venerdì 7 novembre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

CI SONO COSE CHE FANNO PAURA

Cinque minuti prima dell'estate. E altre storie horror
Davide Calì, Isadora Bucciarelli 
Biancoenero 2025 



NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dagli 8 anni) 

"Antonio suonò e qualcuno aprì. Entrò. Cercò subito l'ascensore della scala C, ma era guasto. Sarebbe dovuto salire per le scale...
Antonio inspirò profondamente, poi cominciò la scalata. Primo piano, secondo, terzo, quarto, quinto, ed ecco il sesto. Antonio riprese fiato poi vide che c'erano due corridoi: uno a destra e uno a sinistra. Si diresse verso il corridoio di sinistra ma era quello sbagliato. Da quel lato c'erano le porte dispari, 21 e 23. Andò dall'altra parte ma... qual era il numero? Ah sì, 36. Ma non c'era una porta numero 36. C'erano soltanto 22 e 24. 
Aveva sbagliato piano." 

Finita la scuola, Antonio deve restituire a una sua compagna di classe un libro che lei gli ha prestato: l'indirizzo è Palazzina A, portone B, scala C, sesto piano, porta 36. 
Facile. Difficile perdersi. 
Eppure. 
Una volta capito di aver sbagliato piano, Antonio sale a quello successivo, ma no: lì ci sono solo le porte dal 25 al 28 e a quello ancora successivo non ci sono più porte di appartamento, ma un'unica porta di metallo che porta forse sul terrazzo del condominio. 
Forse è la scala quella che ha sbagliato. Ridiscende, ma controllando le cassette della posta capisce che anche tutte le altre scale si fermano prima del 36. 
Risale e comincia a suonare ai campanelli delle case, ma nessuno risponde. 
Forse è la palazzina che ha sbagliato. Ridiscende, ma i piani che fa sono ben più numerosi di quelli fatti in salita. Forse è arrivato nei sotterranei? Risale, ma i piani che fa sono uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette... 
Possibile? 

Un piccolo quanto perfetto incubo. Attraversare in lungo e in largo, in su e in giù, un luogo che non si conosce e vederlo trasformarsi, modificarsi attraverso la percezione che proviamo. Scale che non finiscono, corridoi che si allungano, porte che si moltiplicano. Unico scopo dell'incubo: non farci arrivare all'obiettivo. E mentre questo accade avere la netta sensazione che il tempo passi mentre ti arrabatti e annaspi senza esito. Quindi l'incubo può raddoppiare: non solo non raggiungere l'obiettivo, ma invecchiarci dietro e ritrovarti solo e pieno di rughe... 
Questo è l'esordio della piccola raccolta di racconti horror. 
Tutto sommato, un avvio soffice. 
Inequivocabile il fatto che le storie che seguono sono di paura. Ma anche la paura può prendere direzioni diverse. 


L'inquietudine che si genera nel momento in cui si capisce di non avere più la situazione chiara sotto gli occhi, quando si capisce che ci sta sfuggendo di mano ciò che pensavamo di essere capaci di dominare... Cose del genere le ho lette in uno dei più bei libri che mi siano capitati tra le mani e che si intitola: Ci sono cose che fanno paura ed è scritto e illustrato da due geni, Florence Parry Heide e Jules Feiffer. 
La cosa che mi aveva colpito all'epoca era questa: le paure che venivano messe in elenco non alludevano a mostri a molte teste, ma al contrario andava a pescare piuttosto nel grande pentolone delle piccole e sottili inquietudini che ci riguardano tutti e che quotidianamente sono in agguato: vedere un cartellone con un avviso importante e non capire cosa c'è scritto; essere l'ultimo rimasto quando nessuno ti ha ancora scelto per la sua squadra; tenere la mano di qualcuno pensando che sia tua mamma e invece non lo è; giocare a nascondino e non trovare nessuno; cercare le tue scarpe sotto al letto e toccare qualcosa che non sai cos'è... 
Calì, nei suoi otto racconti, questo fa.


A parte un omaggio finale alla preistoria dove i ragazzini amanti del genere potrebbero apprezzare l'attraversamento dei vari habitat ricostruiti nel museo da parte di un loro coetaneo sempre più atterrito da triceratopi e da maestre arrabbiate, Calì va a pescare anche lui nel torbido, nell'ambiguo, perfino nel politicamente scorretto. 
Evviva! 
Gioca su questioni importanti e nel racconto ne tende, estremizzandole, a tal punto le possibilità che al lettore non resta altro che saltare sulla sedia e dire: ah, però, fino a qua si può arrivare! 


Come si suol dire: Calì non fa prigionieri, ovvero i protagonisti delle sue storie vanno diritti per la loro strada, hanno nel mirino il loro obiettivo finale e se questo prevede che loro si facciano spazio a spese di qualcuno, beh, lo faranno! 
Evviva! 

Carla 

Noterella al margine. Isadora Bucciarelli alle illustrazioni si inventa ancora un nuovo percorso di ricerca, che si va ad aggiungere a quelli già intrapresi finora. Qui direi che si tratta di immagini fotografiche in bianco e nero, rielaborate e quasi bruciate, tese ed estremizzate al pari dei racconti, per arrivare a quell'effetto di straniamento assolutamente necessario in chi guarda. Non vorremmo mica tranquillizzare il lettore, attraverso le immagini, vero? Evviva!

mercoledì 5 novembre 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

È ANCORA LECITO SOGNARE? 


I protagonisti di questa vicenda sono Giorgio, Joëlle, Florence e Max, rispettivamente padre, madre, bambina e bambino. Sono i componenti di una famiglia che attraversa una situazione dolorosa: il padre è detenuto in carcere con l’accusa di rapina (presumibilmente a mano armata, considerata la misura della pena). 
Giorgio non appartiene a una banda armata, la sua storia non è quella di un delinquente seriale, ma è semplicemente la vicenda eccezionale di un uomo assolutamente comune, che conduce una vita cosiddetta normale. È accaduto qualcosa che ha rotto un fragile equilibrio e l’uomo gentile e padre affettuoso si è improvvisamente trasformato in un bandito. 
Condannato a 20 anni di reclusione, Giorgio riceve le visite dei bambini, accompagnati dall’assistente sociale, poiché la moglie Joëlle chiede immediatamente il divorzio all’indomani dell’arresto. Con loro cerca di intrattenere una corrispondenza e un rapporto fatto anche di doni che realizza in carcere durante le lunghe giornate. 
Ma i figli non reagiscono allo stesso modo: il piccolo Max è l’unico a possedere una fiducia nel padre che non viene minimamente scalfita da quanto accaduto, il bambino gli scrive lettere affettuose e accoglie sempre con grande gioia i modellini di imbarcazioni che Giorgio realizza. 
Florence, al contrario, si chiude prima in un solido mutismo, dopo, la sua rabbia e l'impossibilità di accettare quanto accaduto sfociano in un atteggiamento aggressivo e nel rifiuto totale di avere alcun rapporto con il padre. Ognuno procede per la propria dolorosa strada e il racconto si sviluppa nell’arco di 20 anni mostrando da una parte Giorgio che si ostina a costruire barche e a cercare di vivere il proprio presente nel modo meno doloroso possibile, dall’altra figli e moglie che tentano di ricucire una ferita di cui dimensioni forse lo stesso Giorgio non ha piena consapevolezza. 
Una storia complessa e attraversata da sentimenti e vissuti così profondi non è facile raccontarla, soprattutto se a disposizione si hanno solo le poche pagine di un albo illustrato. Ma Germano Zullo e Albertine (una coppia di autore e illustratrice già molto rodata) sono maestri nella sottrazione, nel ricondurre, cioè, anche i contenuti più ardui a poche frasi e illustrazioni di grande pregnanza. 
La prima doppia pagina ci propone Giorgio, 30 anni, e una lettera in cui dichiara il proprio dispiacere per quanto accaduto e il suo amore, oltre alla speranza che il tempo possa aiutare le ferite a guarire. 
La pagina successiva è il ritratto di Joëlle, anch’essa trentenne, che risponde alla lettera di Giorgio chiedendogli però di non scriverle più e di continuare a farlo solo ai bambini. 


Le pagine che seguono sono quadri che ritraggono, alternandosi, la vita in prigione dell’uomo e quella del resto della famiglia, ognuno affiancato da una lettera scritta alternativamente da uno di loro. In questo senso il libro potrebbe definirsi un romanzo epistolare, poiché composto unicamente dagli elementi di corrispondenza e, come nella tradizione del genere, nessun elemento narrativo si somma alle informazioni che ricaviamo dalle missive. E questo è vero se ragioniamo unicamente sul piano verbale. 


Se invece allarghiamo la questione includendo le informazioni che provengono anche dalle immagini, ci rendiamo conto che quella definizione di genere non è più calzante. Perché qui un racconto esiste eccome, e dalle tavole dalle linee morbide di Albertine riusciamo a rimettere insieme i pezzi di una condizione esistenziale complicata e in continua evoluzione. Quello con cui gli autori giocano sono le ellissi temporali, in alcuni casi anche molto ampie, quadri che mostrano quanto accade in cella e nel quotidiano del resto della famiglia. 


Non siamo di fronte a un romantico bandito, né tantomeno a un fascinoso cattivo. Giorgio piuttosto sembra essere un uomo scollegato dal presente, un uomo del quale la moglie prova quasi compassione e la figlia ostilità. Unico che sembra riuscire a rimanere vicino a lui è il piccolo Max che condivide con il padre un sogno irrealizzabile, a prescindere dalle conseguenze concrete e disastrose che ha generato. Si legge della sua vicenda e si guarda a tutta la storia con la tenerezza che si concede a un bambino convinto di essere un supereroe solo perché provvisto di mantello. 
 

Non si propone una lettura di tipo storico del presente, non si cerca, cioè, di recuperare, attraverso la strampalata iniziativa di questo padre sognatore, gli antefatti rintracciabili di un contesto sociale. E restano quindi molti interrogativi sui quali sarebbe bello confrontarsi con gli autori. 


Scegliere di scrivere una storia di questo tipo, ambientata evidentemente nel nostro “moderno e civilissimo” Occidente quali riflessioni induce? 
Forse l’intento degli autori è quello di provocare nel lettore un sottile disagio, che arriva subito dopo la compassione. E quel disagio nasce proprio nel momento in cui si realizza che oggi una storia così ce la aspetteremmo ambientata in altri luoghi, dove ancora il desiderio e il sogno smisurato hanno una legittimazione, dove il necessario manca e si è autorizzati ad aspirare a tutto. Da dove salta fuori in Europa, oggi, un padre che verosimilmente ha un lavoro, che, a giudicare dalla casa in cui vivono moglie e figli, non vive di stenti e che nonostante questo compie un gesto sconsiderato per girare il mondo in barca? Che il senso della storia allora non sia proprio nella natura assolutamente irrazionale del sogno e nell’impossibilità di accettarlo qui, nel mondo che noi conosciamo e che lo scricchiolante benessere degli ultimi decenni non riesce più a riconoscere? 

Teodosia 

"Non tutte le barche prendono il mare", Germano Zullo, Albertine (trad. Beatrice Masini) Timpetill 2025

lunedì 3 novembre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UIUIUI 

La strega Paturnia, Hanna Kraan, Anne Marie Haeringen (trad. Paola Romagnoli) 
Lupoguido 2025 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Arrivò una raffica di vento così violenta che il riccio non riuscì a tenersi in piedi. Venne scaraventato a terra e rotolò fin quando un cespuglio fermò la sua corsa. Stordito, si guardò intorno e poco più in là vide la lepre e il gufo che si tenevano forti a un albero e guardavano in aria con occhi sbarrati. Guardò in su anche lui, ma non c'era più niente. 
E la strega Paturnia dov'era finita? 
Il riccio fece spallucce. 'Sarà di sicuro andata a casa a mangiare.' Si rimise in piedi a fatica.
'Avete visto che capitombolo ho fatto.' 
'La strega è stata spazzata via', esclamò la lepre turbata. 
'Io sono stato scaraventato a terra di botto' disse il riccio.
'Dove sarà finita? si preoccupò anche il gufo."

Il fatto è che quel giorno nel bosco e dintorni soffia un vento pazzesco. Una vera bufera e gli animali per restare in piedi facevano una fatica bestiale (!). In particolare ci sono la lepre, il riccio e il gufo che, piegati a 45 gradi, stanno cercando di raggiungere una collinetta, al riparo della quale potranno tirare il fiato. Negli ululati del vento però si sente il tipico urlo di battaglia della strega Paturnia: Uiuiui. 


A lei tutto questo vento non fa che creare gioia ed eccitazione: gli sfreccia a un pelo di distanza e nella sua mente dispettosa pensa di trasformare quei tre in mosche per farli volare davvero. I tre terrorizzati, come di solito, tentano di sottrarsi all'incantesimo, ma solo a uno di loro viene in mente di alzare un pugno verso di lei e inveire così: Che il vento ti porti via il più lontano possibile! E' il riccio! Ha schivato l'anatema e anche la strega, ma viene scaraventato nel cespuglio dall'ennesima raffica irresistibile. 


Ma se questo colpo di vento ha steso il riccio, ha fatto anche sparire la strega. 
Ora resta da capire se siano state le male parole del riccio, urlate contro di lei o se davvero sia stato il vento a farla sparire. 
Sta di fatto che mentre il riccio elemosina la compassione dei suoi due amici, questi lo ignorano perché entrambi preoccupati per le sorti della strega. E così va avanti per tutto il resto del tempo: a strega ritrovata, a strega rimessa in piedi, a strega aiutata tornare a casa, a strega finalmente tranquilla tra loro davanti a una cioccolata calda... 
Fidarsi di una che si chiama Paturnia? 

Ottava, in ordine di apparizione, delle diciotto piccole storie che ruotano intorno a un bosco dove vivono una strega bizzosa e quindi di umore mutevole nei confronti di una piccola comunità di animali, di cui alcuni - un riccio, una lepre e un gufo - davvero amici inseparabili, anche se diversissimi per indole. Infuria la bufera!, così si intitola, è forse l'episodio che meglio racconta i caratteri dei protagonisti e le loro relazioni interpersonali, che poi costituiscono il sale di questo gustosissimo quanto minuto libro di 150 pagine. 
Per essere chiara il più possibile metto di seguito i suoi pregi. 
La strega Paturnia è contemporaneamente una storia lunga e tante storie brevi. 
Ciascun episodio è autoportante, ma nello stesso tempo è anche un tassello per creare una visione d'insieme. Siamo di fronte a un'operazione editoriale che, a posteriori, ha rimesso assieme tanti piccoli raccontini che negli anni Settanta in Olanda uscirono a puntate su una rivista che si occupava di agricoltura. Quando la collaborazione si concluse, nel 1978, Hanna Kraan non se li dimenticò e ci rimise mano cosicché nel 1990 i racconti scritti fino a quel momento vennero ripubblicati in un unico libro. Ma lei non smise di scrivere le loro storie fino al 2005. 
I bambini olandesi non ne potevano fare a meno! 
L'edizione completa compare in Olanda per Lemniscaat nel 2023, quando lei è già morta da una dozzina d'anni. E questa, pubblicata in Italia da Lupoguido, costituisce solo una parte di quel librone unico. Il che ci fa sperare che da qui all'eternità escano anche in Italia altri titoli dedicati alle paturnie di Paturnia. 
Il secondo pregio, che un po' dipende dal primo, sta nel piacere di leggerlo. 
Un morsetto al giorno, o una scorpacciata in una domenica piena di tempo libero. Di sicuro, in entrambi i casi, va letto ad alta voce perché ha un passo bellissimo, merito del quale sarà la lingua originale, ma anche la sua traduzione. 
Un ritmo battente si coglie nei dialoghi che sono frequenti, serrati e pieni di arguzie e ironia. 
Il terzo pregio, che un po' dipende dal secondo, sta nella caratterizzazione dei personaggi che si profila sostanzialmente solo attraverso il loro reciproco parlarsi e nel loro porsi di fronte alle situazioni che accadono. 


Lentamente capiamo chi sia Paturnia, quanto bizzosa si riveli, ma anche capace di grandi slanci e di alcune défaillances, chi sia il riccio, sempre un po' sopra le righe, e chi ancora siano la lepre e il gufo, tra loro molto solidali e concordi nella loro lettura dei fatti. 
Il quarto pregio, che un po' dipende dal terzo, è il continuo tira e molla di situazioni e atteggiamenti. 
Mi spiego: in questi racconti il lettore non può mai essere sicuro di nulla. Non si può affermare con certezza che il cattivo sia cattivo fino in fondo e per sempre o che il buono lo sia coerentemente per tutta l'esistenza. 
L'imprevedibilità, lo scarto improvviso abitano in quel bosco! 


Il quinto pregio, che un po' dipende dal quarto, sta nella cura di tenersi lontano da ogni stereotipo e da ogni moralismo, giocando tutto il tempo, un po' come ha fatto la Van Haeringen, con le sfumature e il mescolio. 
Bel libro! 

Carla

venerdì 31 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

BUGIARDO ONESTISSIMO 

Lento lentissimo, Jon Fosse, Lucio Schiavon (trad. Eva Valvo) 
Iperborea 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Prendo la banana ed entro in cucina. 
'Mi hanno dato una banana'. 
La mamma è ai fornelli, non risponde. 
Ma in realtà non è vero che mi hanno dato una banana. L'ho rubata, ecco. Oggi sono stato proprio cattivo. Non ero mai stato così cattivo. Se la mamma lo sapesse, farebbe la faccia spigolosa. Se lo sapesse, preferirei quasi che il papà fosse a casa. Ho rubato una banana a una vecchietta. E' successo proprio qua sotto, vicino alla stazione dei pompieri. Era una signora molto anziana, con il bastone e una borsa da cui spuntava una banana. 
'Ti hanno dato una banana? domanda la mamma. 
'Sì' rispondo." 

Le cose sono andate così: mentre tornava a casa questo ragazzino che va veloce perché in ritardo, incrocia sulla sua strada una vecchietta che ha il suo cestino con la spesa in mano. Lui la sorpassa e vede che dalla sua sporta esce una banana. Da lì a desiderarla passa una frazione di secondo: la ruba e scappa, più veloce di prima, verso casa. 
La vecchina prosegue lungo il suo cammino lenta, lentissima senza accorgersi di nulla. 
Tornato a casa, trova sua madre con la faccia non ancora spigolosa - quella è la più temibile ed è meglio che quando la mette su ci sia anche suo padre - che lo rimprovera perché quando lei non lo vede arrivare al solito orario si preoccupa. 
Lei vede la banana e gli chiede da dove arrivi e lui per risponderle, le dice la prima bugia, dicendole - lei è di spalle in cucina che prepara da mangiare - che una vecchietta gliela ha regalata.


La madre sgrana gli occhi e poi dice la frase di rito: e tu l'hai ringraziata? 
Lui non se la sente di dire un'altra panzana, così ammette di non aver detto grazie a quella vecchietta lenta, lentissima. Bene, pensa sua madre togliendosi il grembiule per uscire con lui: non sarà difficile ritrovarla per strada, correrle dietro e ringraziarla... oh, beh beh! 

"Io faccio il possibile per scrivere ciò che non si può dire" questa è una frase che Jon Fosse ha usato per riassumere la sua poetica e leggendo questa sua prima storia per bambini, pubblicata in Norvegia nel 1989, non si può altro che assentire. 
Riassumiamo: questo ragazzino è ritardatario, è un po' ladro perché ha appena rubato una banana a una vecchietta. È un bugiardo perché a sua madre ha detto che è stata la vecchietta a regalargliela. È un po' furbetto quando cerca in ogni modo di sviare l'attenzione di sua madre su altro, ossia l'arrivo a casa del tanto desiderato papà. È un po' codardo perché capisce che succederà un bel guaio quando con sua madre troverà la vecchietta e quella cadrà dalle nuvole e sua madre farà due più due e la verità verrà a galla. 


Ma questo ragazzino ritardatario, bugiardo, furbetto e codardo è veloce di pensiero almeno di quanto lo è di gambe. Ma è anche onesto, a suo modo. 
Senza entrare troppo nel dettaglio per non rovinare la sorpresa davanti alla sua capriola per salvarsi, va detta una grande verità, anzi due. 
La prima: quel ragazzino di parole, carta e pennelli è proprio un bell'esempio di ragazzino in carne e ossa. 
La seconda: Jon Fosse non si preoccupa minimamente di mettere in una storia per bambini altri bambini che siano bugiardi, furbetti, codardi e ritardatari. 
Questo è un bello scarto. Credo che il Nobel per la letteratura nel 23 non glielo abbiano dato a caso. 
E a parte questo che è già tantissimo, secondariamente, si potrebbe anche notare che una casa editrice italiana, seppure lasciando maturare al punto giusto le coscienze italiane per più di trentacinque anni, si assume questo rischio e pubblica questo testo. Magari confidando che l'adulto compratore non sia troppo perbenista e bacchettone e che nella capriola finale riesca a cogliere il sapore di una redenzione. Quale di fatto parrebbe essere. 


E per voler sottolineare un ulteriore merito della medesima casa editrice, va detto che affidarne le illustrazioni a Lucio Schiavon, è stata proprio una bella mossa. Ma anche questa, piuttosto controcorrente. 
Schiavon è un assoluto drago della comunicazione visiva e se si conoscono un po' le sue opere di graphic design non ci si deve stupire che lavori per una committenza di altissimo livello. 
La sua sperimentazione artistica va in direzioni molto diverse, pur riuscendo a mantenere un tratto che lo rende inconfondibile, primo fra tutti i suoi occhioni, che sono l'espressività fatta disegno, i tagli prospettici che sono figli della sua passione per il fumetto, poi la palette di colori e quelle pennellatone o pennellatine che sono la risultante di una estetica pittorica che dice di aver eletto a canone e poi su tutto una grande libertà e gusto nel realizzare tutto nell'atto stesso del fare. 
Io non posso dire con certezza se Schiavon sia anche dietro la composizione del testo, ma presumo di sì. Mi sembrano bellissimi e significativi i blocchetti di testo che spesso hanno il valore della confessione e che mai entrano in contatto con il disegno, mentre invece quando la storia deve accelerare o focalizzarsi su un'emozione le frasi attraversano la pagina e passeggiano indisturbate sui disegni, in mezzo ai suoi grandi occhioni, per esempio. 


Bello! 
L'ultima cosa che mi pare geniale in questa storia è come viene raccontato il tempo. Senza parere è la spina dorsale di questa storia, laddove la lentezza della vecchietta e la velocità del ragazzino sono la chiave di tutto. Ma esiste anche un tempo ancora diverso, quello che dà cadenza alle emozioni. 
Una madre che marcia con le sue convinzioni e le sue regole da applicare, un ragazzino che è un fulmine a rubare e che lo è altrettanto nel trovare la soluzione al suo incipiente problema materno: e per farlo deve correre e anticipare il passo marziale di sua madre. 
E poi c'è lei, la vecchietta che scorre lenta, lentissima, verrebbe da dire inesorabile, attraverso l'eternità. 
Gran libro, ripeto! 

Carla

mercoledì 29 ottobre 2025

ECCEZION FATTA!

ALL'INIZIO, IL CORPO E' UN LUOGO 
IN CUI NON SIAMO MAI STATI 



Non si può certo dire che avere un corpo, abitarlo, usarlo sia una faccenda che possa essere trattata in modo sistematico: questo è il luogo in cui primariamente si sperimenta la tridimensionalità. Se in un manuale anatomico il corpo può venire presentato con sistematicità, suddiviso per apparati coerenti, ognuno impegnato a gestire una concatenazione di funzioni sequenziali, ecco che nella vita, nell’esperienza, tutto si mescola e si sovrappone. 
Si rimane a lungo così, da piccoli, sospesi tra gambe troppo lunghe e gabbie toraciche che dolgono per il fiatone e la paura, tra cervello in confusione e stomaco in subbuglio, con il cuore accelerato e il fiatone a cavallo tra una corsa e l’amore. 


All’inizio, bisogna ammetterlo, il corpo è un luogo in cui non siamo mai stati. All’inizio, nel corpo tocca muoversi come farebbe un esploratore, tentando, lasciandosi guidare dalla curiosità e dalla fame, sbagliando e tornando indietro più volte prima di proseguire. All’inizio, il corpo è un’esperienza pionieristica in un territorio sconosciuto di cui a malapena si conosce l’estensione, ma che si ha la straordinaria occasione di visitare e percorrere dall’interno e in solitaria, raccogliendo informazioni sparse, talvolta grezze e materiche, provenienti da ogni dove: una messe personale e sconvolgente, che può apparire disarticolata, casuale, priva di direzione. E non è difficile immaginare – o ricordare – come questo andar vagando conduca con sé una certa dose di disorientamento che l’albo Dentro me cosa c’è? riesce a cogliere con grande sensibilità. 


Innanzitutto le immagini: le tavole raccolgono il concetto di corpo come spazio e lo traducono in territorio occupato da piante e forme incomprensibili, braccia che si allungano simili a strade, funghi e arborescenze multicolori, boschi, stelle e pianeti. Una cartografia primaticcia fatta di pezzi e frammenti che la pagina non può delimitare, bagliori di consapevolezza che si accendono in modo subitaneo e altrettanto velocemente si spengono. Ogni esperienza è collocata nella cornice definita del qui e ora tipico del tempo dell’infanzia o meglio, dell’esperienza esplorativa in territori sconosciuti, quando si è ancora incapaci di collocare le singole scoperte in un sistema organico più esteso.  


E poi c’è il testo. Non prova nemmeno a costruire una trama continua: si avvicina al corpo, poi se ne allontana, poi ci ricade dentro di colpo. 
Funziona per immersioni brevi, quasi a strappi. Registra ciò che succede, mette in fila sensazioni, domande, piccole rivelazioni. Così prende velocità emotiva, una sorta di vertigine che è il ritmo stesso di chi sta facendo esperienza per la prima volta: uno spaesamento ancora abbagliato dalla contingenza. 


Infine, il tema. Con la leggerezza esplosiva concessa dal linguaggio poetico, questo albo si permette di avvicinarsi a una questione delicata, di difficile nominazione. Il corpo non è solo un luogo intimo e segreto di unica pertinenza del singolo, ma anche una sostanza concreta e tangibile con cui quotidianamente ci presentiamo al mondo, dove siamo immersi in un contesto sociale e culturale che ha diretto controllo sulla legittimità e sul valore del modo in cui viviamo e nominiamo le cose. E tocca fare i conti con quello che gli altri vedono di noi. 


L’albo porta a galla con levità la questione del pervasivo e viscoso racconto che viene elaborato sul corpo dall’esterno, dagli altri, soffermandosi sui territori del fastidio, del disgusto e della sgradevolezza, sulle puzze e gli odori, sui gesti proibiti, quelli che non si fanno in pubblico pena essere considerati maleducati, inaccettabili, non corrispondenti a un modello, in altre parole, mostruosi.


Il fastidio del maglione sulla pelle, la fame che acceca, l'ebbrezza disgustosa delle dita nel naso, il parrucchiere che tira e strattona i capelli fino a trasformare il senso dell’identità. Si tratta di emozioni che mal tollerano anche i grandi, trasformazioni che non smettono di sbalordire, gesti esplorativi normati e contingentati dalla buona educazione, atti riprovevoli che vengono comunque praticati dai bambini in una zona liminare di esperienza da cui si viene distolti. Tuttavia, passando attraverso i territori del fastidio, mettendoli in scena, scardinandoli dall’innominabilità, le due autrici suggeriscono la possibilità di un contatto più profondo con l’immanenza del corpo, fatto di tenero realismo, perché se è vero che è di un luogo che stiamo parlando, allora è solo accogliendo tutti gli scorci, anche quelli meno interessanti, che possiamo pensare di vederne l’interezza. 


E questa è una cosa che fa bene a tutti. 
 

Giorgia

 “Dentro me cosa c’è?” Daniela Carucci, Giulia Pastorino, Terre di Mezzo 2022 

lunedì 27 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

FRATELLINO E SORELLINA

Grillo
, Annet Schaap (trad. Anna Patrucco Becchi) 
La Nuova Frontiera junior 2025 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni) 

"Ogni storia a un certo punto comincia. 
Spesso è già cominciata prima di cominciare anche la storia di Eliza lo è, da tanto. 
Ma facciamo pure finta che cominci ora, qui: ora che lei sta guardando il mare con una coscia che brucia, lontano da casa, in un porto dove non è mai stata prima, in una cittadina dove non conosce nessuno."

Eliza, camuffata in un giaccone per lei molto grande e con un berretto in testa che ne nasconda i capelli lunghi, si fa passare per maschio. Adesso è con il suo fratello piccolo, Grillo. Insieme stanno cercando di sopravvivere in questo loro viaggio pieno di incognite verso le Bianche Scogliere. Lì vogliono andare perché lì c'è la soluzione alla loro solitudine perché è lì che ritroverà i suoi fratelli maggiori. 
Ma Eliza, con i suoi ultimi soldi, invece di comprare cibo per lei e Grillo si è fatta tatuare il nome degli altri suoi 5 fratelli, per l'appunto spariti un giorno nel nulla. Grillo non vuole più essere lasciato da solo e vuole essere rassicurato che tutto andrà bene. Ma è complicato per Eliza trovare un modo per raggiungere l'obiettivo: il mare è grande, grigio e sembra infinito. 
La prima cosa che va trovato è del cibo, ma l'unica possibilità è rubarlo. Poi va trovato un ingaggio su una barca con un capitano disposto a caricarsi due bambini male in arnese per andare così tanto lontano. 
Questa è l'avventurosa storia di una ragazzina che vuole ricomporre a tutti i costi la propria famiglia, salvandola dal sortilegio. Con lei c'è il piccolo Grillo, l'ultimogenito che lei ha allevato con amore fin dal giorno della morte di sua madre, che ha coinciso con la nascita di questo scricciolo balbuziente che nessuno tranne lei ha voluto con sé... 

Dentro Grillo convivono diversi libri: un'avventura, un romanzo di formazione, una fiaba. 
C'è il ritmo battente dell'avventura che rende la lettura così coinvolgente che si sente il bisogno di girare la pagina e andare per un altro pezzo in avanti. 
E poi però si percepisce anche chiara la sensazione del troppo pieno in testa tanto da rendere necessarie delle pause di decompressione e digestione di quanto si è letto. 
La densità emotiva, la complessità sono attrezzi del mestiere che Annet Schaap usa sempre con grande maestria. E con altrettanta maestria maneggia il perturbante (e direi la fiaba come registro ideale) che anche qui, come aveva fatto in modo molto convincente in Ragazze, si percepisce nella profondità del racconto. 
Come si diceva, la storia di Eliza e Grillo è cominciata ben prima che lei con lui si trovasse a girovagare per questo villaggio sul mare in cerca di un passaggio verso le Bianche Scogliere. E questa prima parte è un continuo susseguirsi di fatti, di cui il lettore apprezza l'imprevedibilità, si gode la tensione, si bea nella sorpresa e capisce il giusto e poco si chiede le ragioni profonde per cui tutto accade. E intanto mette da parte piccoli frammenti per la ricostruzione finale. 
Cosa c'è alla Bianche Scogliere che la spinge a mettere a rischio la vita del suo fratellino e la propria? Da cosa stanno fuggendo qui due? Perché è più importante un tatuaggio che la cena di entrambi? 
Di sorpresa in sorpresa è possibile seguire questi due nel loro percorso a ostacoli: tra bottegaie arcigne e inflessibili, tra sceriffi in cerca di successo, e maestre zelanti che dialogano spesso e volentieri con Gesù. E le sorprese non mancano neanche ai due protagonisti che sono sempre pronti a cambiare la propria rotta. 
Capitolo dopo capitolo, oltre a costruirsi con sempre maggiore chiarezza il contesto, entrano in scena i diversi personaggi che non abbandoneranno la scena fino alla fine. Un mondo variegato di caratteri, alcuni forse un po' prevedibili per un lettore più scaltrito, che vanno ad aggiungere la loro voce in un canto corale. 
Così come Annet Schaap ci ha portato in avanti partendo da un punto ics della storia, non certo l'inizio, così come ci ha presentato un per uno i personaggi più laterali, ma non per questo meno importanti, che Eliza e Grillo incontrano sulla loro strada, così a un certo punto inverte la rotta e ci porta all'inizio di tutto. La vita felice di una famiglia numerosa - 5 fratelloni e una sorella, l'unica femmina - una madre amorevole, al momento incinta del settimo fratello, un padre imprenditore e grande costruttore di strade ferrate sul territorio, ricco e, a suo modo, affettuoso. E poi tutto si frantuma in un attimo: la morte della madre, durante il parto dell'ultimogenito James detto Grillo, spacca in due la famiglia. Da una parte, padre e fratelli che lo ritengono responsabile di quella morte, e dall'altra, la sola Eliza, che decide di salvarlo e di prendersene cura, come avrebbe fatto sua madre. 
Un secondo disastroso fidanzamento del padre manda tutti a zampe all'aria (!) 
Quindi arriva il dolore, il lutto, la solitudine che agiscono sotterranei a sfasciare il resto. E su questo, come per magia ma neanche tanto visti i suoi precedenti letterari, Schaap decide di innestare la fiaba. Il contesto nordeuropeo, la solitudine, il dolore, il coraggio, la sfida, la morte, la prova e il sortilegio e la condizione femminile sono gli ingredienti che Andersen, maestro assoluto della complessità di vedute, ha messo nella sua struggente I cigni selvatici. E uno a uno si ritrovano anche nel Grillo. Accompagnano il lettore in modo discreto, senza troppo parere all'inizio - fatta eccezione per l'aluccia tenuta nascosta di Grillo, che ovviamente è lì come una piccola luce che rischiara il percorso, ma è anche un elemento che perturba le consuetudini. Nelle fiabe accade. 
Poi sul finale il complesso racconto fiabesco dell'autore danese prende la scena e non la molla più. Capisco che sostenere che una fiaba del genere possa essere assimilata al concetto di romanzo di formazione è un po' dura da mandare giù, ma davvero Schaap è in grado di farlo accadere.
Spesso gli innesti, o forse dovrei dire gli ibridi, danno ottimi frutti! 

 Carla

venerdì 24 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL VECCHIO E IL BAMBINO...

Il libro delle domande-Libro de las preguntas
, Pablo Neruda, Paloma Valdiví
(trad. Giuseppe Bellini) 
Edizioni Lapis, 2025 


POESIA ILLUSTRATA 

"Perché per attendere la neve 
s'è svestito l'albero ?

Le foglie d'inverno vivono 
in segreto con le radici? 

Dove lasciò la luna piena
il suo notturno sacco di farina?" 

Dónde dejó la luna llena 
su saco nocturno de harina? 

Questo è l'ultimo verso della prima poesia della versione originale in spagnolo de il Libro de las preguntas. Neruda non lo vide mai pubblicato. Morto nel 1973, il libro fu pubblicato in Argentina nel 1974. 
Nella sua forma originale si tratta di 74 poesie che si compongono tutte, ma proprio tutte, di domande. Ogni poesia è a sua volta composta da un numero variabile di versi, da tre a sei distici, mai in rima, ben inteso. 
In tutto sono 320 domande, che Neruda ha collezionato nel corso della sua vita e che ha ordinato in forma poetica poco prima di morire. 
Circostanza questa che ha fatto dire che il Libro de las preguntas fosse una sorta di suo testamento poetico e giocoso. 
Ecco. Giocoso, forse è una sua chiave di lettura. 


O quanto meno è la molla che ha fatto pensare a due importanti e illuminati editori di pubblicarlo nella loro collana per bambini. 
Il primo di questi editori è Media Vaca, pazzesca casa editrice spagnola, che lo affida alle illustrazioni di Isidro Ferrer e lo fa uscire nel 2006. Il testo è integrale e le illustrazioni sono, se possibile, un valore aggiunto al testo. 
Il secondo di questi editori è Enchanted Lion, altrettanto interessante casa editrice diretta da Claudia Zoe Bedrick. Ed è questa l'edizione che arriva anche in Italia con Lapis.
Claudia, in quanto editor,  ne pubblica solo una selezione, 39 poesie contro 74, 70 domande contro 320. Decide di cogliere letteralmente fior da fiore dalle domande e le riorganizza in un ordine che non ha quasi più niente a che fare con la suddivisione fatta da Neruda all'epoca. E decide di lasciare, accanto all'inglese, anche il testo originale. Cosa che Lapis, per le troppe difficoltà di acquisizione dei diritti del testo originale di Neruda, purtroppo non fa. 
L'editor di Enchanted Lion lo sottopone all'illustratrice, Paloma Valdivía, sperando che accetti. 
E così succede. 


Paloma, a sua volta, ricevuta la selezione di Claudia, lo stravolge ulteriormente per arrivare a un ordine ancora diverso che però abbia per lei un significato potente e in qualche modo anche "narrativo". 
Lei ha due esigenze fondamentali: segnare come forte il principio e la fine. E se si guarda l'immagine che apre il libro e quella che chiude, si percepisce con grande chiarezza cosa lei vada cercando. 
Inoltre, appunto, Paloma Valdivia vuole creare all'interno del libro una sorta di narrazione che attraversi tre diversi scenari: l'acqua, la terra e il cielo. E se si guardano i risguardi (!) si percepisce con grande chiarezza cosa lei vada cercando. 
E così succede. 
Claudia quindi dà carta bianca (sarebbe più corretto dire carta nera) a Paloma Valdivia (che detto per inciso su questo libro da piccola ha imparato a leggere... poteva rifiutare di illustrare il libro della sua infanzia???), dicendole di fare il libro più bello mai fatto finora e dicendole anche di progettarlo senza porsi limiti, perché poi Enchanted Lion avrebbe fatto di tutto per realizzarlo. 
Su un'unica cosa è molto determinata: Paloma Valdivia nelle illustrazioni non dovrà mai cercare di dare risposta alle domande. 
E così succede. 
Una volta deciso il suo proprio ordine di apparizione delle domande, Paloma Valdivia comincia a ragionare e a studiare: legge tutto Neruda, va mille mila volte a visitare la sua casa e le sue collezioni per capire da dove arrivino queste domande. E poi legge von Humboldt e Darwin, perché pensa che Neruda proprio in quell'ottica si sia posto nell'averle concepite nel corso di una vita. 
Come uno scienziato che va alla scoperta di ciò che non conosce, che esplora il mondo, la natura che lo circonda, capendo una cosa fondamentale: in natura tutto sta insieme. 


E, postasi in questa condizione mentale, Paloma comincia a disegnare. 
E la prima scelta che fa è quella di immaginare spesso il fondo nero, appunto: il colore dell'universo, il colore del mistero, il colore che contiene in sé le cose ignote che sono il grande motore di tante domande. Poi gioca anche visivamente sulle connessioni tra le parti, legando, senza parere, le linee di una pagina con le linee di quella successiva... Vanno cercate, sono lì. Basta seguirle con il ditino. 
Paloma ha anche bisogno di più spazio per tenere insieme più di due o tre domande di fila; secondo lei sono forti i legami che le uniscono. Per accoglierle, nascono per questo le pagine a bandella, là dove necessarie. Questo -detto per inciso- accentua il senso di scoperta, di sorpresa che ogni volta si crea in occasione delle sei pagine doppie, inaspettate e irregolari nell'impaginato. 
Il colore verde dell'inchiostro è l'ennesimo riferimento che Paloma ha voluto nel libro per rendere omaggio a Pablo Neruda che solo di verde ha scritto ogni suo rigo (chi ha letto il magnifico libro sull'infanzia di Neruda, la storia del piccolo Neftalì, ricorderà che verde era anche li colore della stampa e delle illustrazioni del bellissimo Il sognatore, scritto da Pamela Muñoz e illustrato da Peter Sís). 
Tanta cura nel fare un libro, lo studio mattissimo e profondo su Neruda - studio che è durato per tre anni o forse cinque - di Paloma Valdivía hanno avuto un esito: il libro negli Stati Uniti, nel 2022, ha vinto premi prestigiosissimi. 


Per chiudere il cerchio, forse però vanno dette due parole in più sul fatto che un libro del genere abbia solleticato due editori - e adesso tre - per bambini. 
Se dovessi sintetizzare direi che le domande sono la chiave della loro scelta. E con esse, quello sguardo stupito di fronte a tutto quello che non si conosce. Succede un po' così: lo sguardo incuriosito di un bambino non credo sia poi molto diverso da quello di un poeta, ormai vecchio e saggio. 
Le domande sono roba da gente curiosa, roba da gente che immagina per mestiere: sono roba adatta ai bambini e ai poeti. I bambini, loro, per prendere la misura del mondo, ne devono fare in continuazione. Peccato poi che tale sana abitudine di interrogarsi si perda, nella maggioranza dei casi, con il crescere 
Di questo libro i bambini possono reggere il passo e lo sguardo, sguardo che è nello stesso momento attento e meravigliato, esatto e vago... 


E così spero succeda. 

 Carla

mercoledì 22 ottobre 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UNA QUIETA CHIOCCIOLINA 


C’è una piccola collana che si coltiva un posticino molto particolare sugli scaffali delle librerie. Si chiama I notturni, è edito da Edizioni Piuma e no, non sono i notturni di Chopin, gli amabili brani cantabili, quelli che raccoglie. Questi notturni prendono il lato appunto ‘oscuro’ della notte e lo allargano con il solo potere delle parole, immaginando storie paurose, ambientandole in luoghi tenebrosi, con personaggi insoliti. 
Sono piccoli perché occorre leggerli in solitudine, lasciarsi trasportare da fantasmi, maledizioni, oscure morti. Sono neri, come la notte, le copertine hanno nella parte bassa un occhio che ti scruta, muto. Ancora più in basso due triangoli trafitti da una linea: nella simbologia alchemica il triangolo che ha il vertice in alto significa Aria, mentre l’altro rappresentato, col vertice verso il basso, rappresenta la Terra. È dunque subito chiaro l’ambito in cui si muovono i testi proposti: quello del romanzo gotico, che si spinge fino all’horror, che ha come grandi vati Edgar Allan Poe e Lovecraft. I libri sono avvolti in un cofanetto a tre ante, che abbraccia il libro: sotto il libro che pare diventare ancora più piccolo una volta spogliato, un taccuino nero anch’esso, ma da riempire con parole immagini suggestioni. 
La quarta di copertina è nel cofanetto. 
Nel caso di Eppur si muove, scritto da Laura Marinelli e illustrato da Giulia Ferla, la storia che si narra è quella di Mariano, un bambino di otto anni nato con una minuscola malformazione della mano destra: il bambino, infatti, ha sei dita in quella mano, undici in tutto. Che numero strano, dispari. Il mignolo è fonte di vergogna per il piccolo protagonista, che vive con la madre, donna di servizio presso un conte, a Napoli. Mariano e la madre convivono con questo mignolo strano, che pare viva di vita propria, che anticipa gli stati d’animo del bambino dimenandosi, sfuggendo al controllo. Lo tengono nascosto, consolati solo dal fatto che non sia la sinistra, la mano del diavolo, a essere malformata. Mariano gironzola tra la cucina del conte e la grande sala dove si accolgono gli ospiti e lì conosce Clementina, nipote del conte, sua coetanea, che diventerà grande amica del bambino. Intorno a Mariano aleggia il pregiudizio fin dalla nascita che percepiamo pagina dopo pagina e che esplode nel momento in cui Clementina scompare. 
Capro espiatorio per eccellenza, Mariano ha nel proprio corpo le prove di appartenere al Male. 
Il piccolo romanzo in realtà è scritto su un doppio binario: solo dopo i primi capitoli si capisce che il racconto è scritto di proprio pugno da un Mariano ventenne, disperato ancora dalla scomparsa misteriosa di Clementina. 
La scrittura di Laura Marinelli non è piana: è come l’andamento del libro, che passa dalla lingua italiana al dialetto napoletano, che cambia piani temporali, che saltella nelle menti dei personaggi. Piano piano tesse una narrazione che inevitabilmente porta al momento catartico, in cui tutto esploderà? In cui tutto sarà chiaro? In cui finalmente si saprà? Di certo le caratteristiche gotiche del romanzo sono quasi da manuale: fantasmi, prelati oscuri, vecchi castelli, crocefissi capovolti improvvisamente. 
In tutto questo un solo animale abita i luoghi con saggia postura: le chiocciole, che portano una casa su di sé, che paiono così inermi, così vulnerabili e lente, ma. 
Il libro è abilmente illustrato da Giulia Ferla, le cui illustrazioni accompagnano in modo composto il testo, emergendo solo a fine capitolo e aggiungendo quel giusto all’atmosfera orrorifica del racconto. 
Era da tanto tempo che non leggevo un horror e nel farlo ho pensato che è bello leggere sul bordo tra vita, morte, passaggi, superstizioni. Che è proprio vero quello che si dice che tanta morte chiama tanta vita, come alla fine scopre Mariano. 
Ho anche pensato che occorra ridare vita a questo genere amato e richiesto da ragazzini e ragazzine, qui i lettori ideali sono gli undicenni,  e questa piccola collana ha questo grande obiettivo e merita tutto lo spazio possibile. 
Nel centro della custodia, se si tolgono completamente il libro e il taccuino, c’è una curiosa annotazione sull’origine della chiocciola che usiamo quotidianamente quando mandiamo le mail. 
È una quieta e tenera chiocciola? O nasconde dell’altro? 
Forse occorre sfogliare i codici miniati del Trecento per capirlo. 

Valentina 

"Eppur si muove", di Laura Marinelli, ill. Giulia Ferla, Edizioni Piuma 


lunedì 20 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA COSA IMPORTANTE DI UN CUCCHIAIO...

Un cucchiaio pieno di storie, Sandra Siemens, Bea Lozano (trad. Yuri Garret)
Caissa Italia 2025 


ALBI ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Una volta ho scavato una buca con quel cucchiaio. Jaime, il fruttivendolo, mi aveva regalato dei semi di zucca. Mi aveva detto che dovevo piantarli in cinque buche profonde tanto così e che in estate sarebbero nate le mie zucche. 
Avevo fatto due sole buche quando arrivò mia nonna: 'Quel cucchiaio non si usa per le buche'. Lo rimise nel cassetto delle posate e, in cambio, mi diede una paletta verde per finire di piantare i tre semi. Ma non è la stessa cosa: le palette non scavano altrettanto bene." 

E come volevasi dimostrare di quei cinque semi, solo i primi due attecchiscono, e solo due zucche nascono... 
"Quel cucchiaio" evidentemente non è un cucchiaio qualsiasi, visto che - oltre a nonna che non vuole sia usato per scavare, anche mamma non vuole sia usato per mangiarci la minestra, né papà le permette di suonarci Topolino Topoletto sul fondo di una pentola... 
"Quel cucchiaio" arriva da molto lontano. Molto lontano nel tempo. Ha attraversato indenne quattro generazioni per approdare in quel cassetto dove, in mezzo agli altri, ha un peso e un'importanza particolare. Tutta sua. 
Questa è la sua lunga storia. 
Ma è anche la storia di una bambina che con la Storia di quell'oggetto deve farci i conti per poi decidere come condividerla, nel futuro, con chi verrà dopo di lei. 

Di nuovo la storia di un oggetto. Evviva. 
Di nuovo la storia che si confronta con la Storia. Ari-evviva. 


Il primo grande merito di Sandra Siemens, in questo libro, mi pare sia quello di saper cogliere, con la stessa prospettiva che hanno i bambini, l'importanza degli oggetti.  
Per loro sono essenzialmente utensili. 
Per loro conta essenzialmente la forma, ragione per la quale qui un cucchiaio è per mangiare la minestra, per scavare una buca, per suonare una pentola. 
Mi vengono in mente due libri che - è garantito dalla biografia documentata delle due autrici Krauss e Wise Brown - di certo dei bambini riportano la voce autentica. 
Loro li hanno interrogati, li hanno ascoltati e hanno saputo riportarne il pensiero con assoluta onestà. 
Se si conoscono questi due titoli - La cosa più importante, di Margaret Wise Brown e Leonard Weisgard e Un buco è per scavare di Ruth Krauss e Maurice Sendak - si converrà che Ruth Krauss e Margaret Wise Brown, intorno agli anni Quaranta e Cinquanta e Sessanta del Novecento, hanno davvero rivoluzionato i libri per l'infanzia e il pensiero che li generava. 
Entrambe lo hanno fatto, usando la strada più dritta: sono risalite dirette verso la fonte. 
Entrambe, infatti, hanno frequentato con assiduità i bambini e le bambine della Bank Street School, baluardo di assoluta avanguardia pedagogica per l'epoca, guidata da Lucy Sprague Mitchell. Loro parlavano con quei bambinetti, ma anche con i loro vicini di casa cinqueenni, o con bambini incontrati sulla spiaggia... Quest'ultimo, per esempio, era un vero bambino che su una vera spiaggia stava scavando una vera gran buca. Quando Ruth Krauss gli rivolse la parola e gli chiese a cosa servisse... Lui le rispose: quello che è poi diventato il titolo del libro illustrato da un Sendak prima maniera. 
Il loro merito è stato quello di chiedere, ascoltare, non dimenticare e restituire voce. 


Mi pare che qui Sandra Siemens (e Bea Lozano le va dietro) abbia fatto lo stesso: dalla paletta verde che non funziona fino all'ultima riga del testo. Terzo evviva! 
Ma a parte questo, che non è per niente poco, anzi è il valore del libro, farei due altri ragionamenti su di lei. 
Visto il suo cognome e vista l'Argentina come suo luogo di nascita, mi viene da pensare che questa storia, se non proprio sua personale, tuttavia ne ripercorra alcune tappe. 
E così si arriva alla seconda grande questione che meritatamente il libro pone: la Storia più grande che si infila nella storia più piccola di un singolo oggetto. E lo fa attraverso il ricordo, che ha un suo portato affettivo maggiore, rispetto al concetto di memoria... 
Quindi tutto comincia da un servizio di posate che viaggia e non sopravvive alla guerra se non per un cucchiaio, che immediatamente diventa importante 'parte per il tutto', oramai andato perduto. Da quel momento in poi il cucchiaio diventa ricordo e, come tale, va conservato e passato di generazione in generazione. 
E anche la bambina piantatrice/suonatrice lo riceverà in dono - qualcosa di simile a una vera e propria dote di famiglia. 


Ma qui avviene un'ulteriore sterzata che non era così scontata, ma si allinea con quanto riconoscevamo a Margaret Wise Brown e a Ruth Krauss (ma anche a tanti altri dopo di loro).
Da bambina quale è, va da sé che il suo progetto futuro per l'utilizzo del cucchiaio sia diametralmente opposto rispetto a quello 'museale' che madre, padre e nonna hanno praticato finora e che le suggeriscono di continuare. 
E questo scarto rispetto al pensiero adulto fa la differenza. 
Lei va per la sua strada!


Circostanza non irrilevante per fare di un libro, che poteva essere retorico nel finale, un buon libro! 
Su che fine farà quel cucchiaio, non è dato fare ipotesi.
L'unica cosa che auguro a quella ragazzina è quella di non smarrirlo! 

Carla  

Noterella al margine. Un post a sé meriterebbe Bea Lozano che fa un lavoro davvero interessante. Non so se sia successo veramente, ma dentro i suoi disegni si sente il palpito di Arnal Ballester che, se non è stato suo diretto maestro, lei conosce e guarda con devozione. O Wagenbreth? Brava a usare la doppia pagina senza paure, brava a ingrandire e rimpicciolire dove necessario. Brava a sentirsi così libera rispetto al testo. Brava brava. 
E, visto che è un esordio qui in Italia, sarebbe bello poterla rivedere presto. 

Seconda noterella al margine. Per puro spirito di completezza, qui il testo relativo alla definizione di cucchiaio dal libro La cosa più importante:

La cosa importante 
di un cucchiaio 
è che lo usi per mangiare. 
È come una piccola pala, 
lo stringi nella tua mano, 
puoi metterlo in bocca, 
non è piatto, 
è incavato 
e raccoglie le cose. 
Ma la cosa più importante 
di un cucchiaio 
è che lo usi per mangiare.

Terza noterella al margine. Avrei da ridire sul titolo dell'edizione italiana... ma vabbè. Chi mi conosce lo sa che sono severissima.