mercoledì 20 novembre 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

COME SI CHIAMANO LE COSE 

Come si chiamano le cose è il primo gioco che i bambini fanno appena nasce in loro il linguaggio. 
“Questo cos’è?” 
“E questo?” 
“Tu sei la mamma” 
Definizione e apprendimento. 
I bambini piccoli spesso amano stilare delle liste di oggetti, alcuni bambini non dimenticano mai questo modo di codificare il mondo, tanto che anche da adulti, continuano ad amare le liste e i nomi: due di questi adulti sono Francesco Pittau e Bernadette Gervais. 
C’è anche da dire che nei paesi francofoni c’è una precisa tipologia di libri per bambini - gli imagier - che raccoglie albi che insegnano i nomi. 
Agli imagier appartiene il libro primavera estate autunno inverno di Pittau&Gervais. In realtà il titolo preciso sarebbe quello con le figure, ossia questo: 


Come un imagier da manuale esige, il libro è formato da un’immagine e dalla sua definizione. In realtà i due autori aggiungono un elemento - anche questo abbastanza comune - ossia quello temporale: parliamo delle stagioni. 
Non è facile per me affrontare questo libro che è uscito in Italia, sempre per Topipittori, la prima volta nel 2011, scomparso poi per anni e cercato invano in tutte le librerie dell’usato, riapparso per la felicità di molti nel 2024. Un libro fantastico. Ma perché? 
Butto giù le idee e mi accorgo che due sono i concetti cardine del libro sotto cui molti aspetti trovano casa. 
Il primo è il concetto di FORMA. 




Il libro nomina due fiori, nel caso del tulipano e del carciofo, che hanno una forma in comune, e un nome in comune, ma che hanno funzioni diverse (uno si mangia e l’altro no) e caratteristiche diverse (uno è liscio e delicato, l’altro è spinoso e carnoso). Una sola categoria, due opposti, si potrebbe dire. 



Questa complessità nell’apparente semplicità potrebbe già essere un motivo sufficiente per avere il libro. Ma qui siamo ancora solo in superficie. 
Quello che gli autori desiderano fare con i loro libri è la valorizzazione del mondo che circonda i bambini, in particolare Gervais si dice “ossessionata dalla natura”: per questo nel libro, tutto è un costante invito all’osservazione fine. 
E’ vero che dal bruco nasce una farfalla – la realtà – ma è anche vero che quella farfalla, così precisamente riprodotta da percepire la polverina che ricopre le delicate ali, diventa l’idea poetica di una farfalla. 



Gervais in un’intervista di qualche tempo fa dice: “(…) quello che mi piace non è disegnare, ma fare i libri”. L’artista belga disegna degli stencil che poi applica al foglio bianco, in più inserisce delle alette che girandosi donano nuovo sguardo agli oggetti rappresentati. 
Lei non ragiona mai per tavole, ma per lei la tavola è solo una delle parti di cui si compone il libro, per questo è l’intero libro a raggiunge una sorta di perfezione e tutti gli elementi concorrono allo stesso modo. 
Quindi anche il corsivo non è un caso: perché usare il corsivo? 
E’ un libro per bambini piccoli che cominciano a dare i nomi alle cose o è un libro per bambini che iniziano a scrivere i nomi delle cose? 
Entrambi. 
Il corsivo mi permette di introdurre il secondo concetto chiave del libro ossia il TEMPO. 
Questo libro è un libro che il bambino consulta per diversi anni. Le relazioni complesse che apre a nomi e figure lo proiettano oltre l’utilizzo dell’apprendimento delle parole. Un bambino imparerà dapprima che esiste un fiore che si chiama ‘tulipano’, poi apprenderà che l’ape non è una ma esistono l’ape operaia, il fuco e l’ape regina, infine che quell’uccello lì si chiama ‘pernice’ mentre quell’altro ‘fagiano’, infine, ormai grande imparerà a leggerlo da solo il libro, quando saprà leggere il corsivo. 
Il tempo è anche rappresentano, in alcune tavole, attraverso l’uso della doppia apertura, come nel caso del papavero. 




Qui a un iniziale accostamento formale tra il bocciolo del papavero, che ricorda un cigno, e la tortora, si prosegue con il trascorrere del tempo che passa attraverso l’apertura della pagina interna e che porta alla piena fioritura del papavero.
 

Di queste accelerazioni temporali il libro è pieno: dagli animali alle foglie, tutto si trasforma: una stagione contiene già in sé la stagione successiva? Per questo – e torniamo al libro come opera completa – l’uso della spirale? C’è un inizio? C’è una fine? 
Da quando il piccolo lettore ha aperto questo libro per la prima volta in cerca di parole nuove che definiscano il mondo a quando è riuscito a leggere le parole in corsivo, sono passati almeno sette anni e lui, o lei, ancora sfoglia questo capolavoro, ne siamo certi. 

Valentina 

"primavera estate autunno inverno", Francesco Pittau, Bernadette Gervais, Topipittori 2024 (2011) 

lunedì 18 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL TROPPO PIENO 

La visita, Núria Figueras, Anna Font (trad. Francesco Ferrucci)
Kalandraka 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"La piccola volpe rimase sola nella tana. Fuori stava calando il buio, ma si sentivano ancora il baccano delle taccole e gli schiamazzi dei passeri. 
All'improvviso bussarono alla porta. Toc, toc, toc. 
- Chi è? - chiese la volpe. 
- Sono il Silenzio. -rispose una voce. 
- Vattene! la mamma mi ha detto di non aprire a nessuno. 
- Mi io non sono nessuno. Sono semplicemente il Silenzio. 
La volpe ci pensò per un po'." 

E poi ha aperto. Quello che si trova davanti e alto e grosso e la guarda dritta negli occhi. 
Entra nella tana e fa la cosa che fa il silenzio: si espande. La piccola volpe si è naturalmente pentita, ma ormai il Silenzio è dentro e la tana e quindi bisogna farci i conti. "Merenda?" propone, pensando che se il Silenzio ha la pancia piena, non avrà voglia di mangiare lei... 
Non sembra pericoloso. "Balliamo?" è la seconda proposta della piccola volpe.
Ma - è ovvio - che se mette la musica lui sparirà. Ma come si balla senza musica? Si può fare, si può fare... Da quando lui è nella tana, tutti i rumori consueti sono spariti dalle orecchie della volpe, uno solo è rimasto: la voce dei suoi pensieri. 
Dai, non è poi così male... anzi è addirittura bello acciambellarsi nel Silenzio e addormentarsi... 

Illustrare una cosa che non è visibile, come lo è il Silenzio, non è una sfida da poco. 
Piuttosto rara è la situazione: pensiamo al vento che è stato la sfida di Fabian Negrin, o il vuoto che è stata quella di Catarina Sobral. 
E di questo libro, sono proprio le due sfide che contiene che mi hanno colpito: provare a parlare del silenzio e provare a disegnarlo. 
Anche la Giuria del premio di Compostela deve averlo notato e lo ha premiato nel 2023. 


Anna Font si è inventata una figurona - il testo lo dice chiaro: il silenzio era alto e grosso. Ma è riuscita a renderla contemporaneamente enorme ed evanescente. Un profilo di matita bianca, tondo, e grande quanto la pagina intera capace di espandersi anche in quelle doppie, occupandole quasi per intero. Proprio come uno potrebbe figurarsi il silenzio. Un 'qualcosa' o un 'qualcuno' che entra in un luogo e lo riempie, ma non si mostra. 
La trasparenza riguardo allo spazio che occupa è lì sotto lo sguardo della volpacchiotta e di noi lettori. 
Se da un lato il testo in sé non mi è parso particolarmente brillante, dall'altro l'idea di parlare ai più piccoli di una cosa che con la pervicacia tipica del mondo adulto viene tenuta a distanza, come se fosse il demonio, mi è sembrata una bella sfida. 


E a questo 'demonio' mi ha fatto pensare sabato mattina Chandra Candiani. 
Parlando dei messaggeri celesti - la vecchiaia, la malattia, la morte e la via che i primi tre fanno per arrivare a noi - argomento del suo ultimo libro - alla domanda di Cimatti su cosa ci tenga istintivamente lontani da loro, Candiani ha risposto con la sua adamantina chiarezza: il troppo pieno. Che porta come conseguenza a uno degli spauracchi più spaventosi del nostro mondo: il vuoto e il silenzio. 
Ed ecco che il cerchio si chiude. 
Percepire e accettare tanto il vuoto, potremmo anche aggiungere la noia, quanto il silenzio non è affatto una condizione scomoda, o peggio deprecabile. Al contrario dovrebbe essere considerata in qualche modo necessaria per poter permettere ai nostri pensieri di essere accoglienti nei confronti di quello che arriva. 


E invece no. Riempiamo di suoni, più o meno gradevoli, più o meno ascoltati, di sicuro distraenti, riempiamo di immagini, più o meno gradevoli, più o meno guardate, di sicuro distraenti, riempiamo di cose da fare, di azioni e attività, dal nuoto alla ceramica a quattro mani, la vita dei più piccoli, ma anche la nostra ben inteso, e non gli/ci permettiamo di potersi/ci annoiare o peggio ancora non gli/ci lasciamo nessuna possibilità di imparare a stare 'in pace' con un po' di silenzio intorno. 
Ragionare con loro, e anche con noi stessi, dello stare in silenzio a non fare, e magari addirittura istigarli a pretendere che questa anomalia nei confronti della consueta frenesia accada nelle loro giovani esistenze già 'troppo piene', potrebbe essere un atto rivoluzionario. 
Potrebbe. 

Carla

venerdì 15 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LE PERLE SUL FILO

Il coraggio è cosa buona
, Wolf Erlbruch, Arne Rautenberg (trad. Silvia Montis) 
E/O 2024 


POESIA ILLUSTRATA

piccolo canto di coraggio da intonare da soli 

su trampolini ho visto mucche volare a saltelli 
poi maialini esercitarsi scattanti agli anelli 
formiche in slitta su gelato al caffè 
 così ho pensato pian piano tra me 
se ci credi ce la fai pure te! 

Il coraggio è cosa buona, è il primo verso della prima poesia che apre questo libro piccolo piccolo. 
Cos'è il coraggio è la prima di diciotto poesie che sulla questione ruotano e che Arne Rautenberg ha scritto, ispirandosi ad altrettanti disegni di Wolf Erlbruch, pescandoli dal suo magnifico repertorio di animali a pastelli.


A partire dal maiale in copertina, in procinto di fare un tuffo a bomba per arrivare, appunto, a quello che si tiene in equilibrio fra i due anelli, passando per i suoi consueti leprotti dalle orecchie esageratamente lunghe e per i moltissimi gatti, dagli occhi sgranati pronti allo scatto, oppure molto pensierosi davanti a una minestra sgradita. Per non parlare delle oche dal collo allungatissimo o dei cani sempre un po' ispidi, qui titubanti davanti a una doccia da cui scroscia acqua. 
Insomma, la gioia sta proprio in questa minuscola galleria di ritratti che hanno due pregi innanzi tutto: da una parte sono una piacevole e inaspettata sorpresa, perché di nuovi libri di Erlbruch pensavamo di non vederne più, visto che lui ha smesso di disegnare quasi due anni fa, perché gli si è fermato il cuore. Dall'altra, sono la prova provata che i suoi disegni hanno una tale carica narrativa, che basta guardarli per leggerci un sacco di cose dentro. E su queste, scriverne. 
Tale è la prospettiva che ha scelto Arne Rautenberg, stimato poeta tedesco, che li ha selezionati e poi infilati come perle su un filo (del discorso) che è unico: il coraggio. 
E così la "cosa buona" che è successa è che ancora una volta diciotto disegni di Erlbruch sono lì che fanno bella mostra di sé in un nuovo libro, dialogando felicemente con le poesie che Rautenberg ha deciso di scriverci attorno. 
Ogni immagine è per lui (ma anche per noi) trampolino di lancio, spunto per vedere oltre e dire anche altro.


Dall'assoluta mancanza di coraggio, quella che dimostra il piccolo coniglio sul bordo del trampolino, prima di un tuffo che forse mai farà nell'acqua sottostante che forse potrebbe essere piena di girini, al gran fegato che dimostra l'oca (!) che fa equilibrismi sopra i tetti dei palazzoni. Lei poco sforzo fa, perché anche se perde l'equilibrio le ali la salvano. Al contrario, quel pavido coniglietto a cosa potrebbe aggrapparsi? E come se non bastasse, alle sue spalle tremebonde si accalcano gli altri tuffatori. E così ci godiamo un altro po' di Erlbruch con la sua esilarante carrellata di espressioni su facce di animali: da quella evidentemente scocciata della porcella con la cuffia a quelle perplesse e spazientite di cani e gatti, fino a quella speranzosa dell'alce, l'unica a dare un po' di fiducia al povero coniglio. Lui, lì impalato, a macerarsi nella fifa. E, nel frattempo che lui si macera e cerca il coraggio per saltare - forse - tra i girini, la poesia di Rautenberg va avanti in un divertente elenco di casi in cui ci si trova di fronte al bivio tra paura e coraggio estremo: per esempio bere l'acqua dal vaso dei fiori o un buon frappè? o ancora scrivere una lettera d'amore o accontentarsi del premio di consolazione?


Questo libro è nato "podalico", al rovescio, almeno rispetto alla consuetudine: prima sono uscite le immagini e poi le parole che da queste si sono fatte felicemente guidare. 
Non tutte e diciotto le poesie hanno una loro perfetta rotondità, almeno in italiano: talvolta la necessità di una rima chiama dentro un diminutivo di troppo, talaltra il senso addirittura si annebbia un po', ma a parte qualche farraginosità, il guizzo interpretativo di Rautenberg sui disegni di Erlbruch riesce a coglierne e a valorizzarne l'ironia di partenza. E non solo. 
Penso al gattino sull'armadio, testimone di un bacio furtivo oppure ai due genitori davanti a un figlio inappetente, o ancora la rivendicazione forte del piccolo gufo di fronte a un'oca materna. 
Alcune poesie mi sono parse particolarmente riuscite e, guarda caso, sono quelle che al disegno si connettono senza troppa riverenza: alludo a cosa ti passa per la testa quando non riesci a dormire e a gocce di pioggia, che mi paiono entrambe autoportanti. 
Ma, in assoluto, il piccolo capolavoro di Rautenberg sta nell'essere riuscito a dare un senso, e che senso, a un'immagine di per sé meravigliosamente equivoca, che diventa per incanto simbolo di desiderio e nostalgia. 


Insomma, il raffinato gioco di sguardi al quale Elrbruch ci ha educato, quel suo puntuale e attento modo di raccontare l'umanità sotto mentite spoglie - un po' come ha fatto Toon Tellegen con i suoi animali nel bosco - dimostra di essere ancora e ancora pieno di linfa vitale. 

Evviva! 

Carla

mercoledì 13 novembre 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

PIED-DE-COQ: IL CADAVERE 


Sarà qui necessario sorvolare sulla descrizione dettagliata delle relazioni famigliari che legano tutti (o quasi) i personaggi che popolano questa storia. Sarà sufficiente dire che tutto accade in famiglia. 
Una famiglia e una casa, la Collinière, dimora dei Nonni Madame e Monsieur Coudrier. Una magione posizionata in cima alla collina più alta da cui si domina l’intero borgo e impregnata di del senso di superiorità di Madame Coudrier.  Ogni anno, il 31 di ottobre, la Nonna convoca tutta la famiglia per festeggiare il compleanno del Nonno. 
Quel 31 ottobre in casa (in scena) ci sono già i nipoti Hermès, le gemelle Annette e Violette e Colin-seianni. 
La storia comincia da un Prologo che ci mostra questa allegra comitiva di cugini di fronte al cadavere con la sua giacca pied-de-coq marrone scuro in cui si sono imbattuti all’improvviso, vicino al campo delle zucche, per poi fare un passo indietro e, con il capitolo successivo, ricominciare a raccontare dalle ore 6:00 di quel movimentato 31 ottobre. 
Dunque la casa piano piano si sveglia e nel trascorrere della giornata arriverà prima la giovanissima Madeleine e poi tutti gli altri, gli adulti, a completare e complicare la trama di questo giallo che come ogni giallo che si rispetti ci rivelerà un assassinio e un assassino davvero insoliti, con tanto di scena finale in cui tutti sono presenti al disvelamento della verità. Fin qui la trama. Di un giallo non si può dire di più. Però si può dire come viene raccontato, e allora proveremo a individuare alcuni elementi che risultano centrali nell’esperienza di chi legge. 
CINEMA. Bisogna innanzitutto dire che Malika Ferdjoukh scrive come se imbracciasse una telecamera. Le descrizioni dei luoghi e delle azioni sono capaci di prendere occhio e orecchio di chi legge per portarlo dentro la scena. Alcune pagine sembrano proprio delle sceneggiature. Molto coinvolgente. INFANZIA. La storia, nel suo complesso, disegna un contesto di fatti e personaggi compatto e a poco a poco sempre più coerente, ma si percepisce immediatamente l’esistenza di due mondi ben distinti, quello degli adulti e quello di chi adulto ancora non è: Hermès 13 anni e mezzo, le gemelle 9 anni, Colin-seianni (lo dice la parola stessa) e Madeleine 15 anni. Sono loro al centro della scena, i soli a sapere del cadavere e a condurre l’indagine alla scoperta dell’assassino. I soli a interrogarsi sulla morte e sul male. Gli adulti sono impegnati a celare segreti che loro stessi non sanno e non vogliono svelare. 
Un’infanzia destinata a sparire anno dopo anno. Hermès un tredicenne particolarmente maturo dirà: 
“Ho fatto più fatica dell’anno scorso ad arrampicarmici (sul sicomoro, ndr). E già l’anno scorso mi era sembrato più faticoso dell’anno precedente…I bambini piccoli sanno volare, è cosa risaputa da Peter Pan in poi. Dunque, a ogni anno che passa, ho meno infanzia a facilitarmi il compito. Ho tredici anni e mezzo, in fin dei conti”. 
Un’infanzia che vive una vita autonoma, ricca di esperienze, di immaginazione, di intraprendenza, capace di vivere e difendere un’istanza di verità. 
E Colin-seianni, che è il più piccolo di tutti, è il personaggio più splendido. Sulla scena si illumina di luce propria, una luce che lo colloca su un piano diverso, dove si è molto più vicini alla natura e si può stringere amicizia sincera con una volpe ferita e si può vedere nettamente lo spaventapasseri che indica la strada giusta per incontrarla; dove si può fronteggiare il dolore di vivere lontano da una madre inaccessibile e sofferente e ogni impresa è accompagnata da esserini pressoché invisibili che possono essere quelli buoni, i Ghwilltt , o quelli cattivi cattivissimi, i Kyytwwug che bisogna in ogni modo scansare. 
Un piano dell’infanzia al quale nessuno degli adulti può accedere e che anzi dagli adulti è braccata. Così che il pur evidente richiamo al Piccolo Principe e alla Volpe che chiede di essere addomesticata qui devia verso un esito ben diverso. 
VOCE. Tante voci si alternano e si intrecciano: chi legge ascolta alcuni personaggi raccontare in prima persona ma anche una voce fuori campo che riferisce tutto il resto, con l’effetto di una polifonia che ci chiama (anche esplicitamente) nella storia. E chi legge se pur disorientata/o nell’andare da uno all’altro dei personaggi e degli accadimenti, rimane coinvolta/o da un racconto complesso e intrigante. 
Un giallo che si infittisce di personaggi, fatti, sospetti e indizi che noi lettori cerchiamo di mettere insieme. 
A chi vorrà sempre avere chiaro il filo dei fatti così come si dipanano in questo 31 ottobre toccherà a volte tornare indietro nelle pagine tanti sono gli elementi che l’autrice ha voluto inserire in questa storia (qualcuno anche episodico e non molto utile al racconto). 
Una storia che ti cattura fino alla fine ma che forse proprio alla fine perde quella forza autentica che l’aveva sorretta fin lì. Ma qui ogni lettore e ogni lettrice potrà dire la sua. Bellissima anche la copertina di Luca Tagliafico (già autore delle altrettanto belle copertine della quadrilogia “Quattro sorelle”) che ci trasporta immediatamente ai piedi di un cadavere in pied-de-coq nel mezzo di un insolito autunno da ragazzi. Famiglia, casa, infanzia, morte, male, cinema e polifonia si ritrovano spesso nelle storie di questa brava autrice che in Francia ha già pubblicato una quarantina di romanzi. In Italia Malika Ferdjoukh è arrivata proprio con “Livide zucche” pubblicato da Salani nel 2004. Pension Lepic la richiamerà al pubblico italiano pubblicando i quatto volumi delle “Quattro sorelle”, poi “Una notte un assassino” e ora riedita “Livide zucche”. 
Camelozampa ha scelto di pubblicare “Mezzanotte e cinque” e Babalibri, per la collana Prime Letture, “La fidanzata del fantasma”
Tutte storie da leggere. Questa, in particolare, dai 12 ai 112 anni.

Patrizia 

“Livide zucche”, Malika Ferdjoukh, (trad. Orietta Mori), Pension Lepic 2024

lunedì 11 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

QUEL CHE SI VEDE, È?

Conigli micro spaziali, Alessio Alcini 
Camelozampa 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Era una noiosa domenica mattina quando vidi tre piccole astronavi entrare nella porta finestra della cucina e atterrare in soggiorno. 
I mini sportelli delle astronavi si aprirono con piccoli schiocchi metallici. Ne uscirono delle creature molto simili a conigli, ma piccole come topi.
'Chi siete? Cosa sta succedendo?'" 

La cosa che successe dopo fu un diffuso squittio che con la dovuta attenzione fu decodificato nella testa del giovane padrone di casa come un discorso articolato con il quale lo si informava su identità e avvenimenti. 
"Siamo quello che vedi, ossia dei conigli micro spaziali." 
La ragione della loro presenza lì era la necessità di trovare in fretta del succo d'arancia. Ragion per cui i conigli si dirigono con sicurezza verso il cestino della frutta e della verdura e ravanano cercando arance. Purtroppo, solo pere, limoni, pomodori, cipolle e zucche. 


L'unica soluzione è andare a fare la spesa. Ma come ingannare l'attesa fino al ritorno del papà con le tanto attese arance? Mangiare? Pregare? Leggere? Ballare? 

In questa micro storia, sono principalmente tre le cose che mi colpiscono favorevolmente. Due di valore oggettivo e una molto soggettiva.


Quella soggettiva è il largo uso del colore arancione. Visto il tema, ci sta tutto. E io me ne compiaccio, di riflesso. 
Le due oggettive sono da una parte il disegno, ovvero la sua qualità e dall'altra il racconto, ossia la sequenza dei fatti. Si potrebbe anche aggiungere un terzo ulteriore valore nel tono perentorio e assertivo che mi pare si possa cogliere nelle poche dichiarazioni da parte dei conigli e che fa scintille con il contesto. 
Ecco. Questa micro storia, davvero molto piccola e senza particolari significati reconditi da scoprire, è costruita sui contrasti tra cose. E sulle scintille essi che provocano. Il primo contrasto, forse il più evidente, è tra il tipo di disegno e il tipo di testo. Il primo è estremamente realistico (infatti il talento di Alcini era stato messo al servizio del catalogo di animali in pericolo, stilato con la grazia piena di sapienza di Serenella Quarello: Estintopedia). 
Il secondo, al contrario, è estremamente irrealistico. Visionario. 
Ci torniamo. 
Altro contrasto patente sta nel tipo di ambientazione: da un lato un appartamento, il più normale possibile, così tipico da diventare ordinario, e dall'altro una flottiglia di astronavi e astronauti estremamente originali, diremmo senza tema, unici. 


Spieghiamo: nella prima tavola si notano tutta una serie di dettagli, assolutamente non casuali: le tapparelle - a me ricordano quelle di plastica leggere (che con la prima grandinata sono crivellate di buchi), il carrellino a ripiani con verdure e frutta più o meno lasciate lì ad invecchiare sotto il tavolo della cucina con le sue zampone cilindriche (sono certa che sotto la tovaglia, 90% di plastica perché si pulisce meglio, c'è un piano di formica). Accanto al lavello, appeso a uno di quei gancetti autoincollanti, uno strofinaccio a quadretti con la sua etichetta, un ramaiolo che sicuramente è appeso per il suo manico che termina a gancio, un portaposate, che - sono certa - ha un po' di acquetta accumulata sul fondo... 
Non credo di dover continuare. Ecco in questa cucina, che potrebbe essere la cucina di milioni di persone, smaccatamente consueta, volano in planata, arrivati da chissà dove, tre diversi modelli di velivoli, molto originali per forma e contenuto. Sebbene gli abitanti della casa non si mostrino, li possiamo immaginare in pantofole muoversi tra cucina e soggiorno, è domenica, con vestiti comodi, forse addirittura ancora in pigiama. E in contrasto con loro c'è un equipaggio di sette conigli con caschi e tutte aerospaziali. Non esattamente la cosa più usuale. 
Bel contrasto, con scintille. 


Passiamo al secondo contrasto, che è più sottile, ossia tra un disegno che fa del credibile la sua forza e un testo che fa dell'incredibile la sua forza. I conigli e tutto quello che li circonda sono raffigurati con una buona percentuale di realismo, sono conigli molto credibili come conigli, peccato che raccontino un fatto del tutto irreale, un atterraggio di fortuna in una cucina qualsiasi. 
Bel contrasto, di nuovo. 
A questo proposito si potrebbe ricordare quanto racconta David Wiesner che, su questo contrasto magnifico, ha concepito quasi tutti i suoi libri. Da Martedì in poi. La costante che li attraversa tutti è proprio quella a cui sembra ispirarsi Alcini. Fermo restando che Wiesner è Wiesner e le sue storie non sono micro storie, ma veri capolavori. 
Wiesner parte sempre da un dato di realtà, un realismo esasperato e studiato in ogni minimo dettaglio. Con una logica ferrea porta piano piano i suoi lettori a credergli a tal punto che poi può permettersi di far loro vedere l'impossibile, come se fosse vero. 
Io credo che Alcini abbia 'studiato' Wiesner. Presumo lo abbia fatto, visto che concepisce una storia che un po' ricalca quella di Mr. Wuffles (in Italia come Mr. Ubik!). 
Anche lì c'è un atterraggio di fortuna di un'astronave in avaria, guidata da piccoli alieni che entrano in contatto con formiche evolute e con un gatto che ricalca alla perfezione l'originale felino di casa Wiesner. 
Il vero Wuffles, per il maniacale gusto per l'esattezza del suo proprietario, si è portato attaccata al collo una telecamerina per giorni per permettere a Wiesner di vedere come vede un vero gatto... 
Ma questa è un'altra storia...

Carla

venerdì 8 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

NON PRECETTI, MA STORIE 

La vera storia della banda Hood, Wu Ming 4 
Bompiani 2024 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni) 

"'Se siete qui è perché non siete niente e non vi spetta niente. Eppure i cantastorie al villaggio cantano di voi. Dei re...dei cavalieri... dei santi e di Robin Hood che a Sherwood ha il suo regno senza corona e fa pagare il pedaggio a tutti quelli che passano. Una canzone mai sentita prima. Potete decidere di rimanere quello che siete, cioè niente. Oppure potete essere all'altezza delle canzoni e fare quello che nessuno ha mai osato fare.' 
Will scattò in piedi. 
'Queste sono le parole che mi piacciono. Abbiamo le frecce. Tante da sterminare un esercito.' Indicò Gisborne. 
'E lui ha un piano.'
'Come facciamo a fidarci?' domandò Much.
Will stava per ribattere. Poi guardò ancora Maud, la cui espressione valeva più delle parole: non precetti, ma storie." 

Un uomo che è stato crociato accanto a re Richard in Terra Santa, un crocesegnato,  sta dialogando con un pugno di ragazzini, la banda Hood, i nullaventi. Ognuno di loro, per ragioni diverse, ha scelto la macchia, la foresta, la latitanza. La loro casa adesso è la foresta, nell'ombra. Sono parecchi, e Robin è solo uno tra loro. Insieme sono la forza delle storie che su di loro si raccontano entro le mura delle città. I loro nemici giurati sono i signori, i nobili, più o meno corrotti, sono gli abitanti dei castelli e delle città, la legge, quella dei più potenti. Intorno al fitto quasi inespugnabile della grande foresta c'è una piccola rete di villaggi e un tessuto di abitanti, ma su tutto questo c'è la grande Storia che va avanti. 
Ecco: la Storia. Quella che tutti conoscono. Re Richard, Riccardo Cuodileone, è in Terra Santa per riconquistare Gerusalemme - ma sarà ancora vivo? o sarà tenuto prigioniero? Un fatto è certo: il trono d'Inghilterra è vacante e insidiato dal fratello John, Giovanni Senzaterra. Il popolo d'Inghilterra è allo stremo e ridotto in povertà, per le tasse che sono servite per pagare la III crociata prima e poi il riscatto per la liberazione di Richard. Intrighi di palazzo, schieramenti, tradimenti, su tutti la regia della Regina Eleonora d'Aquitania che aspetta che il suo figlio prediletto, Richard, torni a regnare e cancelli ogni velleità di governo al fratello John che trama con il re di Francia... 
Intrecciate alla grande Storia ci sono le piccole storie e una leggenda: quella di questa banda di ragazzi, autentici sopravvissuti, che hanno scelto di essere fuorilegge, perché braccati da chi ha più di loro. La piccola storia di un cavaliere solitario, che è fedele solo a se stesso; la piccola storia di un cieco, che "osserva" e riferisce. Le piccole storie di un buon numero di donne, da Lady Marian in giù: tutte, inevitabilmente, soggiogate. La piccola storia di un cantastorie, sorta di innesco di quella che sarà la leggenda di Robin Hood.... 

Ecco. Dalla leggenda di Robin Hood parte Wu Ming 4 per fare due cose che gli riescono assai bene: scrivere un gran romanzo e riscrivere, appoggiato su fonti storiche, quello che è stato il mito di Robin Hood. 
Partiamo dal fondo: Robin Hood, così come ci è stato raccontato da certa letteratura e sopratutto da certo cinema, non è mai esistito: nessun superuomo, aitante, scattante, invincibile (talvolta in calzamaglia). Secondo le fonti, nelle ballate dell'epoca, e in molta buona letteratura e saggistica sul tema, non c'è traccia di questo supereroe invincibile e filantropo. Non c'è traccia della sua storia con Lady Marian, liberazione compresa. 
Questa, la molla che ha spinto Wu Ming 4 a studiare per bene la questione, a fissare una serie di punti storici e a restituire la sequenza dei fatti come presumibilmente devono essere accaduti. 
Ma Wu Ming 4 non è uno storico in senso stretto, ma è piuttosto un eccellente scrittore e così il suo intento di fare luce e chiarezza diventa un romanzo pazzesco. 
Per amor di verità, quindi succede che nella storia che racconta Wu Ming 4 Robin è un figurante, mentre protagonista assoluto è il gruppo, la banda Hood (dal titolo in poi). 
La sua leggenda nasce quindi da una voce che non è singola, ma corale. 
Per lo stesso amor di verità, Wu Ming 4 fa luce sulla condizione femminile alla fine del XII secolo in Inghilterra. E quindi conosciamo la ragazza vittima del birraio, il coraggio della serva di Lady Marian, Lady Marian stessa che nelle sue pagine diventa simbolo di intelligenza muliebre, da tenere segregata, appunto. La grande Eleonora che aleggia per tutto il romanzo, per poi comparire trionfalmente sulla scena, proprio sul finale. Conosciamo Maud, apparentemente l'unica femmina della banda che ha il ruolo di narratrice e custode di una fede incrollabile. Una mezzafata, piena di carisma, forza e mistero. Invincibile. Ma su di lei, ci torno. 
Per il medesimo amor di verità, racconta la Storia, quella con la esse maiuscola, per come è veramente andata: un caso su tutti il ruolo di grande regista che assegna alla regina Eleonora e il relativo piano della Corona di spremere un territorio, quella parte dell'Inghilterra (tra York e Nottingham) fino allo stremo per poter pagare la Crociata e il ritorno in patria del suo figlio sovrano. 
Ma La vera storia della banda Hood ha molto di più in sé. 
Innanzi tutto è una magnifica narrazione che spesso ha lo spessore di un racconto mitologico. Per questo, si serve di una serie di archetipi (nei ringraziamenti finali c'è un preciso omaggio): dal cervo che abita il bosco e che ogni tanto appare dal nulla, fino al cavaliere solitario Gisborne. 
E a proposito di mito e archetipi, non si può non notare che Wu Ming 4 lavori su un meraviglioso quanto efficace contrasto tra quello che è il mondo dei grandi, il mondo della civiltà, della ragione, della legge, della Storia cui contrappone quello della foresta, del mistero, dei bambini, della natura, del selvatico, delle storie. 
Solo a titolo di provocazione per continuare a ragionare sulla questione, che non è affatto marginale, rimanderei al saggio di Giorgia Grilli (Di cosa parlano i libri per bambini. La letteratura per l'infanzia come critica radicale, Donzelli 2021) o a quanto scrive Ursula K Le Guin a proposito della lingua padre e della lingua madre... (in I sogni si spiegano da soli, a cura di Veronica Raimo, Big Sur 2022).
Cosa condivide la visione di Wu Ming 4 con questi due saggi? L'ho appena detto: la contrapposizione fra infanzia e mondo adulto, tra natura e civiltà, tra selvatico e addomesticato, tra misterioso e razionale, tra storie e Storia, tra mito e realtà, tra ribellione e giogo, tra libertà e dominio.
Pieno di echi presi a prestito dalla grande letteratura, uno su tutti il Peter Pan di Barrie che su queste dicotomie si fonda (la giovane Maud è una Wendy perfetta e i ragazzi briganti, da Much al piccolo Ned, sono lo specchio dei Bimbi Sperduti), il romanzo va in molte direzioni diverse. 
A pagine di storia si alternano pagine d'amore (la più bella dichiarazione d'amore è a p. 166), pagine di intrighi e spionaggio, pagine di mitologia e superstizioni, pagine di puro racconto fantastico...
E per questa ragione va letto almeno cinque volte per apprezzarlo ben bene.

Carla
 
Noterella al margine. Che poi tanto margine non è: grandiose sono tre cose. La lingua, la capacità di costruire un plot complesso ma sempre esatto nei suoi incastri (secondo la famosa legge, per la quale se compare una pistola, quella pistola prima o poi sparerà...), la capacità di far precipitare le situazioni con la stessa fulminea velocità di un film d'azione molto ben fatto.

mercoledì 6 novembre 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

LA MORTE E' UNA DOMANDA? 

La questione morte manca di testimoni diretti. Quand’anche ve ne fossero, sull’ampio territorio culturale che a lei si riferisce gravano pesantissimi tabù e imbarazzi, credenze, superstizioni, al punto che non solo non è possibile sapere cos’è la morte indirettamente, ma spesso persino quello che vi gravita attorno rimane precluso, ammantato di silenzi e ritrosie. 
Del resto anche Scoiattolo e Formica si erano a lungo interrogati a proposito. Come possiamo conoscere quello che nessuno può o vuole raccontare? Come possiamo soddisfare quell’impulso vitale che è la naturale curiosità per qualcosa che nessuno ha visto? 
Perché se di fronte al mistero non esiste strumento più efficace e spontaneo che domandare, è altrettanto vero che questa è solo una metà della questione: in fondo a ogni domanda non vi è solo un vuoto che tanto somiglia alla morte, ma c'è anche uno spazio che attende di essere occupato da una possibile, inedita spiegazione. E per sentirla serve disponibilità: forse infatti la conversazione che abbiamo con la morte non si basa sulla certezza di risposte impossibili, quanto piuttosto sulla capacità di rimanere in bilico sul margine vibrante e tridimensionale che da lei ci separa. E se imparassimo ad ascoltare? 



© Ellen Duthie, Anna Juan Cantavella, Andrea Antinori
#Logosedizioni


È quello che succede in Così è la morte? Domande mortali di bambine e bambini
Il volume è l’ultimo della serie Wonder Ponder, progetto di filosofia illustrata per tutte l’età che si propone di agevolare l’accesso della curiosità bambina (ma anche no) ai grandi quesiti. In questo caso, le due autrici hanno incontrato bambine e bambini a frotte e si sono lasciate interrogare sull’argomento morte senza porre limite alla tipologia di domande. Non solo questioni morali o sentimentali, dunque, ma anche faccende pratiche - come la produzione di una lapide o le procedure di successione di una console - e fatti scientifici, come ad esempio la gradualità di decomposizione dei tessuti del cadavere. 
Le domande appaiono tutte insieme nelle sguardie del libro, brulicando, una accanto all’altra, fittissime, serie, inaspettate, a delimitare il territorio concesso per l’azione dell’albo e del ragionamento. Anche figurativamente, sono come le stelle della calotta celeste, che solo apparentemente segnano il confine del cielo: in realtà pulsano dalle distanze più diverse dell’universo e i loro raggi ci colpiscono incessantemente, anche quando siamo in piena luce.


© Ellen Duthie, Anna Juan Cantavella, Andrea Antinori
#Logosedizioni

All’interno del volume, non si punta all’utilizzo delle risposte per esaurire l’indagine; al contrario, in ognuna di esse viene fatta riverberare un nuova domanda, a cui è possibile legarne un’altra e un’altra ancora, senza inibizioni, quasi a voler proporre un metodo di pensiero, uno strumento di visione per una disamina ulteriore della questione, dinamica, attiva, che frammenta, scompone l’oggetto di cotanta insaziabile curiosità, senza giudicarla mai. 
Come ben si conviene al procedere filosofico, la ricerca lievita pagina dopo pagina, alimentata con richieste di opinioni e pareri, stimolata con altre domande che coinvolgono il senso morale, etico ben presente negli interlocutori di ogni età. Non solo: essa viene demandata ad altri tempi e luoghi, trascendendo la pagina presente e la struttura sequenziale con soluzioni formali che tendono a far uscire il lettore dal libro. E’ possibile imbattersi in piccoli rimandi ad altre pagine e ad altri quesiti analoghi, in QR-code che dirottano a luoghi esperienziali diversi, in esperimenti immaginativi da condurre in autonomia. Quasi pare di sentirla, la mano che sfiora la spalla e una voce che dice “Vai…” , incoraggiandoci a sperimentare dopo averci rassicurato sulla legittimità di ogni strada che può prendere il pensiero. 
Così è la morte? si trasforma letteralmente in una soglia da attraversare per raggiungere, immaginando e ragionando, un luogo che è e non è, presente in nuce e tuttavia invisibile, accanto a noi, dentro di noi ma anche altrove e oltre, ancora sconosciuto o, forse, semplicemente, non ancora nominato. Si viene ricondotti alla propria esperienza e lì stimolati a esperire, ben lontano delle pagine, un altrove significativo soprattutto per noi. A partire dalle istruzioni per l’utilizzo del libro, che sono un modo per sgomberare il campo da quegli imbarazzi che talvolta scoraggiano la voglia di esplorare, passando per il registro intimo e personale delle risposte, per arrivare all’estrema e sensibile serie di informazioni con cui le due autrici cercano di appagare l’interrogativo, il lettore capisce di essere in un territorio sicuro, e questo è fondamentale per permettere la grande magia. 
 
© Ellen Duthie, Anna Juan Cantavella, Andrea Antinori
#Logosedizioni


Se risposte saranno quindi, saranno (anche) quelle che ciascun lettore saprà darsi da sé attraverso le proprie risorse, attraverso le proprie disponibilità culturali, la propria sensibilità e la propria immaginazione, messa in riverbero da sapienti sollecitazioni. Perché è poi sinceramente così vero che non conosciamo l’esperienza di scomparire? Non sarebbe possibile che la morte assomigli alla perdita di confini che si prova prima di dormire, e che tutte le risposte che occorrono si fondano sull’affaccio concreto da cui, sporgendoci, riusciamo a vedere?


Parafrasando una celebre conversazione accaduta a un’anatra, non è forse possibile in fondo che a dirci cos’è la morte sia proprio la nostra stessa vita? 

Giorgia 

"Così è la morte? Domande mortali di bambine e bambini" Ellen Duthie, Anna Juan Cantavella, Andrea Antinori, (trad. Chiara Ronchi) #Logosedizioni 2024 
"L'anatra, la morte e il tulipano", Wolf Erlbruch (trad. Viola Starnone), E/O 2007

 

lunedì 4 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL DEBUTTO IN SOCIETÀ 

Vietati i tuffi a bomba, Hulrich Hub, Jörg Mühle (trad. Bérénice Capatti) 
Rizzoli 2024 



NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni) 

"In fondo alla fila si trova una gallina cieca con un paio di occhiali da sole accanto a un'anatra zoppa, che è costretta a reggersi su una stampella. 
'Perché facciamo la fila?' chiede la gallina cieca con voce sorprendentemente profonda. 'Magari qui vendono salsicce, e lo sai che io non le digerisco, anche se per il resto io mangio tutto..' 
'Non parlare così forte' sibila l'anatra zoppa. 'Gli altri ci guardano in maniera strana...' 
Al che un'anatra più avanti si volta. 'Di qui si va in piscina' dice con voce annoiata. Ma perché non avete gli asciugamani?'.
'In piscina?' All'anatra zoppa brillano gli occhi." 

Lei non è mai stata in acqua e muore dalla voglia di provare. Naturalmente la gallina è di parere contrario: lei non sa neppure nuotare. Tra le due, diligentemente in fila, nasce una discussione. 
Diamo solo un'occhiata veloce è l'argomento dell'anatra, che da sola non se la sente proprio di andare... In fondo, e questo è un colpo diretto ai sentimenti della gallina, loro due sono amiche... 
E così la gallina, pensando che nella vita tocca fare anche qualche sacrificio per amicizia, acconsente. Però si fa a modo suo: si supera l'intera coda in nome della zoppia e della vita grama dell'anatra, che l'unica cosa che riesce a fare è arrossire piena di vergogna.... 
Superata la fila, già si profila il prossimo intoppo: nelle piscine le galline non hanno accesso, in quanto galline. A meno che non sia quella gallina lì dalla faccia di tolla che supera comunque il tornello con la sua amica zoppa, proprio in nome del suo ruolo di accompagnatrice. Il fatto che lei sia cieca, è solo un dettaglio trascurabile... 

Comincia così questa "giornata particolare", anche dal punto di vista emotivo, di gallina e anatra. 
Come succede sempre quando si leggono i libri di Hub, da collezionare, si ride parecchio e altrettanto si pensa. 
Mai i suoi libri rischiano di cadere nell'indifferenza. 
La prima sensazione che trasmettono, leggendoli, è quella di essere copioni di un film, o meglio di uno spettacolo teatrale (l'unità di luogo, tempo e di azione sembra per Hub un canone). 
Nessuno stupore per questo, perché è proprio il modo più consueto che ha Hub per raccontare le sue storie. Non a caso, è anche un bravo drammaturgo e spesso i suoi libri diventano spettacoli, messi in scena.
Questo suo modo di raccontare il mondo gli è particolarmente congeniale ed è molto efficace. 
L'impegnativo compito di Jörg Mühle, nel quale peraltro si dimostra assolutamente a suo agio, è proprio quello di creare un repertorio espressivo di quanto viene messo in scena. 


La piccola pièce che mettono in atto ruota, come sempre nei libri di Hub e Mühle, sulle fragilità umane che, di volta in volta, pinguini, anatre, pecore e altri animaletti, hanno il compito di incarnare. Secondo la regola aurea dei favolisti classici. L'unica cosa che distingue la scrittura di Hub - fortunatamente - dai grandi classici è l'assoluta e programmatica assenza di giudizio e quindi di morale. 
Quando abbiamo conosciuto queste due buffe creature, tutto ruotava intorno alla grande diversità che le distingueva: una codarda, l'altra intraprendente fino alla sfacciataggine. 
E come se questo non fosse stato sufficiente, Hub esplorava il limite, la paura e la menzogna. 
L'idea che ci siamo portati dentro per tutto questo tempo era quella che l'anatra fosse una dolcissima creatura, un po' fifona e lievemente bugiarda, ma alla fine dei conti molto leale nei confronti della sua amica gallina. 
La ritroviamo ancora una volta impacciata e goffa nel suo modo di affrontare la vita. Qui, pur di accattivarsi le simpatie delle altre anatre, non si fa scrupolo di prendere le distanze dalla gallina: la rinnega per ben tre volte (dove l'abbiamo già sentita una storia così?) senza neanche un po' di esitazione. E mentre lei è lì a cucire errore dopo errore, umanamente parlando, goffata dopo goffata - senza peraltro raggiungere nessun risultato a lei propizio - la gallina, come l'abbiamo conosciuta, conferma il suo savoir faire naturale: la vediamo su una sdraio (lei che non avrebbe dovuto avere accesso nella piscina per sole anatre), che chiacchiera amabilmente con altre anatre che la trovano maledettamente interessante, nel suo essere così 'esotica'. 


Tanto è il suo successo, che diventa addirittura bagnina della piscina e vera guida carismatica di tutte le anatre presenti, grazie a un frigorifero pieno di bibite fresche... Costruito con millimetrica precisione su quelle che sono le nostre debolezze, le nostre aspirazioni, i nostri vizi, le nostre storture, le nostre ingenuità nei confronti del prossimo, nel nostro desiderio di volersi sentire rassicurati dal gruppo e parte 'integrata' di una comunità, abbiamo uno spaccato esilarante quanto drammaticamente autentico, di quello che siamo capaci di fare dire ed essere quando siamo in mezzo agli altri. 


Questo divertente alternarsi di fortune e sfortune in quello che è, di fatto, il loro doppio debutto in società si riverbera nei loro battibecchi (!!): vediamo accadere piccole cattiverie, rivalse, gelosie, sconsideratezze e atti di coraggio che fanno sì che chi non voleva andare in piscina adesso non se ne voglia più andare e chi non vedeva l'ora di entrare adesso non aspetti altro che di prendere la via di casa... 
Noi che siamo lì e le vediamo e le ascoltiamo in questo loro serrato dialogo, in questo articolato gioco di incontri e scontri, ridiamo e riflettiamo un bel po' su due tra le più difficili e complesse arti umane: saper stare in mezzo agli altri e saper coltivare un'amicizia... 


 Carla

venerdì 1 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LE MILLE E UNA STORIA

Vorrei un'altra storia, Rascal, Michel Van Zeveren (trad. Tanguy Babled)
Babalibri 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"'E se ti raccontassi una bella storia, Carola? Una storia dolcissima per dormire tranquilla.' 
'D’accordo, papà, ti ascolto...' 
'C’era una volta un grazioso unicorno di nome Rosamundo. Era delicato come una carezza. 
Questo bell’unicorno viveva su un magnifico arcobaleno e...' 
'Ti fermo subito, papà! È un NO, NO, NO categorico! 
Ormai sono grande per le storie sdolcinate!'" 

Ed è vero. 
Sdraiata sul letto, nella sua salopette di jeans, altro che pigiama, Carola ha un tablet in mano. 


Biondina, dal piglio volitivo, apostrofa suo padre avvisandolo di non essere più disposta a sentire storie con bacini e cuoricini. Con grande sicurezza lo mette di fronte a un incontrovertibile fatto: se lei fosse stata maschio, lui mai e poi mai avrebbe esordito con una storia dolcissima e piena di unicorni e arcobaleni.
O no? 
Così l'unicorno esce di scena. 
La seconda proposta, quella storia del lupo famelico che non mangia da tre giorni e ronza intorno a un gregge di pecore, ha un altro difetto: turba la sua sensibilità. La notte potrebbe ricomparirle davanti la scena di una strage... 
Via, dunque, lupo e (quasi) tutte le pecore escono dalla ribalta. 
La terza storia, con la solita principessa strabella, strabionda, strastanga non va per altrettanti ovvi motivi... 
La storia dell'orco confligge con il suo recente vegetarianesimo... 
Insomma si prospetta una serata tutta in salita per quel giovane padre, volenteroso ma decisamente démodé nella scelta delle storie da raccontare alla figlia. 
A meno che... 

Ribelle, fin nella scelta del suo nom de plume, Rascal, nasconde - neanche troppo - tutto il suo modo di leggere il mondo nel suo personaggio Carola. 


Controcorrente, annoiata dalla solita tiritera, è in cerca di esperienze significative. Un po' come lo stesso Rascal racconta della sua infanzia scolastica: nulla dei programmi ministeriali lo interessava davvero, lui avrebbe voluto saper costruire una sedia, suonare uno strumento o usare correttamente un trapano, preparare il pane, fare un erbario, non far impazzire la maionese...e poi conoscere bene la poesia e la pittura a olio.... 
Amante di Prevert - il suo anarchismo dolce - e grato al suo professore in accademia che fu per lui quanto di meno pedagogico ci si potesse aspettare, Rascal comincia come disegnatore di manifesti per il teatro e di copertine poi approda al libro illustrato per i più piccoli. 
Fondamentale e illuminante il suo incontro con l'opera di Tomi Ungerer. 
E a ben vedere questa ragazzina potrebbe essere la stessa rapita dai Tre briganti... Stesso stile, e stessa grinta. Stesso rispetto per il lettore, stesso gusto di dire le cose come stanno, senza infingimenti, senza fiocchi e nastrini colorati... 
I bambini sono persone che non si lasciano ingannare dalla durezza del mondo, dalla sua complessità. Mi verrebbe da dire: chiedete a Carola, la quale pare saperne un bel po' di come va il mondo. 
Ma, tornando alla cursus honorum di Rascal, tutta la sua carriera, continua lui stesso a raccontare, è farcita di incontri importanti e tutti molto diversi tra loro (il suo catalogo di collaborazioni con i nomi più prestigiosi è stellare!). 
L'unica costante è quella di indirizzare ciascun testo a un determinato nome e non affidarlo al caso o alla scelta dell'editore. E questo modo di creare libri risulta molto evidente anche qui, in Vorrei un'altra storia


Mi pare sotto gli occhi di tutti il contributo che Michel Van Zeveren porta al racconto: senza i suoi disegni tutto si affievolirebbe di un bel po'. 
E lo stesso Rascal, a tal proposito, afferma che l'ispirazione non nasce solo dentro di sé, ma anche immaginando come l'illustratore potrebbe tradurre in immagine quel testo. 
Allora, visto che la storia ha questo tono così ironico, scegliere Van Zeveren è stata una scelta naturale. O forse è andata esattamente nel senso opposto? Poco importa. La cosa fondamentale è che la doppia voce che questi due hanno saputo così bene armonizzare, pagina dopo pagina sia sempre più convincente.
Ironico, esilarante, monello, Van Zeveren comincia fin da subito a ritagliarsi un suo ruolo e a raccontare per immagini ciò che il testo tace. 
A parte le pecore che sono fin da subito termometro di una incandescenza emotiva che si percepisce nell'aria. A parte questo, fin dalla prima doppia pagina costruisce un vero e proprio palcoscenico. 
Elementi fissi, o quasi, a sinistra, mentre a destra, intorno alla porta della stanza, crea ogni volta un tipo di contesto diverso: dall'arco dell'arcobaleno (i rami rosa della scena del lupo già si intravedono), fino all'arcatella gotica per la principessa che, per incanto, si trasforma poi in un portone in muratura a grandi bugne, con annesso tombino fumante, da cui a fatica spunta il testone dell'orco, fino ad arrivare in Cina con le sue ombre...
 

La scena finale, che appare dopo l'apoteosi del testo che è una pagina prima, diventa a sua volta l'apoteosi del disegno che, facendo schiantare dal ridere, tronca alla radice ogni possibile deriva mielosa... 
Geniale.

Carla