lunedì 1 settembre 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

UNA COSA LEGGERA CHE PRIMA NON C'ERA 

Una luce in soffitta, Shel Silverstein (nella voce di Damiano Abeni)
orecchio acerbo 2025 


POESIA ILLUSTRATA 

 "Metti qualcosa 

Fa’ un disegno un po’ matto, 
scrivi una poesia scombinata, 
canta una canzone biascicata, 
usa il pettine come strumento musicale. 
Balla una danza stramba in cucina di sera, 
metti nel mondo una cosa leggera 
che prima non c’era." 

La poesia non la puoi spiegare. 
Shel Silverstein non lo puoi spiegare. 
L'unica cosa possibile e onesta da fare è leggere - dritti dritti - le sue poesie e godersi quella linea nera apparentemente incerta e talvolta tremolante che ha il dono di chiudere in sé un gioco, uno scherzo, un nonsense, un bel po' di ironia, diverse rasposità e sempre molta verità. 
Per queste due ragioni l'unica cosa che penso si possa fare è quella di aprire il libro e leggerlo e sfogliarlo. 
Ed è esattamente questa la cosa che mi ero prefissa di fare, andando a Bologna per la fiera. 
Come avrei potuto spiegare in due parole l'arte di un gigante? 
Potevo solo metterla in mostra ed è esattamente ciò che ho fatto: ho aperto il libro decine di volte e a chi avevo davanti ho letto poesie di zio Shelbi, nella pimpante traduzione di Damiano Abeni che è come il burro sul pane quando si tratta di tradurre Silverstein, da Alla ricerca del pezzo perduto in poi... 
E cosa è successo? Nessuna delle persone a cui l'ho letto, seppure in modo molto parziale (una o due poesie contro le centotrentatrè che contiene il libro di più centosettanta pagine...) è andata via senza averlo sottobraccio. 
La medesima cosa la si può fare qui.  

- A proposito di verità e di bambini: 

Preghiera del bambino egoista 

Adesso che mi preparo per andare a letto 
prego che il Signore mi tenga protetto, 
e che se muoio mentre dormo
i miei giocattoli levi di torno 
così gli altri bimbi non se li portano via... 
E così sia. 

oppure 

Esé 

 Ieri sera a letto meditavo parecchio 
quando un Esé mi è entrato nell’orecchio 
e tutta la notte ha ballato e fatto festa 
cantandomi la canzone Esé nella testa: 
Esé a scuola vado male? 
Esé hanno chiuso la piscina comunale? 
Esé qualcuno mi mena? 
Esé mi avvelenano la cena? 
Esé comincio a frignare? 
Esé, malato, finisco per schiattare? 
Esé la maestra mi boccia? 
Esé un pelo verde sul petto mi sboccia? 
Esé nessuno mi gradisce? 
Esé un lampo mi colpisce? 
Esé non cresco più? 
Esé la testa mi casca giù? 
Esé non pesco un bel pescione? 
Esé il vento mi strappa l’aquilone? 
Esé scoppia una guerra? 
Esé i miei divorziano? 
Esé l’autobus è in ritardo? 
Esé i denti mi crescono storti? 
Esé mi strappo i pantaloni? 
Esé non imparo mai a ballare? 
Tutto sembra normale, a posto, ma poi 
l’Esé di notte colpisce ancora, ahinoi! 

 - A proposito di verità e cura del mondo 

Qualcuno deve 

Qualcuno deve lucidare le stelle, 
paiono un po’ troppo fioche. 
Qualcuno deve lucidare le stelle, 
perché le aquile, gli storni, le oche 
si lamentano che sono consunte e brunite, 
ne vogliono di nuove, che non possiamo comprare. 
Per cui prendete gli stracci, 
i saponi e i solventi e lucidate le stelle, 
ridatecele splendenti. 

oppure 

Il timone di Dio 

Dio mi domanda con un sorrisino: 
«Ti piacerebbe essere Dio per un pochino 
e guidare il mondo?» 
«Oh» rispondo, «ci provo. 
Come mi muovo? 
Mi puoi pagare? 
Cosa mi dai da mangiare? 
Quando smonto?» 
«Ridammi il timone!» ordina Dio. 
«Non sei ancora pronto.» 

 - A proposito di rapporto felice tra testo e immagine 


Gran bel tuffo 

Il tuffo più elaborato mai tentato 
l’ha fatto Melissa di Prato. 
Dal trampolino si è lanciata in aria 
scuotendo testa e capelli con boria. 
Ha fatto 34 carpiati, avvitamenti e capriole, 
un quadruplo rovesciato alto verso il sole, 
e nove volte un mortale con la ruota. 
Poi ha guardato giù... 
la piscina era vuota. 

oppure 


Snap! 

Stava aprendo l’ombrello 
perché la pioggia era prevista. 
Abbiamo sentito come un colpo di pistola 
o lo schiocco di una tagliola 
e nessuno l’ha mai più vista. 

- A proposito di nonsense e di grandi traduttori 

 L’Iochì con un Giustocosa 

Toc toc! 
Chi è? 
Io! 
Io chi? 
Giusto! 
Cosa è giusto? 
Iochì! 
Questo voglio sapere! 
Ma cosa vuoi sapere? 
Io chi? 
Sì, giusto! 
Giusto cosa? 
Sì, ho un Giustocosa al guinzaglio! 
Giusto... cosa al guinzaglio? 
Sì! 
Sì cosa? 
No, Giustocosa! 
Quello voglio sapere! 
Te l’ho già detto: Giustocosa! 
Giusto... cosa? 
Sì! 
Sì cosa? 
Sì, è qui con me! 
Cosa è con te? 
Il Giustocosa. 
Siamo lui e io. 
Io chi? 
Sì! 
Pussa via! 
Toc toc... 

oppure 

Hurkoro 

Vorrei giocare a tennis e non andare dal dentista. 
Vorrei giocare a calcio e non andare dal dottore. 
Vorrei giocare a Hurkoro e non andare al lavoro. 
Hurkoro? Hurkoro? Cos’è l’Hurkoro? 
E chi lo sa. Sempre meglio che andare al lavoro.


Ecco. Tutto qui, otto cose leggere che prima non c'erano




Carla

venerdì 29 agosto 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

SCIOGLIERE IL NODO

Nessuno tranne me
, Sara Lundberg (trad. Maria Valeria D'Avino) 
orecchio acerbo 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

" 'Mamma, la sai una cosa?' 'No, che cosa?' 
'Tu sei il molo. E io sono la barca.' 'Mhmm...' 
'E la barca è legata al molo con un nodo.' 'E guarda il nodo. È strettissimo.' 
'Ti aiuto?' 'No, ce la faccio.' 
'L’ho slegato.' 'Sì, ho visto. Tutto da solo.' 
'Nessuno lo sa fare...' " 

Nessuno tranne me! dice quel bambinetto biondo che, salito sul suo canotto si allontana dal molo e dalla sua mamma. Come lei gira lo sguardo, lui comincia a navigare verso l'ignoto, ovvero in una giungla verde e rigogliosa, tra mangrovie e ninfee, abitata da piccole creature alate, delle fate. Ora sono loro a seguire il suo viaggio. Lo guardano da un ponte o dal tetto di un palazzo mentre naviga tranquillo nelle acque di un un fiume in città. E quando il suo canotto arancione ne incontra un altro identico con sopra una bambina, tra mille altri canotti che si affastellano in un acqua park, succede qualcosa di imprevisto: la bambina cerca le sue mani per mettergli fra le dita un seme... La corrente però li separa e il bambino torna ad attraversare la giungla dove le fate continuano a vegliare su di lui, salvandolo dalle cascate e dalle belve feroci e rimettendolo sul giusto percorso che lo riporti verso acque più sicure e più conosciute. 
Là ci sarà qualcuno ad aspettarlo, qualcuno che non si è mai mosso da lì, proprio come fanno i moli...

Questo libro ha una genesi doppia. Ed è Sara Lundberg a raccontarla. 


Da una parte c'è una delle tavole che prima di essere illustrazione è stata quadro, andato in una sua mostra personale. Una visitatrice lo vede e se ne innamora, lo vuole acquistare: le ricorda suo figlio, che è andato a vivere da solo, lasciando la casa materna. Lei, che sente la sua nostalgia, racconta a Sara Lundberg che è lì nella galleria, ciò che lui da piccolo un giorno le aveva detto: 

" 'Mamma, la sai una cosa?' 'No, che cosa?' 
'Tu sei il molo. E io sono la barca.' 'Mhmm...' 
'E la barca è legata al molo con un nodo.' 'E guarda il nodo. È strettissimo.' 
'Ti aiuto?' 'No, ce la faccio.' 
'L’ho slegato.' 'Sì, ho visto. Tutto da solo.' 
'Nessuno lo sa fare...' " 

Sara Lundberg coglie immediatamente la bellezza e la profondità di questo dialogo tra mamma e figlio e chiede il permesso a quella visitatrice di costruirci intorno una storia. Permesso concesso, a patto di avere una dedica che ne testimoni la "maternità". 
L'altro punto di partenza è una committenza difficoltosa tra Sara Lundberg e un ospedale pediatrico svedese. Le sue pitture avrebbero dovuto abbellire gli spazi comuni, ma i troppi vincoli alla fine hanno fatto desistere artista e committente. Però i bozzetti e i disegni preparatori erano stati fatti e raffiguravano un viaggio attraverso giungle e grandi città... 


Il libro che è nato da queste due circostanze è un capolavoro sotto molti punti di vista. 
Fortunatamente in molti se ne sono accorti: dalla Fiera di Bologna che lo ha premiato quest'anno, fino all'ospedale svedese che ha rivisto le sue posizioni nei confronti di Sara Lundberg e della sua magnifica arte: ora i piccoli pazienti possono godere delle tavole così piene di meraviglia e di verde e di arancione e di fate bambine. 
Dal punto di vista figurativo è magnifico. 


La gestualità dei corpi, uno dei talenti di Sara Lundberg, riesce a raggiungere una espressività davvero notevole. Altrettanto si può dire per la sua sensibilità nei confronti del colore: quella copertina dove il verde della foresta racchiude la potenza esplosiva di quell'arancione è un risultato estetico davvero altissimo. 
Al centro un bambino splendente circondato dalla propria lussureggiante immaginazione. 
Il continuo cambio di prospettiva, la composizione, le velature nel dare il colore, la ricerca di immediatezza nel segno per creare emozione piuttosto che perfezione sono tutte cose cui Sara Lundberg ci ha abituato, ma qui succedono un po' di più e un po' meglio! 
Dietro tutto questo c'è la grande questione: quella del molo, del nodo e della navigazione in solitario... 
A proposito di questo, già in passato con un altro bel libro di Sara Lundberg, Un giorno sbadato, c'era stata l'occasione di parlare della relazione sana tra madri e figli. 
Lì il libro si apriva e si chiudeva con due immagini 'parlanti': una mamma capace di abbassarsi e girarsi per guardare negli occhi il proprio bambino, tenendolo per mano, ma anche di addormentarsi appallottolata sul divano con lui che gioca da solo lì accanto... 


Se si usa la stessa metafora della mamma e del figlio svedesi, non ci spostiamo di molto: il molo è sempre lì e la sua funzione è quella di rendere sicura la partenza e di accogliere chi torna... 
In tal modo i piccoli marinai saranno capaci di sciogliere con maggiore fiducia gli ormeggi per partire e andare. 

Carla

mercoledì 27 agosto 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

CONNESSIONI AUTOMATICHE LIBERE 


" 'Lo sai che ci sono otto milioni di persone in città?' disse Magnolia. 'Come ti aspetti che troviamo quelle giuste?' 
'Vedila così: ogni calzino è uno scorcio sulla personalità di qualcuno' disse Iris."

Estate, New York. Magnolia ha nove anni e vorrebbe averne dieci per sfidare il mondo… in realtà le basterebbe anche solo qualcosa di diverso dalla prospettiva di un tempo prossimo da trascorrere in solitudine nella lavanderia di famiglia. I suoi genitori sono arrivati anni prima dalla Cina e si guadagnano da vivere con questa attività che gli assorbe completamente. 
Magnolia non ha amici. Raccoglie i calzini dimenticati, che spesso finiscono sotto la lavatrice, e li appende a una bacheca, nella speranza che i loro legittimi proprietari tornino a riprenderli. Ma questo non accade mai. 
Poi arriva Iris, bambina di origini vietnamite che si è appena trasferita dalla California. Dopo l’iniziale diffidenza, tra le due nasce una salda amicizia e insieme decidono di dedicarsi alla ricerca dei proprietari di quei calzini. 
Magnolia è nata a New York, conosce bene almeno il suo quartiere e le persone che frequentano regolarmente la lavanderia, ma non immagina come si possa risalire ai proprietari dei calzini, ma qui interviene Iris che suggerisce il metodo CAL, ossia connessioni automatiche libere, in pratica di fronte al calzino ognuna lascia libero spazio a pensieri ed elementi che le caratteristiche dell’oggetto stimolano. Ovvio che nessuna delle deduzioni alle quali arrivano si dimostra immediatamente esatta, ma consente loro di ottenere l’indicazione di un punto dal quale partire.  
E di calzino in calzino le due bambine risalgono in primis alle storie che ognuno di questi cela, perché nelle fantasie, nelle tessiture, si nascondono vicende umane non sempre note. 


Magnolia e Iris imparano ad avvicinare i ragazzi che fanno battere il loro cuore, come quelli che invece sono solitamente evitati a causa del loro comportamento scorretto. E sia l’uno che l’altro rivelano loro desideri, aspirazioni, ma anche dolori non confessati. Chi l’avrebbe mai detto che il calzino con i fenicotteri rosa potesse appartenere ad Aspen, bullo che perseguita Magnolia? Si scopre che si rifugia abitualmente in biblioteca e che nei fenicotteri ha scoperto una chiave di resistenza alle brutture che si consumano nelle mura domestiche, ma soprattutto si scopre che la sua aggressività nei confronti di Magnolia è dettata solo da paura. 
Come questo, anche gli altri calzini di cui le due protagoniste riescono a rintracciare il legittimo proprietario rivelano qualcosa di assolutamente insospettato. A un piccolo pezzo di stoffa indossato quotidianamente, in maniera forse inconscia ognuno di loro consegna una porzione importante della propria vita. L’abilità deduttiva, e non meno la fortuna, permettono a Magnolia e Iris di accedere anche a sogni e desideri serbati per timore di non essere accettati. Ma una volta venuti alla luce acquistano legittimità e diritto di essere coltivati. La maniera poi in cui le due piccole investigatrici arrivano alla soluzione diventa ogni volta parte fondamentale del processo di svelamento ma anche di consapevolezza: è grazie al calzino fatto ai ferri e riconsegnato ad Alan che il ragazzino troverà il coraggio di confessare la sua segretissima passione, così come è grazie a un calzino dal forte profumo di cocco che il custode racconterà della sua passione per il pattinaggio e la danza. 


Ma ovviamente cercare il proprietario di un oggetto partendo dai suoi gusti e abitudini significa anche affinare una pratica di empatia con la principale conseguenza di mettersi in gioco fino al punto di rivelare la propria parte nascosta. E questo sarà vero sia per Magnolia che chiederà conto per la prima volta a sua madre di come riesca a gestire i numerosi episodi di avversione, sia per Iris che nasconde una ferita profonda e che trova nell’altra ragazzina e nell’impresa che hanno messo in piedi la maniera per riuscire a sanarla. 
E a chiudere il cerchio in questo modo Chanel Miller ci arriva confezionando una storia non banale, che manovra argomenti anche scivolosi come quello della discriminazione verso gli immigrati. La famiglia di Magnolia e quella di Iris hanno una storia molto diversa, ma entrambe sono testimonianza di tenacia. Le bambine elaborano personali strategie di sopravvivenza in un mondo non sempre facile. Eppure imparano presto che sì, è vero in quanto immigrate partono da una condizione di svantaggio, ma non sono le uniche a vivere condizioni di disagio. 
Otto milioni di abitanti sono tantissimi, ma anche le più grandi realtà urbane sono costituite di porzioni più piccole in cui le persone riescono a ritagliarsi momenti e occasioni di sostegno reciproco. E in fondo, se le due ragazzine camminano da sole per le strade della Grande Mela, è perché possono contare sulla presenza di una comunità di individui che si conosce e si supporta. 
Non è difficile intravedere, nei modi in cui questa umanità e questa brulicante realtà metropolitana viene descritta uno sguardo ironico dell’autrice, nutrito non meno di profondo affetto. 
Un romanzo per giovani lettori a partire dai 9 anni. 

Teodosia 

"Magnolia Wu e la missione dei calzini smarriti", Chanel Miller (trad. Loredana Baldinucci), Mondadori 2025 


lunedì 25 agosto 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

LA RAGAZZA È IL MASSO 

La ragazza e il masso, Kristien In-'t-Ven, Martha Verschaffel (trad. Valentina Freschi) 
orecchio acerbo 2025 


ILLUSTRATI PER GRANDI (dagli 11 anni) 

"Sembrava un masso. Un pezzo di montagna. 
Era così anche al tatto. Ruvido e duro come granito. 
Grande e impossibile da spostare. 
Cosa doveva farsene, di un masso che non aveva nemmeno chiesto? 
Proprio niente, pensò. Decise di posarlo e di tornare dentro. Ma non ci riuscì. 
Per quanto ci provasse, il masso non si smuoveva." 

Un fattorino lo ha appena depositato nel vano della porta di casa sua. Lei non ha ordinato nulla, men che meno un masso più grande di lei, eppure su quell'enorme pietra c'è il suo nome e per il corriere non ci sono alternative: è a lei che lo deve consegnare. 
Il masso ovviamente non passa dalla porta ed è maledettamente pesante. 


La ragazza, che un minuto prima era lì che impastava il pane, ora si ritrova fuori di casa con un pietrone da gestire. 
In tutte le maniere lei prova a spostarlo, ma senza successo. Più cercava un modo per liberarsene, più quello si appesantiva... 
La soluzione per lei è trascinarlo in qualche modo fin sull'orlo di un precipizio dove di solito la gente getta le cose che non vuole più avere fra i piedi. 
Il tragitto è faticosissimo e intervallato dai consigli e i giudizi delle persone che la vedono passare. Ma nell'atto di spingerlo al di là del ciglio cade anche lei dietro al masso che rotola in profondità, fino ad arrivare sul fondo, di fatto salvandola da un urto che per lei sarebbe stato fatale. 
Dei bambini si accorgono di quello che è successo e, con un buon lavoro di squadra, tirano su lei e il masso. Ormai è chiaro anche a lei che non ha senso cercare di separarsene. 
Dopo non essere morta, ma dopo aver toccato il fondo ed essere anche tornata a galla grazie ai bambini, si rende conto, forse per la prima volta, che tutti hanno con sé un masso. Piccoli o grandi, portati come zaini sulle spalle o al guinzaglio come cagnetti, i massi fanno parte della vita di molti, di tutti. 
Imparare a conviverci forse è la soluzione? 

Questo libro ha la caratteristica di generare giudizi tra loro contrastanti, in alcuni casi agli antipodi. Alcuni non ne hanno colto subito il senso profondo e la grande metafora che lo attraversa, altri lo hanno considerato "a tema", essenzialmente perché pone una grande questione (cosa altro dovrebbero fare i buoni libri, se non generare domande e mettere in moto le menti dei lettori, spostandoli di un po' dalle loro posizioni iniziali?). Altri ancora lo hanno reputato un libro bellissimo e quindi necessario. Tra questi, gli editori che l'hanno pubblicato nei Paesi Bassi e in Italia. 


Tra i molti che lo hanno considerato un gran libro, con una grande storia raccontata, sono nate interpretazioni molteplici. In sostanza tutti hanno cercato, in base alla propria esperienza, in base al proprio modo di leggere il mondo e la realtà, di dare un senso e un nome a ciò che si nasconde dietro (o forse sarebbe più corretto dire dentro) quel masso. 
Diciamo che, per come ce lo raccontano Kristien In-'t-Ven nelle parole così taglienti e necessariamente ambigue, e Martha Verschaffel nei disegni spigolosi, rigorosamente a matita, e quindi in bianco e nero, il masso è una roba "pesante", "ingombrante" e necessariamente "consistente" o sarebbe più giusto dire "esistente". 
Quindi, già solo l'idea di avere un masso con cui fare i conti significa mettere la protagonista in una condizione di svantaggio. Infatti al principio è proprio un fastidio: le impedisce di tornare al suo impasto, le sottrae l'accesso a casa e di fatto le nega la possibilità di tornare alla sua zona di conforto. 
Eppure. 
Il masso, però, è stato letto non tanto come un fastidio, un guaio arrivato tra capo e collo, ma come qualcosa che ha la facoltà di cambiare lo status di una persona e dal quale non ci si deve separare, al contrario bisogna imparare a tenerne conto. 
 Detto fra noi, se fosse così, troverebbe ancora maggiore senso la circostanza che la ragazza riemerga dal burrone con il masso...


Se così è, e io mi schiero tra coloro che così lo interpretano, il masso è lì a segnare davvero il passaggio da uno status a un altro. 
Sebbene sia pur vero che questo passaggio, spesso improvviso e repentino, avviene perché una sofferenza ti tocca, un dolore ti colpisce, tuttavia le cose potrebbero essere lette anche in altro modo. Faccio esempi concreti: libraie hanno visto in quel masso l'arrivo di un figlio, ragazzi di seconda media lo hanno definito "senso di responsabilità", che in qualche misura con il diventare grandi, o appunto con maternità/paternità ha parecchio a che spartire. 
Altri lo hanno considerato la presa di coscienza di sé stessi. 
Se dovessi dare una mia lettura personale direi: il masso è prima di tutto un impegno che la ragazza si prende, e non è affatto o non solo una difficoltà con cui imparare a convivere. 
O forse, ancora meglio, il masso è lì a dire che lei esiste nel mondo. 
Illuminante per me è stato il ragionamento di un filosofo, uno dei rari esponenti del genere maschile che questo libro lo ha fin da subito apprezzato (tanto da presentarlo alla Fiera di Bologna ad aprile scorso), secondo cui l'arrivo del masso segna un fondamentale passaggio tra quello che è il reale e quello che è la realtà. Laddove il reale è la proiezione che noi abbiamo di ciò che ci aspetta e la realtà è ciò che capita: inaspettata, inattesa, imprevedibile come un corriere che ci consegna un pacco che non avevamo mai richiesto... 


In altre parole, quel masso è lì non solo per salvare la vita di quella ragazza, ma addirittura per attestarne l'inizio dell'esistenza. E quel pane che l'aspetta per essere impastato, cotto e poi mangiato sembra proprio sottolinearlo. 
Noi cominciamo a essere nell'istante in cui il sasso ci trova e diventa parte di noi. 
Il masso è lì a dare misura e peso di ciò che è reale, trasformandolo - malgrado i nostri affanni e le nostre aspettative - in realtà! 

Carla

venerdì 22 agosto 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

TRA COLERIDGE E MAGRITTE 

 Questa non è una carota., Dylan Hewitt 
 orecchio acerbo 2024 


 ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Devo trovare una vera carota da mangiare. 
E così il piccolo coniglio affamato parte alla ricerca di una VERA carota. 
NEMMENO QUESTA È UNA VERA CAROTA dice. 
È SOLO UNA STUPIDA FIGURA! E NON È NEPPURE ARANCIONE! E POSSO CANCELLARLA! E prosegue, con la pancia che continua a brontolare." 

La sua ricerca va avanti e quando vede una carota davvero molto veritiera sta per cadere nel solito tranello, ma un dettaglio lo insospettisce: questa carota è sospesa nel vuoto e ogni coniglio sa che le carote non volano. Il coniglio capisce di essere di nuovo davanti a una carota disegnata, molto molto bene, ma pur sempre solo disegnata. 


Quando si imbatte in un campo in lontananza, con un trattore e con una mucca assolutamente tutti identici a quelli reali, crede di aver risolto il suo problema. 
Falso. È proprio il caso di dirlo. Il coniglio, come gentilmente gli svela la mucca, è davanti a foto di campi, trattori e mucche. Le foto dimostrano di saper fare uno scarto non indifferente rispetto al disegno: loro raffigurano la realtà nel modo più vicino alla realtà. Più di un qualsiasi disegno, anche il più realistico possibile. 
Il dialogo con la mucca è illuminante, ma non esattamente risolutivo per il suo problema di fame dilagante. 
La foto della mucca, ossia la mucca della storia, lo illumina ulteriormente su come stiano le cose in realtà.
E così, a un passo da quella che potrebbe essere un reale crisi di identità, il coniglio capisce di avere sottomano la soluzione alla sua ricerca di carote per pranzo... 
Basta crederci! 

Un libro geniale che ha la capacità di instillare nelle testoline dei propri lettori riflessioni importanti. Questo è Questa non è una carota. 
La prima cosa importante che fa è quella di creare un nesso con il Surrealismo. Tanto prima i bambini entrano in contatto con gli esiti di quella corrente artistica, tanto prima vedono, per esempio, i quadri di Magritte o di Dalì tanto meglio è. E questo perché il Surrealismo - più di ogni altra corrente artistica - corrisponde al modo "naturale" che hanno i bambini di leggere la realtà. Potrebbero diventare i loro pittori preferiti, almeno fino ai 12 anni... 
Detto solo per inciso: il Surrealismo è stato spesso il campo di ispirazione di molti illustratori importanti. Anche oltre i 12 anni. 
Il nesso, anche solo formale, di Questa non è una carota, con il Surrealismo sta già nel titolo. Ancora prima di aprire il libro quel punto fermo dopo la parola carota - una assoluta anomalia chiudere un titolo con un segno di interpunzione che non sia l'esclamativo o l'interrogativo - è una scelta di campo, così come lo è lo scimmiottamento del testo che corre sotto la famosa pipa dipinta da Magritte nel 1929, che porta il titolo La trahison des images ed è conservato a Los Angeles: Ceci n'est pas une pipe. 


La seconda cosa importante che questo libro fa è quella stessa che aveva in mente Magritte, dipingendo questo quadro: il linguaggio dell'arte, ossia più in generale, il linguaggio delle immagini e il suo rapporto con la realtà. 
Il coniglio ci mette davanti a un fatto che si ripete nelle nostre giornate in continuazione: le immagini non sono la realtà eppure noi siamo portati a interpretarle come tali. O, come fa lui, siamo invogliati a farlo. 
In questo senso la pubblicità su tale meccanismo fonda sé stessa: le immagini diventano realtà percepita. Ma quello stesso coniglio, attraverso l'esperienza, ci sta dicendo la stessa cosa che ci ha detto Magritte cent'anni prima: quello che vedi, ossia una pipa, non è una vera pipa. 
Facendolo, mette in crisi il lettore, ovvero l'osservatore, che tuttavia non può fare altro che assentire. 
Qui si potrebbe ulteriormente mettere sul tavolo dei ragionamenti il fatto che il linguaggio stesso è un codice costruito 'in laboratorio' per nominare il reale. La parola sedia non sarà mai una sedia (e peraltro avrà il pregio di poter contenere in sé ennesimi tipi diversi di sedia). 
Ma se torniamo ai ragionamenti del piccolo coniglio possiamo notare che i passi per distinguere il reale dalla sua rappresentazione sono due: da una parte la pittura, la restituzione dell'oggetto concepita e poi realizzata con matite o pennelli, e dall'altra la immagine fotografica. Condividono entrambe l'estro e l'arte di chi le realizza e la bidimensionalità del supporto - la carta - ciò nonostante hanno impatto visivo ben diverso. 


E su questo si potrebbero aprire altre infinite chiacchiere e ragionamenti con i lettori... 
La terza cosa importante che questo libro fa riguarda la letteratura in genere e il nostro rapporto con lei. E qui entra in gioco Coleridge che di questo rapporto ha messo in evidenza un carattere fondamentale: la temporanea sospensione dell'incredulità, the suspension of disbilief! senza la quale la letteratura di finzione non avrebbe avuto alcun senso di nascere ed esistere. 
Si tratta di un patto, solido quanto silenzioso, tra chi scrive e chi legge: "scrivi e io ti crederò. Bene, allora io scrivo perché so che tu mi crederai!" 


Fa troppo caldo perché io attacchi qui uno dei miei soliti pipponi sulla questione, ma se leggerete o ascolterete le parole tanto illuminati quanto recenti di Mac Barnett su questo argomento, capirete che si tratta di uno dei pilatri, non l'unico, ma di certo uno dei più solidi, che tengono su la miglior letteratura. Va da sé che il coniglio trova il sistema di aggirare il suo ostacolo di carote false, prendendo atto di appartenere a quella meravigliosa categoria delle cose inventate. 
E come accade spesso, credere alle storie ti può salvare la vita o, quanto meno, ti fa vivere meglio, a pancia piena! 
La quarta cosa importante di questo libro è che fa ridere. 

Carla

mercoledì 20 agosto 2025

FAMMI UNA DOMANDA!

LE PAROLE SONO IMPORTANTI 


C’è una caratteristica immediata, di pancia, nei libri di Taro Gomi: sono gioiosi. E voi direte ma sai quanti libri per bambini sono gioiosi! Sì ma quelli di Taro hanno qualcosa di più, che li rende unici, unici come lo è un ricordo d’infanzia quando emerge prepotente da un particolare insignificante: la saponetta sulla vasca a ricordare i bagni infiniti, un pezzetto di lego a ricordare i pomeriggi passati coi propri fratelli a giocare. 
Il libro è uscito nel 2013 e viene pubblicato per la prima volta in Italia da Kira Kira, un editore che si occupa principalmente di autori ed illustratori giapponesi.  
Come dice il titolo, il libro è una piccola enciclopedia alla Gomi, divisa in due parti: “Nomi” e “Parole della vita quotidiana”. Segue un ordine alfabetico? No! Stiamo parlando di Taro Gomi! Segue delle associazioni impreviste. 
Parte dalle cose ovvie e facili, ossia il VISO. 


 


Ma nella pagina successiva appare una MUCCA, animale che ama rappresentare.  
La prima doppia pagina apre con un Bambino-Taro: visetto tondo, carnagione scura, capelli neri, sereno e sorridente. 
La seconda invece rappresenta una mucca con lo sguardo da mucca e in attesa trepidante di finire di posare per scappare al pascolo. 
La prima caratteristica a saltare all’occhio è infatti questa mescolanza di persone, animali, cose e concetti. Cosa accomuna tutto questo mondo? Il fatto che siano cose nominabili, la parola è il fondamento. Le parole nominano non solo cose che si vedono, ma anche cose che non si vedono. 


Taro Gomi è uno degli illustratori/autori preferiti da Jon Klassen. Con lui ha in comune la semplicità del tratto e la miracolosa capacità di fare emergere tantissimi particolari con pochissimi dettagli, diciamo due autori minimalisti, dove la scarsità arriva dritta dritta all’essenza.  
Solo una mano esperta può descrivere aria-vento-gas con quella grazia, rappresentando semplicemente un primo piano di un signore con la cravatta, su sfondo bianco. E nella pagina successiva il bambino-Taro prende il suo posto, a rappresentare delle emozioni (tristezza, risentimento, etc..) o una postura (sogno, pensiero, etc…).  
Penso che su questa doppia pagina i bambini possano starci ore, e anche io ci sto, a dire la verità. Il capitolo termina con una carrellata di volti di bambini di ogni tipo e genere e, naturalmente, con i loro nomi. Che per un bambino il nome è quella cosa lì principalmente, il nome della mamma, del papà, dei fratelli, dei migliori amici. 


La seconda parte del libro dal titolo “Parole della vita quotidiana” scende a scandagliare le modalità con cui le parole fanno stare nel mondo le persone. Le parole aiutano a fare cose, le cose si possono fare in diversi modi e quindi si possono usare diverse parole per farle: alcune parole spiegano, altre lodano, altre ancora rifiutano, alcune addirittura consolano: 


Questa illustrazione che procede nella pagina successiva è emblematica del lavoro di Taro Gomi: tutti possono consolare, a modo loro e con parole proprie a loro, perfino un bebé consola, sovvertendo il paradigma per cui i piccoli vanno spesso consolati. 
Le espressioni dei sei personaggi rappresentati, così diverse l’una dall’altra, ci dicono che anche uno sguardo in apparenza duro (quello del medico? scienziato? professore?) in realtà è in funzione di un aiuto: vuole spronarci, vuole scrollarci per dirci: ehi, avanti così!  
Così come l’espressione del signore alto è così empatica che io mi immagino stia lì accanto a noi, con poche parole in mano, ma molta presenza. Gomi lavora così, attraverso i bianchi: lascia spazi, non copre il mondo di etichette, ma usa le etichette per scoprire altre cose. E mentre scorriamo incantati tra le immagini, ci viene voglia di sorridere, perché riconosciamo una gioia vivace che cresce in ogni pagina.
 
Valentina 

 “L’Enciclopedia di Taro Gomi - Nomi e parole della vita quotidiana” di Taro Gomi, trad. Roberta Tiberi, Kira Kira ed. 2025


mercoledì 6 agosto 2025

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

COPERTI DI FANGO 

Due albi per mostrare e rendere fruibile il sotterraneo dialogo che si compie tra il sopra e il sotto, tra l’oscurità e la luce, il male e il bene. Due albi per conferire narrazione e parole all’interdipendenza tra la felicità e la rabbia, lo scontento e l’eccitazione, poli energetici apparentemente in conflitto ma facenti parte, tutti, della multisfaccettata e organica capacità umana del sentire. 
Due albi necessari, per spodestare un poco il valore che viene dato in automatico alle emozioni positive e smascherare come sia invece l’alfabetizzazione sensibile dei vissuti negativi a potenziarle, perché esattamente come per la tridimensionalità delle immagini, al nostro cuore servono anche le ombre, per vedere. 


In Sua altezza Poltiglia Principessa di Fango la consapevolezza profonda che Beatrice Alemagna da sempre dimostra per la coesistenza nell’animo bambino tra male e bene, luce e ombra è rintracciabile fin dal titolo, dove la poltiglia e il fango, elementi materici che si trovano letteralmente sotto i nostri piedi vengono legati a doppia mandata a concetti astratti quali altezza e regalità. Un titolo che è quindi una dichiarazione di intenti per quello che verrà raccontato. 


Questa è la storia di Yuki, che sconfortata dall’ennesima incomprensione con Sen, silenziosissimo e imbronciato fratello maggiore, getta le chiavi in un tombino. 
Yuki è colei scende, compiendo il passo volontario di entrare nella propria riconosciuta negatività. Perché lo dice subito, lei, di essere cattiva e intrattabile, ammette di urlare e sbattere i pugni a terra, sa di ingarbugliarsi come fili elettrici con grande facilità. Yuki butta le chiavi nel tombino e poi decide di andarle a riprendere, ed è qui, sotto lo strato di asfalto e pietrisco che separa la città del quotidiano dai suoi malmostosi sotterranei, che la sua avventura apre davvero alla consapevolezza. 



Negli oscuri cunicoli a cui approda, Yuki fa la conoscenza di sua altezza Poltiglia, la Principessa di Fango: una massa informe e bonaria che la invita cortesemente a seguirla nei luoghi in cui viene accumulato, analizzato e gestito il fango dell’anima, questa rabbia che Yuki si ritrova appiccicata addosso ma che, a quanto pare, oltre che a sporcare ha anche altre caratteristiche. Passando per la Giungla Nera, dopo aver fatto conoscenza con Caccoli, (piccoli e buffi esserini deputati allo sviluppo del senso di Colpa) Yuki oltrepassa Lagondiglio, e arriva alla Rabbioteca, dove scopre che la rabbia può essere catalogata a seconda delle sue specifiche modalità di espressione, e addirittura assaggiata, passando da sentimento informe a travolgimento scomodo sì, ma anche ricco di informazioni da degustare. 


Non solo: a corollario di questa alfabetizzazione gourmet, nei sotterranei – sempre bellissimi grazie all’illustrazione caleidoscopica e sensibile di Alemagna – Yuki mette a fuoco due questioni nevralgiche. La prima è l’interdipendenza tra il proprio sentire e le dimensioni della Principessa di Fango; la seconda è conseguenza diretta della scoperta che anche suo fratello sia passato di lì. Il fatto che tutti abbiano accesso ai sotterranei, che addirittura Sen abbia conosciuto la Principessa, che la rabbia e il suo fango appiccicoso non siano un fatto personale e solitario, legato indissolubilmente alla propria identità ma al contrario uno stato quasi fisiologico di pertinenza comune, permette a Yuki di ribaltare la gerarchia che relega il suo sentimento ai margini, come una inadeguatezza da nascondere e ignorare. È dopo aver disinnescato questi due fattori che Yuki può concepire la risalita. Mano nella mano con il fratello, approda alla calma lineare delle strade consuete, dei marciapiedi e dei muri. È tra le pareti di casa, tutte dritte, che la Principessa mostra il suo dono. 


 
Accolta, nominata, conosciuta e condivisa, sua Altezza Poltiglia si mostra per quello che è, un accadimento naturale quanto la pioggia, da attraversare senza paura come si attraversa la gioia, passeggero come passeggero può essere lo sporco che imbratta i vestiti, scomoda, certo, ma non per questo priva di angoli di bellezza. 


Percorso inverso quello de Il sasso più bello, anche se sempre giocato sulla linea retta che divide il sopra e il sotto, il limaccioso e l’aereo, il ristagno della palude e il movimento della corrente. Fin dalle prime pagine siamo accolti da tavole scure e avvolgenti, che pur suggerendo staticità sono percorsi da fremiti e bagliori, un’inquietudine dorata che sembra cercare una strada per oltrepassare i tratteggi fittissimi. 


Di questo si tratta: di un luogo dove l’acqua ha smesso di scorrere, dove le cose sono quello che devono essere e nulla si muove. In questo albo non si scende: siamo già sotto. La melma ha invischiato ogni vitalità, riempie gli occhi del panettiere fin dal primo mattino, l’acqua trattenuta ristagna a bordo del tavolo della colazione e per raggiungere i banchi e insegnare qualcosa le maestre devono strappare giunchi e ninfee. Primi piani della vegetazione si alternano a visioni notturne di treni e stazioni, dove i ricordi dell’infanzia si susseguono rapidi, frammenti che pur luminosi non possono che essere fagocitati dal martellante ritmo delle giornate. A quanto pare, non esiste sasso che possa rimbalzare su acque di questo genere, perché a stare sott’acqua ci si fa l’abitudine. 


Eppure, anche in un luogo così immobile è possibile che qualcuno azzardi il cambiamento. Accade una notte che bagliori e macchie trovino una strada per arrivare al cielo: un signore fa rimbalzare dei sassi sulla superficie irreprensibile dell’acqua, e questa in risposta risponde schioccando, come fosse uno strumento musicale. Dalla riva, suo figlio batte le mani e ride. Risvegliati dalla misteriosa melodia che sembra una lingua sconosciuta, altri bambini risalgono dalle profondità limacciose e, liberi dalle costrizioni del fango, si raccolgono attorno all’uomo alla ricerca del sasso più bello, quello con cui eseguirà il lancio perfetto, che rimbalzerà fino all’orizzonte e poi oltre, all’infinito. 


Questo uomo, senza nome, con la barba incolta e i vestiti stazzonati, è colui che risale. Colui che per amore si ribella alla rassegnazione compiendo un gesto che ha l’audacia del gioco e le radici profonde della memoria. Con una tecnica impeccabile, questo uomo al pari di un mago ha il potere di far scoppiare fuochi d’artificio e di accendere nei cuori altrui la meraviglia a il desiderio di emulazione, moltiplicando l’energia originaria nei gesti e nella gioia di tutti. Tutti i colori che serpeggiavano furtivi nelle illustrazioni, quasi inquinando le massicce campate di nero, convogliano liberi nei ricchi fondali marmorizzati e dinamici per sostenere questo slancio: arrivato sull’altra sponda il sasso non si ferma, trascina con sé l’acqua della palude, lo stagno comincia a gonfiarsi trasformandosi velocemente in onda gigantesca, in torrente, in fiume. 


Eccoli: Sua altezza Poltiglia principessa di Fango e Il sasso più bello
Due albi in cui si parla di ciò che sta sotto, il luogo dove la materia tutta decade, si frammenta, si decompone e dopo aver preso una pausa, si riconfigura. Il luogo del fango, un elemento che sporca, macchia, spesso maleodora e trattiene, da cui si cerca di allontanarsi ma in cui maturano i presupposti della fertilità futura. Perché è sempre qui, a contatto con la frantumazione minima, che si sviluppa la capacità di posizionare la gioia. È attraverso l’esaurimento dell’esperienza che è possibile risalire alla trasformazione. Perché in ogni frammento è conservata una minima parte del tutto, forse una luce giallo acida che non va perduta mai, nemmeno quando in apparenza sembra di essere tutti coperti di fango. 


Giorgia

“Sua altezza Poltiglia principessa di fango” Beatrice Alemagna, Topipittori, 2025 
“Il sasso più bello” Gilles Baum, Joanna Concejo, (traduzione di Lisa Topi), Topipittori, 2025