cuoca della perfida coppia. Inoltre è sottoposta a severe clausole tutte raccolte nel Manuale del dipendente, scritto di volta in volta dal padre, dove è chiaramente enunciato che è vietato a Mira andare a scuola semplicemente perché è vietato abbandonare il luogo di lavoro.
Ma Mira legge. E legge quello che ha, ossia la Gazzetta di Strambore che riporta la notizia che a breve aprirà una nuova scuola e quindi chiede di poter andare. Gli scudi dei genitori si alzano subito, il Manuale sancisce il divieto.
“Voglio stare con le persone!” azzarda Mira.
Persone?
“A cosa servono le persone?” grida suo padre.
Proprio non ne sanno niente di bambini, questi due allocchi: non sanno che alcune domande mettono in moto i bambini e poi tu non li vedi più. E così fa Mira che per rispondere a una domanda decide di oltrepassare la siepe del suo giardino. E dietro lì cosa si nasconde? Una biblioteca!
Si può dire inizi qui il libro. Con gli incontri di Mira: finalmente sta con le persone e piano impara a cosa servono. Prima incontra Harry Fiorini, ragazzo bibliotecario per procura. Poi incontra sua zia Pauline Fiorini, vera bibliotecaria con ginocchia conciate e grandi capacità pasticcere (Pauline ci offre una visione della vita basata sui biscotti, già questo dice tanto su a cosa servono le persone). Poi incontra il fantastico Osmund, che esce di casa solo con tuta protettiva contro i mille colpi di scena della vita. Poi fa amicizia con Fern, una bambina lettrice che si occupa di 7 fratellini e 2 bisnonni mentre i suoi sono al lavoro.
E infine Bob, il tasso, vero deus ex machina dell’intreccio e scontroso animale scavatore di buche.
Ora a me per sviscerare un po’ questo libro, mi vien voglia di dividerlo in parole. Tipo così:
DAHL [Roald]: anche nella quarta di copertina viene citato il famosissimo autore inglese in relazione al libro della SP. Ed è vero che di lui riconosciamo due aspetti fondamentali per la sua poetica: la meravigliosa cattiveria degli adulti, in particolar modo se genitori, e la caparbia e ostinata innocenza e bellezza della piccola protagonista. Ossia da una parte i monoliti adulti e dall’altra il movimento a crescere dei piccoli protagonisti.
NUMERI: Mira adora i numeri. Di fatto è lei che trova le quadre per il lavoro contabile del padre. I numeri sono la sua specialità e spesso i suoi ragionamenti sono perlopiù ragionamenti logici. I numeri sono la sua stanza di sicurezza, la consolano e la salvano. Incontrerà nel suo sentiero anche Osmund che invece usa i numeri come percentuali di probabilità di incidenti e malattie a dimostrazione del fatto che i numeri possono essere buoni o cattivi, dipende da chi e da come li si usa.
PAROLE: tutti i giorni Mira legge una rubrica dal titolo “Arricchisci il tuo vocabolario” sulla Gazzetta di Strambore, e ogni giorno impara una parola nuova e ogni giorno con esattezza la applica alla realtà che pian piano scopre allontanandosi sempre più da casa. Questa sull’esattezza delle parole e sulla scoperta della novità è un po’ il filo rosso del libro. Mira non solo non conosce il mondo ma non ne conosce nemmeno le parole. Come con i numeri anche con le parole Osmund è la sua nemesi perché conosce parole e mondo ma ne ha una fifa blu, a dimostrazione del fatto che saperle non ti porta dritto alla felicità.
A questo punto è doveroso passare anche alla nostra quarta parola.
LIBRI: sì, si può dire sia un libro sulla potenza dei libri, sulla loro fondata capacità di decifrare persone e mondi. Mira scoprendo i libri, comincia ad aver accesso alla moltitudine. E non solo narrativa è! Ma anche saggistica e teatrale (il teatro è un co-protagonista che spicca nella trama narrativa del libro). I libri sono anche un terreno su cui confrontarsi, come fa con Fern, altra appassionata lettrice: “Mira e Fern avevano letto molti degli stessi libri, perciò avevano l’impressione di essere cresciute insieme”.
Sara Pennypacker, autrice del già ottimo Pax e del suo prosieguo, continua a parlarci di giovani anime che cercano casa, che camminano e che crescono, che si interrogano e osservano il mondo e le persone senza pregiudizi. Così fa anche in A cosa servono le persone? alzando però, a mio parere, il tiro. Parlando anche della nostra società, della facilità con cui perdiamo la visione generale della vita. Mira invece è come il suo nome, arriva al punto, rovistando, come Bob, e crescendo.
Quanto a Matthew Cordell, fa in modo che le sue illustrazioni non siano mero apparato di rispecchiamento. Anzi… Opera una piccola azione sovversiva. A voi scoprirla. Fate come Mira, chiedetevi cosa succede.

Valentina

"A cosa servono le persone?Sara Pennypacker, Matthew Cordell (trad. Paolo Maria Bonora) 
Rizzoli 2024





lunedì 17 giugno 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DA SEIN 

Oggi come stai? Kathrin Schärer (trad. Claudia Valentini) 
Il Castoro 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni) 

"Sono incuriosito." 
"Sono impaurito." 
"Sono felice." 
"Sono triste." 
"Sono nei guai." 

Ogni volta un'emozione, uno stato d'animo, attraversa gli animali che lo esprimono attraverso l'espressione di musoni e musetti e attraverso la loro postura del corpo. 
Un ermellino è impaziente e si sporge in avanti per capire perché la fila per comprare il gelato vada tanto a rilento... 
Un elefante è indeciso su che gusti scegliere per il proprio cono gelato fa sì che dietro di lui la coda di altri clienti spazientiti si allunghi...


Uno scoiattolo dal dentista si fa ancora più piccolo di quel che già è, perché tra poco tocca a lui finire sulla sedia reclinabile a bocca spalancata... 
Un giovane coniglio si sente escluso perché per lui apparentemente non c'è posto sullo slittino su cui gli altri tre stanno per lanciarsi in discesa, esultanti... 

Sembrerebbe uno dei tanti libri che negli anni l'editoria per l'infanzia ha pubblicato sulla questione della catalogazione delle emozioni. Ce ne sono davvero tanti, di qualità diversissima. 
Ricordo un antesignano, Emozioni di Mies Van Hout, del 2011, che Lemniscaat pubblicò, infrangendo uno dei tabù più resistenti dell'editoria per l'infanzia: il fondo nero in cui vari pesci sguazzavano, tristi, nervosi, annoiati o spensierati. 
Sembrerebbe, ma non è. 
Le cose che mi hanno fatto rizzare le orecchie sono due: il fatto che sia un libro di Kathrin Schärer e il fatto che il suo titolo originale, in tedesco, sia: Da sein. Was fülhst du? 
Partiamo da Kathrin Schärer. 
Purtroppo, pur essendo una grandissima illustratrice e autrice, che ha pubblicato libri magnifici, in Italia di titoli a sua firma ne circolano ben pochi. Eppure.
L'ho sempre considerata è una delle migliori nel disegnare - e rendere espressivi alla massima potenza - gli animali, con quelle sue matite che non si allontanano mai troppo dai grigi ai bruni. Accanto a questo grande talento, va riconosciuta anche la sua sottile ironia, che attraversa tutte le sue tavole. 
Spesso in coppia con i più grandi da Pauli a Hohler, passando per Schami, ma anche da sola ha concepito libri molto significativi.


Insomma, Kathrin Schärer ha moltissimo da dire e mai banalità. Almeno non fino ad adesso. 
Dal che se ne deduce che questo libro, oltre alla qualità evidente delle illustrazioni, non può essere uno dei tanti libri sulle emozioni, che lasciano il tempo che trovano... 
E così si passa alla questione del titolo che lei ha scelto: Da sein. In tedesco Da sein significa letteralmente essere lì, o in senso più lato il termine Da sein o Dasein (tuttoattaccato) vuole significare esserci, essere presente (strizzando l'occhio a Heidegger, solo per citare il più recente), ma anche più semplicemente l'esserci, nel senso di sperimentare la vita, essere al mondo. 
Tutto questo nel titolo italiano non è sopravvissuto. Ma resta il fatto che la Schärer, nel renderlo centrale, abbia voluto rivolgersi non solo ai bambini (Was fülhst du? ), ma anche ai grandi (Da sein) che questo libro prenderanno in mano per leggerlo ai più piccoli. 
E questa scelta si può facilmente presumere sia dettata, non solo da tale contingenza, ma soprattutto da una consapevolezza molto più profonda: le emozioni sono territorio che un grande e un piccolo condividono!
 

Quindi ancora una volta, come si diceva pochi giorni fa a proposito di Maria Parr, siamo di fronte a un libro che attraversa territori di comune appartenenza, regioni emotive che grandi e piccoli possono riconoscere e attraversare alla pari. 
Dunque, quel titolo enigmatico e filosofico e quel sottotitolo was fülhst du?, come ti senti? cosa provi? come stai? io lo intenderei più provocatoriamente rivolto a tutti e non solo ai più piccoli, per via degli angoli stondati, dei topini e degli scoiattoli in copertina... 
Per questa precisa ragione penso che sarebbe un bel divertimento e un cimento, nonché una bella prova di maturità educativa, se un grande e un piccolo - preventivamente coperto il testo - si confrontassero con le singole trenta immagini e ne potessero dare una loro personale interpretazione E non solo verbale, ma volendosela godere fino in fondo, anche espressiva. 
A parte un vario repertorio di facce messe a confronto, ne verrebbero fuori delle belle discussioni e chiacchiere insieme. E senza parere, si eserciterebbe la rara arte di imparare a leggere le immagini. E ne potrebbero scaturire interessanti sfumature interpretative. 


Ecco, sfumature interpretative che mi hanno vista perplessa, per esempio, nel leggere che gli occhioni spalancati, un sorrisetto fremente, le unghie che affondano un po' nel pelo, l'essere rannicchiato in corpo compatto e teso (addirittura straripante dalla pagina che lo dovrebbe contenere) e, a sigillare il tutto, la coda sulle zampe in quel pochino di tensione tenuta a freno, quello che nell'originale è gespannt appunto, si trasformi in un molto più placido: sono incuriosito, perdendo un po' il senso dell'impazienza che mi pare sia lì sotto gli occhi... 
Dico un'ovvietà, ma questo libro è costruito sul dialogo fitto fitto di due voci, immagine e testo, tanto più le si ascolta e le si 'legge' attentamente entrambe, tanto più il libro potrà brillare. 


Questione di feeling... 

Carla

venerdì 14 giugno 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TOCCARE IL SOFFITTO CON UN DITO

Oscar e io (e tutti i nostri posti), Maria Parr, Åshild Irgens (trad. Alice Tonzig) 
Beisler 2024 


NARRATIVA PER MEDI (dai 9 anni) 

"In casa abitano due bambini, Oscar e io. Condividiamo la stanza nel seminterrato. Nel letto a castello io dormo sopra e sono il capo. Oscar dorme sotto e crede di essere il vicecapo, ma in realtà sono io a decidere tutto. Decido quando dobbiamo spegnere la luce, e decido che Oscar si deve alzare per farlo. Decido se dobbiamo tenere socchiusa la porta o la finestra. E decido io quando parliamo e quando dormiamo. Vorrei essere io a decidere anche il momento in cui Oscar deve smettere di russare, perché quando attacca sembra un aspirapolvere rotto. Ma l’unico modo per farlo smettere è svegliarlo, e non è che allora ci sia tanto più silenzio, volendo essere gentili." 

I due sono a letto e come di consueto discutono. Oscar ha 5 anni e paura dei mostri, dei mostri nell'armadio. Sua sorella, che è di ben tre anni più grande, sa molto bene che i mostri non esistono e quindi lo prende in giro, ma di fatto lo tranquillizza e lui si riaddormenta. Tuttavia quell'anta dell'armadio non perfettamente chiusa genera in lei una piccola paura, che magari cresce: se i mostri non esistono, i ladri invece ci sono, eccome. 
Quindi, non resistendo, scende dal letto e va a controllare. Ma un rumore sospetto la mette ancora più in allarme, afferra al volo l'atlante e si nasconde nel buio tra attaccapanni e vestiti. Quando poi l'anta si apre all'improvviso, lei - ed è a questo punto terrore puro - scaglia l'atlante in testa a chi ha di fronte.  
Tutto precipita in un baleno: Oscar si sveglia urlando, il papà dal piano di sopra irrompe nella stanza, brandendo la miglior padella di casa, e quel che trova è sua figlia a occhi sgranati che è davanti all'armadio spalancato, sua moglie a terra che si tiene la fronte dolorante, colpita da un pesante atlante e il piccolo Oscar, bianco di paura. 
E poi? Mamma si sdraia accanto al piccolo di casa per consolarlo, qualcuno nel letto superiore questa volta farebbe volentieri a cambio con il fratello, il padre riporta in cucina la padella. 
E come va a finire? Che nella penombra della camera in quel lettino adesso sono in tre: uno dorme come se nulla fosse successo e le altre due chiacchierano con un fil di voce su cosa sia la paura... 

Credo di non sbagliare optando di mettere sotto la lente solo uno degli undici episodi che costituiscono il nuovo e atteso libro di Maria Parr. 
Non vorrei togliere a nessuno il gran gusto di leggerlo senza spifferi esterni, vocine che ti dicono qui succede questo, là succede quello... ma soprattutto lo faccio perché in questo, che apre il libro e si intitola L'armadio, ci sono già tutti gli ingredienti per capire che si tratta di un gran bel libro e punto. 
Nel sottotitolo c'è il filo rosso che tiene insieme i racconti: sono undici luoghi che costituiscono la mappa, ovvero i diversi scenari dell'infanzia di due bambini, fratello e sorella, con contorno di adulti. 
A essere più precisi, si potrebbe dire che è proprio lei, l'infanzia, a essere in questo libro un luogo prima ancora di essere un tempo. 
E come spesso accade, i suoi contorni, via via sempre più nitidi, si ricavano attraverso i fatti che si susseguono. Sono principalmente loro a raccontare, in un continuo gioco delle parti tra piccoli e grandi. 
Nessuna morale, nessun insegnamento. 
Ma andiamo con ordine: prima i bambini e poi gli adulti. 
Resto sempre basita quando riconosco, ovvero sento risuonare come suono conosciuto, le infanzie raccontate dai grandi ai bambini. 
La Parr non si smentisce neanche stavolta: come già nei precedenti suoi libri, cuce fatti, azioni, accadimenti con pensieri profondi, talvolta profondissimi, che tengono insieme le parti per dare spessore, profondità e senso alle cose. 
Pensieri che passano veloci, quelli dei suoi bambini, perché è così che pensano i ragazzini: vanno a fondo e poi scartano verso qualche altra cosa... Invece, i pensieri che hanno avuto modo di decantare, sono quelli dei suoi adulti. 
La domanda a questo punto si impone: perché solo alcuni adulti, tra cui la Parr, sanno raccontare i bambini meglio di altri? 
Forse perché vanno a pescare in quella regione emotiva che non li ha mai abbandonati, ossia raccontano di cose che un adulto e un bambino hanno in condivisione, pur essendo tra loro diversissimi? 
Per esempio qui, parlando di paure, è difficile che un grande creda ai mostri, ma la paura di un ladro che violi il nostro rifugio è roba che non ci abbandona mai... E Ida, la sorella "più matura" è lì a dircelo, chiaro e tondo. 
E come sono gli adulti di Maria Parr? 
Come a spesso accade nei libri del Nord, gli adulti sono gran belle persone, anche nei loro limiti: più volte ci si commuove, e altrettante si piange dalle risate. 
La loro bellezza risiede nella grande onestà di presentarsi per quello che si è, nel rispettarsi per quello che si è e nel volersi bene per quello che si è. 
Senza mai sottrarsi al loro ruolo di curatori di piccoli in crescita, qui vediamo genitori e zii che si muovono disinvolti tra una gamma molto varia di sentimenti. 
Soffrono, ridono, amano, sbagliano, vanno in profondità o galleggiano spensierati davanti a figli e nipoti con una integrità, lealtà, una trasparenza interiore, una consapevolezza di sé così profonda che è davvero difficile non notarla e non apprezzarla. 
Faccio anche qui un esempio: madre e figlia chiacchierano sottovoce, prima di separarsi e prendere ognuna - alla pari - la strada verso il proprio sonno. La cosa che è appena accaduta, ossia la paura di un mostro che è diventata la paura di un ladro, nasconde dentro di sé una grande verità che quella "matura" bambina esplicita con estrema chiarezza: "quando smettiamo di avere paura di qualcosa, il cervello scova qualcos'altro di cui avere paura, qualcosa di più pericoloso, e così più diventiamo grandi, peggio è". 
Incontrovertibile, ma il modo per andare oltre lo sa solo chi ci è passato attraverso. E non è un caso che ci sia lì una figlia che sulla questione in qualche modo interroga una madre. E così accade che la "grande" racconti alla "piccola". 
E come lo fa? 
Senza giri di parole, va dritta verso quello che è: nessuna ipocrisia, ma piuttosto affetto, rispetto e tanta vita vera... 
E cosa le dice? 
Questo: «Quando diventiamo grandi, dobbiamo spesso prenderci cura di qualcuno. E allora va meglio.» «Ah, sì?» «Sì. Se ci si deve prendere cura di qualcuno più piccolo di noi, qualcuno che è più spaventato, non rimane così tanto spazio per le nostre paure. Per questo quando ero piccola volevo un fratellino o una sorellina», ha aggiunto. E poi ha raccontato che zio Øyvind, suo fratello maggiore, la sera doveva sempre accompagnarla su per le scale della mansarda, perché lei credeva che dietro la carta da parati abitasse un fantasma che quando era buio veniva fuori attraverso una fessura. Io mi sono messa a ridere.«Ma adesso devo prendermi cura di te e Oscar, così ho il coraggio di salire le scale da sola. Senza problemi.» 
Ecco. 
Moltiplicate tanta bellezza per enne volte e otterrete questo libro magnifico! 

Carla

mercoledì 12 giugno 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

LA GRAVITAZIONE È COME AMORE 


Stardust è un libro importante e ambizioso, perché si muove su un terreno molto battuto recentemente e pretende di farlo con una forma e un linguaggio tutt’altro che comune. 
Si potrebbe sintetizzare l’argomento affermando che Stardust parla di cambiamento climatico. 
Ma come tutte le sintesi, anche questa rischierebbe di essere limitativa, banalizzante e in parte fuorviante. 
Perché il tema invece è complesso e perché il libro rifugge dal tentativo di ridurlo a poche frasi ad effetto. 
Trattandosi di un libro illustrato che possiede una parte informativa, ma una ben più ampia narrativa e in versi, l’autrice avrebbe potuto procedere soltanto sul sentiero dell’aggancio empatico: le sue immagini molto forti lo avrebbero permesso e lei ne sarebbe venuta fuori sicuramente molto bene. 
E invece sceglie di parlare al lettore in modo differente, di chiamarlo direttamente in causa, di rivolgersi a lui e alla sua storia. 
Partiamo dal prologo che vi invito caldamente a non saltare, ma a leggere con attenzione. 
Qui Hannah racconta di se stessa: è il suo compleanno e un suo amico le chiede quale sia la cosa che le fa più paura. Ritorna allora al suo passato, alla sua infanzia e cerca di ripercorrere quelle che erano i suoi timori di allora. Non la paura della morte, bensì dell’età adulta, perché questa avrebbe segnato un abbandono, un distacco da cose e persone. La paura di cambiare, di svegliarsi e scoprire di essere qualcosa di diverso, di non riconoscersi più. 
Da una dimensione così intima e personale il discorso si sposta improvvisamente sul nostro pianeta: e se anche la Terra si svegliasse e si accorgesse di essere diversa, irrimediabilmente diversa? 
Da una vocazione per il ricordo, da un’ossessione per qualcosa che non riusciamo più a trattenere (il tempo, esattamente quell’istante presente, quell’essere giovane ora come non lo sarò più) il libro parte e si dipana in tre parti, tre lettere: la prima rivolta alla Terra, la seconda al lettore, la terza al bambino del futuro non ancora nato. 
Ancora il tempo, il passato lontanissimo, il presente tormentato, sfuggente, interrogato, il futuro sperato, immaginato. 


Alla Terra l’autrice si rivolge come farebbe con suo nonno, una persona amata e di cui capisce che deve prendersi cura. Ma come si può curare senza conoscere? L’Arnesen racconta di un lungo lavoro di ricerca condotto proprio sulla storia del nostro pianeta e di questo lungo studio riporta alcuni dati: dall’esplosione iniziale alle prime forme di vita, alle varie ere geologiche, fino ad arrivare alla nostra, diversa e unica, perché la prima in assoluto in cui una specie (quella umana) sia riuscita a predominare sulle altre. 
La lettera accorata alla Terra si sviluppa in un continuo cambiamento di prospettiva, da uno sguardo lontanissimo che abbraccia una storia antica e remota, ad uno che si fa vicinissimo, al cospetto del lettore, relativo al suo quotidiano e alla dimensione umana. È come se si riuscisse ad essere nello spazio e a guardare alla nostra casa come si farebbe affettuosamente con una persona cara, per poi precipitare repentinamente verso il basso, verso la nostra e personale porzione microscopica di spazio e tempo. Un viaggio vertiginoso che Hannah Arnesen ci consente di compiere attraverso i suoi incredibili acquerelli, tavole che descrivono e raccontano di vite lontane e scomparse, ma che, stranamente, non suscitano mai nostalgia o malinconia. Non c’è mai in questo libro il ripiegamento sul rammarico, ma una richiesta mossa al lettore a rimanere sempre vigile, a non cedere al sentimentalismo. 
Cosa siamo noi? Siamo fatti della stessa acqua che da milioni di anni circola sul pianeta, quella stessa che proviene a sua volta dall’Universo, siamo fatti esattamente della stessa materia delle stelle, siamo nati dalla frammentazione e parcellizzazione di corpi celesti. Da questa consapevolezza si muove in nostro sguardo sul presente. 


La seconda lettera è rivolta al lettore. Il tono cambia, l’autrice ci interpella in modo perentorio e non allusivo. Non più un abbraccio affettuoso, ma una chiamata in causa, un interrogativo serrato. 
“Perché è così difficile guardare in faccia la realtà?” 
Questa seconda parte del libro ha dei toni (anche cromatici) decisamente differenti dalla prima. Il viaggio nel presente è una discesa verso gli inferi, verso il nero profondo: non più colori danzanti sulla pagina, non più spazi ampi e ariosi, ma luoghi angusti, oggetti piccoli e vicini. 
Non più versi di amore, ma domande esplicite. 
Il presente in questo capitolo è quello delle scelte che compiamo abitualmente, a partire dalle nostre più insospettabili consuetudini. Ma anche in questo caso Arnesen non si limita ad un’esposizione didascalica, ma ogni parte del suo discorso si aggancia al suo vissuto, alle sue amicizie, al dialogo intrapreso con i ragazzi più o meno giovani. Fino all’elaborazione della domanda cruciale, quella che sposta il pensiero in avanti: “Dove c’è speranza?” 


Perché del tempo fa parte un passato, un presente e quindi anche un futuro, e perché sprofondando si matura il desiderio di risalire, di ritrovare la luce. 
La terza parte del libro è una lettera a un bambino non ancora nato, il messaggio di speranza che gli consegneremo non è quello superficiale del “andrà tutto bene”, ma quello di un impegno e di una forza che intende adoperarsi perché le cose davvero procedano diversamente. 
“La speranza richiede l’azione; l’azione è impossibile senza la speranza”. 
Questo libro si inserisce coraggiosamente in un ambito editoriale dal quale nell’ultimo periodo sono arrivate le novità più interessanti. La divulgazione scientifica per ragazzi sta conoscendo una nuova vita, dal momento in cui ha abbandonato la forma espositiva tradizionale, quella che voleva i libri informativi per bambini e ragazzi progettati allo stesso modo di quelli per adulti, ma in una forma “semplificata”. Rispetto a questo settore in fermento, Stardust può essere considerato un testo divulgativo. 
Ma la sua unicità risiede proprio nel fatto che non si esaurisce in un contesto riconoscibile e facilmente identificabile. Questo potrebbe essere per alcuni versi un limite (soprattutto se ragioniamo in termini di mercato), ma costituire insieme anche la sua forza, perché Stardust semplicemente si propone di parlare a tutti i lettori che accettino di lasciarsi stupire e di aprirsi a una esperienza di lettura inedita. 

Teodosia 

"Stardust. Polvere di stelle",  Hannah Arnesen (trad. Laura Cangemi), Orecchio Acerbo 2024 

lunedì 10 giugno 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

"SHOW, DON'T TELL!"

Il lupo
, Saša Stanišić, Regina Kehn (trad. Claudia Valentini) 
Iperborea 2024 


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni) 

"Visto che è di nuovo saltato fuori Jörg, avrai già capito che qui si parla anche di lui. Diamo un'occhiata alla stanza e già che rifletto su di lui mentre aspetto la sua risposta alla mia domanda se preferisce sopra o sotto nel letto a castello, ne approfitto per raccontare ancora un po' di Jörg. Le cose stanno così: nessuno vuole avere a che fare con lui. Passa tutte le ricreazioni da solo con il suo panino. Nessuno si dà appuntamento con lui dopo la scuola. E quando ci sono lavori di gruppo da fare, gli insegnanti lo mettono sempre con ragazzi di cui sanno per certo che lo lasceranno in pace. 
Jörg è il classico tipo che conoscono tutti. Uno che è diverso, e per favore non fraintendermi! Ovviamente siamo tutti diversi e bla bla bla..." 

Dopo lo sfogo avuto con gli educatori e davanti a tutti - IO ODIO LA NATURA - in cui dichiara chiaro e tondo che lui è lì non per sua scelta ma perché è stato obbligato, va da sé che intorno a lui, in quel campo estivo nel bosco, gli altri partecipanti felici di essere lì, lo lasciano da solo. 
L'unico altro solo "storico" è per l'appunto Jörg. Casetta di legno da condividere con il bersaglio per eccellenza: quel ragazzino che tutti evitano e che catalizza le peggiori cattiverie di tre bulletti, anche loro in questa famigerata settimana nei boschi. 
Giorno dopo giorno, le attività fervono e, mentre Jörg nei boschi sembra trovare una propria dimensione ideale, lui fatica. Si autoesclude da ogni attività di gruppo, incrocia il meno possibile i suoi educatori e impara a tener loro testa. Incrocia però anche la simpatia del burbero cuoco, l'unico a prenderne le parti. Riesce ad avvicinarsi a una sua compagna, tra una goffata e l'altra, ma soprattutto lentamente entra in sintonia con quello Jörg che, a vederlo da vicino, ha un suo fascino. 
Tra farfalle vere e cervi immaginati, tra zanzare frequenti e rari momenti di pace, tra prove di coraggio mancate e fughe riuscite, il tempo scorre. E tutto assume contorni più definiti per poter distinguere eventuali percorsi da fare... 

Il topos di partenza lo si può considerare un classico della letteratura per ragazzi: partenza per campo estivo, controvoglia. Si potrebbero citare esempi illustrissimi e si potrebbe costruire una ricca e bibliografia sull'argomento, sapendo che anche il punto di arrivo rientra in qualche modo nel medesimo canone. 
Ma, se si vuole dare retta a una delle tante frasi lapidarie che costellano questo buon racconto di Stanišić, il cimento non sta nel raggiungimento del traguardo, ma nel percorso da fare per arrivarci, in sostanza, si può riassumere così:"la meta è il cammino". 
Quindi ho pensato che potesse essere quello il terreno in cui andare a cercare il senso ultimo di questa storia. 
A parte la sottile ironia che lo attraversa, nella voce del protagonista sempre pronto a definire come precisi e stereotipati i contorni di certi personaggi, salvo poi doverne ammettere complessità ben diverse, mi sembra divertente il ripetuto passaggio dal piano di realtà e quello dell' immaginazione che attraversa la storia: gli dà il titolo e offre divertenti spunti alla bravissima Regina Kehn che, tra cervi e lupi, racconta la sua versione dei fatti.
Accanto a questo entrare e uscire dalle due dimensioni, è appunto l'ironia l'altro importante registro. Con ironia, sarcasmo alle volte, è stato messo a fuoco l'intero panorama degli adulti che abitano in questa storia: gli educatori. Loro sono, per ruolo, il bersaglio dell'io narrante, dettato ad evidenza dal quel suo essere lì, giocoforza, vittima degli adulti. Due parole su di loro. 


Il più "rotondo" di tutti è il cuoco. A lui il compito di essere l'anello di congiunzione tra due mondi che secondo l'io narrante, faticano tanto a intendersi. Lui, con la sua forte dose di empatia che lo rende capace di creare subito buone sintonie nei confronti dei piccoli, con gesti silenziosi, con richiami secchi: "Witschi", incarna "la zia mitica" (cfr. La porta segreta, p. 38). Pur non venendo mai meno a se stesso e al suo ruolo nella comunità, è in grado di ascoltare e quindi di dare spazio a chiunque. 
E anche di prendere le distanze dei grandi, quando serve, e a criticarne le scelte, se non altro in campo musicale... 
Più monolitico è il resto della truppa di educatori. Seppure con le loro singole declinazioni, descritti con una sottile e costante ironia che ne mette in ridicolo le idiosincrasie personali, dimostrano una certa capacità di voler gestire e/o non voler gestire le singole situazioni.
 

Continua a ronzarmi nella testa una frase detta dagli educatori e che Benisha riporta a Jörg con tono sconfitto, dopo aver assistito a uno degli atti di protervia che il ragazzino subisce: "I nostri conflitti dobbiamo cercare di risolverceli da soli. Prima di rivolgerci a loro." Non so, ma a me è sembrata sottoscrivibile. 
E mi sa che anche Jörg, il vero grande Maestro della storia, ne ha fatto tesoro. E questo, in qualche modo, confermerebbe che la chiave è davvero il "cammino", ovvero quale percorso si sceglie di fare per arrivare a ottenere un po' di pace e un posto dove stare nel mondo. In questo senso, seguire le tracce di Jörg, i piccoli gesti che lui compie per tutto il tempo, può essere davvero illuminante. 
Un capitolo centrale, il decimo, è nodale. Quello che accade in quelle poche pagine, a mio parere, è la chiave dell'intero libro. I personaggi, che semplicemente, al pari di noi lettori, stanno a guardare ciò che Jörg fa, capiscono da che parte si potrebbe andare. 
Sperando che nessuno abbia dimenticato una delle chiavi di una buona storia, Show, don't tell, qui può con facilità constatare che i bla bla bla sono a zero, mentre i fatti sono il senso. 


Bello, così. 
 
Carla

venerdì 7 giugno 2024

ECCEZION FATTA!

LEZIONE AMERICANA


Facciamo due conti a spanne: un centinaio di pagine che di media sono costituite da blocchi da 25 righe (escluse le note), l'una per l'altra. Quindi il totale delle righe, sempre a spanne, dovrebbe essere intorno alle 2500 righe. Di queste 2500 righe, ancora una volta a occhio e croce, ne dovrei aver sottolineate a matita circa 250. Sapendo che tutto il racconto del campeggio e di Riley con il suo melone è intonso senza neanche un segnetto a matita, perché conosco la storia, quasi come se fossi stata in quel campo estivo, per aver ascoltato e riascoltato la Ted talk (why a good book is a secret door...) mille mila volte. Ugualmente intonse - perché a me già note - sono le parti circa la sua mamma, la sua libreria piena di libri di seconda mano, e tutto il discorso sulla fortuna di essere stato figlio di una madre single che comprava per lui nel 1985 libri usati risalenti agli anni d'oro della letteratura per bambini, quelli di Wise Brown e co. per intenderci. 
Da tutto questo se ne deduce che tutta la parte teorica che con grande sapienza e leggerezza Barnett cuce intorno a fatti molto reali, quali per esempio la sua infanzia, ossia la radice del suo essere oggi lo scrittore che è, io l'ho trovata di estremo valore e, immodestamente, molto corrispondente a quelli che sono i miei pensieri sui libri scritti per i bambini. 
Chi ha avuto la ventura di ascoltarmi mentre discetto sulla questione, non stenterà a credermi, visto che di Barnett mi considero una discepola, oserei dire un'apostola (se non è troppa la presunzione) e infatti non c'è occasione in cui io non lo citi o citi i suoi libri. 
Le 10 verità (+1) che a mio parere sono da condividere e quindi diffondere sono le seguenti: 
1) i bambini sono persone. 
1 bis) I bambini in qualità di persone sono senzienti e ragionanti al pari di un adulto. 
2) i bambini sono altro dagli adulti e funzionano diversamente. Di solito, migliori perché più nuovi... I bambini sono perspicaci, flessibili e hanno la mente aperta. Devono esserlo per forza: l'infanzia è una lunga serie di esperimenti. I bambini si impegnano con coraggio per capire ciò che è nuovo. "I bambini sfrecciano oltrepassando con facilità il confine che separa la realtà dalla finzione ... Un ostacolo che potrebbe disarcionare un bibliotecario, è niente per un bambino" (E.B. White). I bambini sono incompleti e orgogliosi di esserlo.
3) i bambini, pur dipendendo in larghissima parte dagli adulti, hanno delle loro aree di autonomia. 
Una di queste è l'immaginazione. 
4) come adulti occorre riflettere sul potere esercitato nelle vite dei ragazzini, compresa quella 'letteraria' e quella sulla loro immaginazione. 
5) come adulti occorre ragionare sul fatto che la letteratura per l'infanzia è di fatto gestita dai grandi e che solo in fondo alla filiera ci sono i bambini... 
6) e ne consegue che le riflessioni sui libri - sia quando si scrivono, sia quando si propongono ai bambini - devono tenere in giusto conto quanto detto fin qui. Devono essere profonde, attente, rispettose e oneste se si vuole arrivare alla qualità. 
7) la letteratura per l'infanzia dovrebbe contenere belle storie, essere variegata e autentica, audace, eccentrica, polifonica, non convenzionale. Deve essere curata e interessante e dovrebbe tenersi lontana dall'essere utile a qualcosa, tenersi lontana dal 'didascalismo', ossia dall'insegnare, dallo spiegare, dal risolvere e trovare risposte. Deve fornire una strada verso il senso delle cose, chiamando dentro il lettore perché trovi la sua lettura, piuttosto che imporre una morale unica e preconfezionata. 
8) La letteratura per l'infanzia, come anche quella per i grandi, è spesso brutta. E può esserlo in modi anche molto diversi. 
9) sulla scia del punto 1 bis, adulti e bambini, in quanto esseri umani, condividono la stessa sfera emotiva. Per questo il bravo scrittore per l'infanzia, che questa cosa la sa, nel raccontare i bambini racconta anche una parte di sé e dell'umanità. Racconta il difficile compito di capire cosa significhi essere una persona in questo mondo. Leggete Sydney Smith, per esempio. O  Jon Klassen. O  Ulf Stark o a Kitty Crowther e via andare.
10) se ne deduce che i buoni libri per bambini nascono nella zona di intersezione tra la sfera di interesse di un bambino e quella di un adulto. In quella parte in cui si sovrappongono, lì c'è la buona letteratura per l'infanzia (che spesso e volentieri è buona letteratura punto). Lì grandi e piccoli sono sempre alla pari, ma mai uguali.


Chi non dovesse essere d'accordo con queste 10 + 1 verità, farebbe meglio, beninteso questo è solo un consiglio, a tenersi alla larga dall'infanzia: non è roba per lui e non se la merita! 
Gran finale su La porta segreta che diventa una letterina a Mac Barnett. 
Per farlo, devo tornare su due parole chiave di questo libro, che lo caratterizzano. 
La leggerezza e la sapienza. Insieme. 

Caro Mac Barnett, 
credo che la rarità e il pregio di questo libro stia in due cose che di rado viaggiano insieme: la sapienza e la leggerezza, quella calviniana, nel raccontarla. 
Nella mia vita non ho incontrato moltissime persone che fossero semplici e leggère e nello stesso momento anche molto complesse, ovvero che sapessero regalare in giro, mettere a disposizione di chiunque, la profondità e la bellezza dei propri ragionamenti. Senza peso, si badi.
Persone che abbiano saputo farlo, come se fosse la cosa più naturale possibile. 
Persone che abbiano avuto l'ardire di rivolgersi a tutti e non solo a un ristretto gruppo di iniziati. 
Persone che abbiano saputo raccontare la complessità del mondo, mostrandola nelle cose di tutti i giorni. Io, se me lo permetti, ti metterei tra costoro. 
Non so se spinta dalla farfalla di Carson Ellis, ma ho avuto davvero la sensazione, mentre leggevo/ sottolineavo/imparavo/ragionavo/assentivo/sorridevo, di svolazzare di fiore in fiore, godendomi l'aria fresca che spiffera dalla Porta segreta che, a tutta evidenza, tu lasci sempre un po' aperta perché qualcuno sbirci al di là e poi entri... 

Fabian Negrin,
da Jack London, L'ombra e il bagliore, Orecchio acerbo 2010

Quindi, riassumerei così: grazie. 
Con leggerezza.

Carla 

La porta segreta, Mac Barnett (trad. Sara Ragusa) Terre di Mezzo 2024