lunedì 16 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN VIAGGIO BEN FATTO 

Metafora. La storia della filosofia in 24 immagini
Pedro Alcalde, Merlín Alcalde, dipinti di Guim Tió (trad. Federico Taibi) 
L'Ippocampo 2024 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER GRANDI (dai 12 anni) 

"Il concetto diventa immagine. 
Ma c’è qualcosa di molto più importante che pulsa in loro: una luce diversa e rivelatrice che illumina il mondo intorno a noi, il mondo-ambiente con le sue forme e i suoi colori, la sua vita, il suo sangue e il suo odore. 
È così che le metafore filosofiche cancellano i margini delle astrazioni che le motivano per invitarci a una riflessione continua e a chiederci se, in fin dei conti, il nostro modo di intendere il mondo e noi stessi non sia di fatto modellato essenzialmente proprio da loro, dalle nostre metafore." 

Prima che tutto cominci, su due colonne, Pedro Alcalde, Merlín Alcalde trovano una definizione di metafora. Per meglio dire, di metafora filosofica, ossia di quel particolare tipo di metafora che è concettuale e che funziona da ponte tra una parola o una frase che appartiene al pensiero di un filosofo e una immagine. In estrema sintesi, la metafora filosofica trasforma i concetti in figure. Per farlo deve per forza sconfinare dal mondo dell'astrazione per andare nel mondo del sensibile e lì prender forma in qualcosa di tangibile. 
E poi tutto comincia. 


Il pensiero filosofico, la sua storia attraverso i secoli, viene raccontata in breve e a ogni tappa prende forma di paesaggio, sempre un po' diverso, sempre attraversato da una umanità piccola. 
Sulla pagina di sinistra le parole e un simbolo grafico, ci torno, e su quella di destra la grande immagine, un quadro di Guim Tió. 
Il concetto del continuo movimento del mondo, panta rei, di Eraclito trova nella parola fiume, che poi diventa scorrere di un fiume, la sua rappresentazione tangibile. Oppure la ben nota caverna di Platone o il giardino di Epicuro dentro cui si coltivavano ortaggi, ma anche l'imperturbabilità e l'autosufficienza per arrivare alla felicità in un mondo che cambia...concetti che diventano luoghi. Sono due dozzine le immagini cardine che diventano icone di altrettante filosofie (e più precisamente dal fiume dei presocratici alla vita liquida di Bauman, chiudendo così una sorta di cerchio perfetto anche in senso visuale): tra le due immagini di Guim Tió, un minuscolo uomo che cammina non lontano dalla riva di un fiume e un altro uomo che si tuffa in uno specchio celeste non troppo dissimile. 


Tra questo principio e fine ci sono Hegel con la sua civetta, Marco Aurelio con la sua marionetta, Agostino con lo specchio, Hobbes e il lupo, Parmenide con la sfera, Arendt e il deserto, Benjamin con l'aura e Butler con la sua Matrix, matrice. 
E in mezzo noi, la nostra curiosità verso quel regolare quanto continuo passaggio da un linguaggio a un altro. E quando si arriva in fondo al percorso, senza essersene neanche accorti, abbiamo ascoltato una storia e l'abbiamo vista illustrata. 
Una storia unica che ci riguarda tutti. 

Questa è forse la ragione per cui, dopo lunghi tentennamenti, il libro Metafora. La storia della filosofia in 24 immagini trova la sua posizione tra le varie rubriche di Lettura candita, non in quella più prevedibile, dedicata alla divulgazione - Fammi una domanda! - ma piuttosto tra i libri di narrativa. Ha prevalso il senso di unità - una unica grande e magnifica storia del pensiero - che ha, nonostante alcuni esiti da vero libro di divulgazione, una sua precisa volontà letteraria cui corrisponde una magnifica eco visuale. 


Pedro Alcalde, alla domanda sulla nascita di un libro del genere (liquido, nel suo genere?) ha risposto così: un viaje a lo largo de la historia de la filosofía que estuviera acompañado por imágenes que facilitaran su compresión. 
Ho voluto credergli e, dato che le storie di viaggi, sono letteratura, narrativa, eccoci qua. 
Padre e figlio condividono, almeno a vedere i loro cursus honorum,, una passione comune: la filosofia. Così hanno deciso di trovare assieme un filo rosso che tenesse assieme le singole storie dei singoli filosofi: la metafora era perfetta per il loro gioco. Insieme, come prima di ogni viaggio ben fatto, hanno individuato le tappe e il percorso tra partenza e arrivo. Poi si sono spartiti i compiti: ognuno ha approfondito la singola tappa scelta per poi ritrovarsi a condividerle e la soddisfazione, come dovrebbe essere alla fine di un viaggio ben fatto, è stata quella di riconoscere al proprio compagno il merito di aver portato un accrescimento all'esperienza in sé. 


A parte l'interesse che ha come sempre in una storia-catalogo la scelta dei due Alcalde, scelta che sta dietro ai nomi dei pensatori prescelti, ci sono un paio di cose che davvero colpiscono. 
Da una parte il grandissimo lavoro fatto da Guim Tió. che qua dimostra una maturità raggiunta a soli trentasette anni. 
Paesaggio come campo di colore, è lui stesso a definire così le sue tele. 
Paesaggi sgombri da tutto, a parte qualche omino piccolo o donna altrettanto minuta, spesso di spalle e volutamente assente ogni loro espressione. La grande discrepanza fra le dimensioni di una piccola quanto rara umanità che fa passeggiare nei suoi scenari, sembra voler trasmettere una sensazione di potenza del paesaggio, di una natura raccontata solo attraverso la sua essenza cromatica che la rende inevitabilmente molto vibrante e misteriosa, ma anche a segnare la presenza di un elemento differente, una sorta di contrappunto visuale. I colori stessi - pochi - contribuiscono a rafforzare il valore metaforico delle immagini, lo stesso sembra riuscire a fare la sparuta umanità. 
Bello, davvero.


Resta in ultimo da dire qualcosa su un elemento che non so in quanti valorizzeranno e che invece considero un piccolo capolavoro in un libro già bellissimo. 
Esiste una sorta di indice simbolico, che viaggia accanto a quello più classico di titolo e pagina corrispondente. Ognuno di questi simboli lo si ritrova poi in cima alle rispettive pagine ed è una sorta di icona della metafora stessa: uno spicchio grigio per la lama del rasoio di Occam, due cerchi rosa per la civetta di Hegel, quattro linee parallele per la marionetta di Marco Aurelio, un pentagono grigio con un vertice più chiaro per l'iceberg di Freud. 


Non so dire da quale testa sia uscita una idea e una sintesi del segno così efficace, tanto stupefacente. 
Parrebbe lontana anni luce dalla ricerca di atmosfere di Guim Tió, lontana dai suoi quadri che si fanno illustrazioni, diventando metafore esse stesse in un libro sulla metafora. Ma chissà. 
Forse la maternità spetta a quella grande grafica e designer che ha curato il progetto grafico e che è dietro la casa editrice català, Zahorí Books, Joana Casals? Forse. 

Carla

venerdì 13 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DIVENTERO' UNO STARK! 


Diventerò una star, Ulf Stark, Mati Lepp (trad. Laura Cangemi) 
Iperborea 2024 

NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 6 anni) 

"Gli lessi una fiaba intitolata Il brutto anatroccolo. Parlava di un anatroccolo che tutti prendono in giro perché è brutto e maldestro, ma alla fine si scopre che è un cigno. 
Astor mi guardava con gli occhi sbarrati, come se non avesse mai sentito niente di più emozionante in vita sua. 'Cavoli, è proprio così!' esclamò quando la storia fu finita. 'Esattamente così! Come faceva quello che l'ha scritta a sapere come me la passo io? Mi ha sbirciato dentro di nascosto?' 
 'Gli scrittori sanno un sacco di cose', risposi. 
'Sì, perché io mi sento proprio così: brutto e sbagliato.' 
'Ma va'. Secondo me sei perfetto.'" 

La situazione è la seguente: due grandi amici e compagni di scuola - Astor e Ruben - passano quasi tutto il loro tempo insieme. Le grandi doti di Astor sono quelle di saper fischiare con 2 dita, di saper scoreggiare a comando, di saper imitare il suono della campanella di scuola, di saper fare la verticale e muovere le orecchie. E di far arrabbiare spesso i suoi con le sue stupidate... 
Invece, la migliore dote di Ruben è quella di avere ottimismo e fiducia da vendere, anzi da regalare! Cosa che prontamente fa con il suo amico che in questo momento è un po' in crisi e ne ha un gran bisogno: perché si crede brutto, perché la sua mamma è pallida in un letto di ospedale e il suo papà da solo nel negozio di parrucchiere fatica un bel po', tra le tinte sbagliate e i tagli un po' sghembi. 
Complice l'affetto di un amico, un vecchio giornalino e un manuale difficile sull'ipnosi, molte cose sembrano mettersi in riga per marciare nella direzione giusta... 

Di Ulf Stark credo nessuno dubiti. 
E a quei pochissimi che ancora non hanno mai letto un suo libro, non si può che intimare di andare a colmare la grande lacuna. Immediatamente. 
Qui molto è stato già detto: su Le scarpe magiche del mio amico Percy, Sai fischiare, Johanna?, Il bambino dei baci, Il bambino mannaro, Animali che nessuno ha visto tranne noi, Ulf il bambino grintoso, Tuono, Il paradiso dei matti, La grande fuga e Piccolina tutta mia. Quest'ultimo è materia di studio e dà anche il titolo a un incontro di formazione sulla genitorialità nella letteratura del Nord...
(fine della autopromozione). 
Tuttavia ogni volta che un suo libro esce, c'è da esserne contenti perché più ce n'è, meglio è. Diventerò una star credo che non si possa considerarlo il suo miglior libro, ciò nonostante nelle sue pieghe nasconde una serie di semini che possono far germogliare pensiero sulla sua bravura. 
La prima di queste è già a pagina 6. Una frasetta, anzi due, che sembrano insignificanti e invece non lo sono, o per meglio dire conservano in poche parole, una dozzina, la grande misura di uno scrittore: Astor era il mio miglior amico. Non aveva paura quasi di niente. 
Lo penseranno tutti perché a posteriori, a libro letto, tornerà chiaro a ciascuno che questo incipit è magicamente perfetto per definire Ruben, per definire Astor e soprattutto la loro storia assieme. 
Un altro paio di semini li si trova a pagina 8: tutta la pagina è dedicata alla mamma di Astor in ospedale (chissà se è una delle cose di cui lui ha paura?) e ai tentativi che Astor mette in atto per divertirla e che irritano la zelante infermiera, Il risultato è che l'immagine e il testo che la guida ci raccontano una mamma a occhi chiusi ma con un sorriso sulle labbra pallide... 


Un altro semino potrebbe germogliare, zitto zitto, a pagina 12. Lì tra una parola e l'altra si vede quanto un adulto possa trovarsi in difficoltà e quanto non gradisca che suo figlio e il suo miglior amico, che davvero non lo lascia mai (chissà se non lo lascia mai perché sa che non è un gran momento per lui?), lo infastidiscano con la loro presenza... 
Un semino piccolo piccolo è il dialogo tra bibliotecaria e Ruben: 
"Questo voglio prenderlo in prestito", dissi. "Non lo capirai", mi avvertì la bibliotecaria. "E' troppo difficile." "Bene" risposi. 
Et voilà. 
Si potrebbero scrivere pagine su questo piccolo siparietto tra un adulto e un ragazzino e su come tutto poi semplicemente succeda... La capacità di Stark di essere cristallo, nel mettere un fatto dietro l'altro, poche parole e nessuna spiegazione. 
In questo senso forse vale la pena notare una volta ancora tutto il "non detto" che viene a galla nella scena dell'ipnotizzamento del padre di Ruben da parte di Ruben stesso, per ottenere 100 corone necessarie per il pomeriggio al luna park con Astor, che di soldi non ne ha tanti adesso... 
Et voilà, di nuovo.

O ancora il suono della campanella a scuola, il giorno del luna park, e il necessario ipnotizzamento del maestro... 
Ari et voilà. 
O quello della maga che predice il futuro e fa le diagnosi, come fosse un dottore.
Ari ari et voilà. 
Non so se sentirmi sotto ipnosi quando leggo Stark, ma a me pare molto evidente come sappia dire tra una riga e l'altra, nel bianco che c'è in mezzo e nelle teste di chi legge, così tante cose.... 

Carla 

Noterella al margine: un applauso a Laura Cangemi per la 'sputatrice a segno'!!

mercoledì 11 settembre 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

CRESCERE IN UN SUSSURRO 


 “C'è un trucco per vedere e udire i Defunti, simile al trucco per prendere sonno. Bisogna sentire senza ascoltare, vedere senza guardare, pensare senza riflettere davvero. Lasciare che la mente scivoli in uno spazio grigio; solo così, a volte, è possibile coglierne la presenza.” 

Maghi, nebbie, vascelli, sabbie d'argento, archi fatati, anime sperdute, poesie di polvere e un traghettatore: il Passatore. 
Il traghettatore ha due figli, Milo e Leif, e non ha nome, anche se alla nostra mente subito si affaccia la figura di Caronte, il mitico psicopompo che accompagnava le anime dei morti nell'aldilà. Il Passatore però, al contrario di Caronte, è un umano. 
La storia dell'Isola dei sussurri, scritta dall'inglese Frances Hardinge, ha una trama lineare, al contrario dei suoi passati romanzi: il traghettatore viene ucciso dal Signore di Merlank per evitare che sua figlia venga portata sull'isola della Torre Spezzata, dove le anime dei defunti possono finalmente uscire dal mondo. Leif cerca di sviare gli assassini mentre Milo, dal padre ritenuto da sempre inadatto al ruolo, si mette in mare con le sei anime da trasportare, compresa quella del padre stesso. 


Milo affronta diversi problemi mentre trasporta le anime: non solo quello più rischioso, ossia evitare di essere preso dagli scagnozzi del Signore di Merlank, ma anche riuscire a decifrare le misteriose scritte che appaiono sull'imbarcazione, oppure semplicemente riuscire a muoversi sull'angusta nave senza poggiare lo sguardo sulle anime, pena la morte. 
Fin dall'inizio del libro siamo immersi in una bruma silenziosa, dove i suoni sono attutiti e pare già di sentire accanto a sé le anime perse in attesa di imbarcarsi. Una donna si avvicina alla casa del Passatore con delle graziose scarpine tra le mani, il volto sconvolto dalle lacrime, le scarpe azzurre sono quelle della figlia Gabrielle. Le scarpe devono essere consegnate immediatamente dopo la morte al Passatore: se i defunti riuscissero a trovarle sarebbero per sempre costretti a vagare a Merlank, senza più possibilità di lasciare questo mondo. 
Parto dalle scarpe per scrivere di un libro profondo e delicato, tutto scritto sussurrando, come il titolo allude. Le scarpe sono quelle che ancorano i morti alla propria terra, che li trattengono; le scarpe raccontano lo status dei loro possessori, l'età, il lavoro, raccontano, di fatto, una vita. E così Milo tenendo lo sguardo basso, entra in contatto con loro aprendo delle brecce in lui.  


D'altra parte c'è un modo di dire anglosassone - “in his/her shoes” - che significa letteralmente “nelle sue scarpe” ma che in italiano può essere tradotto come “nei suoi panni”. Milo è considerato non all'altezza del compito di Passatore dal padre proprio per questo 'difetto': troppo emotivo, poco lucido nelle decisioni, troppo esposto e facile al coinvolgimento. E Milo lo sa, è consapevole del suoi limiti per questo lavoro in cui la freddezza pare essere il fondamento. 
Milo percorre il tratto di mare che lo separa dall'isola della Torre Spezzata, superando maghi, feroci uccelli senza testa, allucinazioni intimidatorie, con l'anima del padre al suo fianco, imparando, sforzandosi per essere utile, adattando il proprio animo alle difficoltà pratiche ma senza mai perdere la sua capacità di mettersi nei panni degli altri. Raccoglie così, a modo suo, delle tracce da ciascuna anima da riportare a casa. Di fatto reinventa il lavoro del padre, dimostrando che crescere è anche prendere il buono dal passato per poi reinventare il proprio giovane passo. 
La scrittura della Hardinge mi ha davvero lasciata senza parole, perché di fatto racconta come sia possibile comprendersi senza parlare, soltanto guardando in tralice, sfiorandosi, osservando con rispetto. E' un esempio per i ragazzi e non solo, di quanto sia potente l'immaginario evocativo delle parole. 


Il romanzo è illustrato da Emily Gravett a tre colori: nero, blu e bianco. Non è la Gravett delle matite colorate, dei bambini arruffati e degli animaletti teneri. Con uno approccio più stilizzato, riesce a mantenere il tono del sussurro, unendo anche il dettaglio tipico della gothic novel. 
Le illustrazioni sono frequenti e si alternano bene in un testo molto centellinato. In un'intervista sul libro Gravett racconta di aver utilizzato il tipo di illustrazione che in genere utilizza per le sue ceramiche. Ecco, questo libro, che consiglierei a lettori e lettrici dodicenni, è esattamente questo: una ceramica, preziosa, apparentemente fredda, ma capace di contenere tesori. 

Valentina

 "L'isola dei sussurri", F. Hardinge, E. Gravett (trad. G. Iacobaci), Mondadori 2024 

lunedì 9 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

L'ATTIMO FUGGE 
 
La formica rossa, Émilie Chazerand (trad. Silvia Turato) 
La nuova frontiera junior 2024 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 14 anni) 

"Eravamo emarginati, come due gemelli pestiferi. Lui perché era arabo, io perché ero io. Ci proteggevamo l’un l’altra. Bastava stare insieme, fianco a fianco, sempre. Noi due insieme ci attiravamo un sacco di nemici, ma non ci importava. Passavamo ore a sognare il giorno in cui saremmo stati grandi. Facevamo castelli nell’aria viziata delle nostre piccole camere. 
Architettavamo stratagemmi improbabili per diventare ora ricchi, ora famosi, ora tutti e due. 
'Vanno di pari passo, Vania, ricco e famoso!' 
'Ma no! Per niente!' 
'Ma sì!' 
'Ti dico di no, Pirach! Guarda: Madre Teresa è famosa ma non è ricca!' 
'Sempre più ricca di noi...' 
'O l’omino Michelin: è famoso, ma neanche lui è ricco!' 
'Perché neanche esiste!' 'Ma certo che esiste: lo puoi vedere.' 
'Non basta per esistere, che ti possano vedere.' " 

Vania Strudel (!) ha quindici anni, una ptosi all'occhio, un piccolo difetto alla palpebra che non sale del tutto e che lei cerca di coprire come può con un ciuffo di capelli, una madre che, quando lei aveva otto anni, a Parigi è scomparsa. 
Ha un padre che la riempie (a suo parere anche troppo) di affetto ma anche di piccoli animali impagliati (a suo parere anche troppi) perché di mestiere fa il tassidermista. E' una grande suonatrice di elicone nel tempo libero (e si esercita in cantina al buio), colleziona depliant di sciamani senegalesi e ha un solo solissimo grande amico fin dall'infanzia, Pierre-Rachid, detto Pirach, il cui nome è palese frutto dell'integrazione. Purtroppo lui parrebbe temporaneamente innamorato della sua peggiore nemica. 
Unico svago per Vania è la frequentazione di un vecchio vicino di casa, del tutto silenzioso, scampato ad Auschwitz, che imperturbabile ascolta i suoi monologhi quando lei gli fa da "babysitter" perché la legittima figlia è fuori per appuntamenti.... Costruisce e conserva in scatole da scarpe vuote modellini in cartone di scene di vita vissuta, e come amica ha Victoire che a sua volta ha un suo problemino che la tiene lontano dagli altri, la trimetilaminuria. 
Diciamo così che se Vania Strudel dovesse fare un bilancio della sua vita non avrebbe molti elementi per considerarsi una vincente, tra i vincenti. E infatti, allo stato attuale, non pensa proprio di esserlo. 
 E, come se non bastasse, sta per cominciare il suo primo anno di liceo. 
A parte il suo senso dell'umorismo irrefrenabile, che funziona da rimedio per mandar giù le molte cose che non vanno come lei vorrebbe, Vania Strudel è lì che cerca di crescere, di trovare un senso alla propria vita, di costruirsi una mappa affettiva degna di questo nome. 
Circondata da una schiera di umanità piuttosto variegata, con la quale lei interagisce a volte con slanci d'affetto, a volte con scatti di rabbia, a volte con lacrime a volte con grandi risate, a volte crudele a volte generosa, a volte disillusa a volte piena di aspettative, Vania Strudel è lì che, dall'alto dei suoi quindici anni, cerca di prendere le misure della complessità dell'esistenza. 
Ce la farà? Riuscirà a essere la formica rossa, di cui parla una misteriosa mail che ha ricevuto, ovvero troverà la spinta per smettere di essere una tra tanti, di rimanere nascosta agli altri, mimetizzata nella massa delle formiche nere? Smetterà di compiangersi, di non piacersi, di non credere in se stessa? Smetterà di sottomettersi, di non imporsi? Di farsi accettare per quello che sente di essere? Insomma, riuscirà a non avvizzire già a quindici anni? 
"Cosa stai aspettando per vivere?! Poi è adesso. Domani è subito. L’attimo fugge. Buon inizio di scuola, Vania." Fine della mail.

Solo pochi giorni fa, qualcuno mi ha interrogato sui massimi sistemi che ruotano intorno alla grande questione della letteratura per ragazzi, e di rimbalzo sulla lettura e i ragazzi. E la riflessione che mi è sgorgata spontanea è questa: forse per mettere insieme lettura e ragazzi la chiave potrebbe essere togliere il più possibile quel "per" tra le parole letteratura e ragazzi. 
Cerco di spiegarmi. Non è preoccupante il "per" in sé, anzi, ma lo è l'intento educativo che spesso e volentieri si nasconde dietro quella preposizione. Il resto è storia nota: un buon libro è un buon libro. Punto.
Sono stati in molti, me compresa, a gioire quando è nata la collana Oltre, perché tra i suoi intenti cardine dichiara: "di non voler insegnare nulla ai propri lettori", piuttosto vuole proporgli buone letture. Stop. 
E si sa che le buone letture hanno la capacità di emozionare, sovvertire opinioni, creare discussioni, porre domande "creare subbuglio", tutte cose messe in elenco dall'editore stesso. 
Ecco. Anche la terza uscita di questa collana sta in detto canone. 
Se per i due titoli precedenti si era individuato una sorta di carattere dominante che li definiva: la complessità dei legami per Il centro del mondo, il lato oscuro per Milly Vodović, qui è l'ironia il Leitmotiv. Vince su tutto questo sguardo spesso caustico, inaspettato, non convenzionale. Questo naturale umorismo ha la capacità di far passare in secondo piano tutta una serie di piccole cose non proprio convincenti del plot, come pure il profilo di un personaggio chiave, la madre grande assente. Inverosimiglianze sparse qua e là.
Robusti e ben torniti sono invece gli altri personaggi (anche quelli immaginari) che popolano il romanzo, su tutti Vania, Pierre-Rachid e il padre imbalsamatore. 
Émilie Chazerand mi pare anche capace, almeno in questo romanzo che in Francia ha venduto 37000 copie, di saper sorprendere il lettore e spesso e volentieri di farlo ridere di gusto. Doti rare. 
E' anche capace di saper mettere parecchia carne al fuoco - dall'abbandono alla scoperta del corpo, dall'essere vecchi all'essere bersaglio di qualcuno, dall'omosessualità al body shaming, dalla gelosia alla cattiveria, - senza mai perdere il filo e sempre con una dose diffusa di naturalezza e di leggerezza. 
Nessun pistolotto ma un bel po' monologhi o dialoghi, spesso esilaranti, ma anche profondi, che tengono incollati i lettori alla pagina. E a questo proposito è stata anche capace di aver sintetizzato in un unico ma indimenticabile faccia a faccia serrato, duro, diretto e quindi estremamente efficace, lo scontro tra due generazioni: tra un padre centrato e una figlia rabbiosa. Uno dei pezzi più interessanti in queste 300 pagine scarse di romanzo. 
Sarò sincera: qui, più che in alcuni dei suoi albi, mi è sembrato onesto, rispettoso (e non didascalico e men che meno educativo) l'intento di Émilie Chazerand: scrivere un libro che un giorno, magari proprio sua figlia, ma anche molti altri quindicenni come lei, potrebbe considerare come buon amico, come sostegno cui appoggiarsi mentre si procede a tentoni nel crescere. 
I buoni libri ogni tanto possono diventarlo.

Carla

venerdì 6 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IN NATURA NON SI FANNO SCONTI

Una giornata da rospo, Maite Mutuberria (trad. Elena Rolla) 
Kalandraka 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)  

Era una giornata qualunque per il rospo e per la zanzara. 
ZZZZZZ, quanto zzzi annoia il rozzzpo pensò la zanzara. 
Zzzze zzzapezzzi come dizzztrarlo... continuava a pensare. 
Poi gli gridò: Ehi Rozzzpo, prova a prendermi... Zzzzzzzzzzzzzzzzzz!  
E slurp! il rospo se la pappò." 

Fine della zanzara. 


Arriva la chiocciola che, con i suoi tempi, cerca di fare la medesima cosa: distrarre il rospo che è lì tutto solo. Va da sé che anche lei fa una brutta fine. 
E anche della chiocciola non rimane a terra che il berretto... 
E sempre nella stessa giornata qualunque di quel rospo si susseguono formica ragno libellula e millepiedi. Tutti si prendono a cuore la sua apparente noia e lo sfidano ogni volta a essere acchiappati, E lui lo fa. Con la sua linguona vischiosa ed estensibile non fa prigionieri... o quasi. 

Al suo primo libro in solitario, Maite Mutuberria conferma di avere buone qualità per distinguersi. 
In Italia, di suo circola Lilo, di Inés Garland, Premio Strega 2023, di cui appunto è "solo" illustratrice e che attesta un sacco di belle soluzioni interpretative dal punto di vista visuale.
Qui in Una giornata da rospo è divertente, cattiva quanto basta per risultare giustamente impietosa, capace di giocare con parole e silenzi, costruendo un bel contrasto tra testo e immagini.  
Il libro è concepito per i più piccoli, attenzione non i primi lettori che con tutte quelle zeta farebbero tilt, ma per piccole orecchie che godrebbero di tutte le onomatopee possibili che è riuscita a infilare nella sua storiellina un po' macabra perché piena di piccoli cadaveri... 


Ecco. Proprio questo bel gusto cattivello grazie al quale il nostro eroe, il Rospo, lo vediamo circondarsi di sempre più numerosi berrettini a punta senza più testoline da coprire, fa pensare a come anche i più piccoli possano essere introdotti agli incerti dell'esistenza. 
A parte il fatto che quando il Rospo si pappa la prima zanzara, da ogni parte si innalza la ola, viene da pensare che la crudeltà dimostrata nei confronti degli altri insettini sia un bel gioco per tutti quei bambini che almeno una volta hanno puntato il loro piccolo indice con l'intento di schiacciare la formichina che si stava arrampicando sul loro braccio. Per non parlare dei vari sezionamenti che avranno praticato da entomologi in erba, come è giusto che sia. 
I più attenti osservatori si accorgeranno presto di come Mutuberria comincia a raccontare la sua storia già dal frontespizio (e la finisca nella quarta di copertina) e lo faccia nell'assoluto silenzio delle parole, ovvero con la traiettorie di una zanzara che attraversa le lettere del titolo come avessero un loro volume. Lo stesso succede quando si incontra per la prima volta il protagonista assoluto, lui, Rospo. Il testo ci dice che per lui era una giornata qualunque, ma l'immagine mostra un rospo che si sta leccando le labbra (o quel che è) e che ha accanto due insignificanti triangolini colorati... 
Altra cosa che accade è il silenzio assoluto sullo stato d'animo del rospo che occupa quasi sempre per intero la pagina di destra, salvo poi modificarsi come plastilina quando la zanzara lo molesta senza scampo. 


Senza contare che visivamente sta anche ingrassando un bel po' con tutto quel mangiare. 
La stessa Maite Mutuberria sottolinea in una presentazione del suo libro che la cosa che più la intrigava nello scrivere e illustrare un libro da sola era proprio l'opportunità di poter giocare liberamente con il meccanismo - che spesso lavora per contrasto e opposizione - che è alla base dell'albo illustrato: insomma, di poter raccontare con due linguaggi diversi e paralleli un stessa storia. In questa prospettiva, sentendosi totalmente libera nella costruzione del layout, gioca molto con i cambi di prospettiva, le dimensioni e gli spostamenti dei personaggi sulla pagina. 


Questo ritmo bello sincopato che si inventa, cui il testo molto musicale fa eco, genera nel lettore attesa, curiosità, soddisfazione nell'aver previsto anzi tempo, quello che la pagina successiva non fa altro che confermargli. 
Ma è la sua onestà nei confronti dei suoi lettori che colpisce. Insomma, dietro tutte le dovute semplificazioni cui necessariamente ricorre - i colori piatti, certa schematizzazione dei caratteri, le onomatopee che chiamano una lettura condivisa, la sequenza narrativa che si ripete a loop - mette davanti ai suoi lettori almeno un paio di verità inconfutabili che possono servire nella vita: i rospi, e più in generale tutte le creature che vivono in natura, non fanno sconti. 


E, due, se conosci bene il tuo antagonista, puoi batterlo! 

Carla

mercoledì 4 settembre 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

L'ARTE DEL PERDERSI


La storia inizia con una scatola e con la sfida che Jon lancia a Tin e Bas: devono indovinare cosa contiene senza ovviamente sbirciare. Con questo e con altre trovate che seguono, i tre provano a inventarsi una maniera di trascorrere il tempo, fino alla brillante idea di Tin di chiudere gli occhi e camminare fino a perdersi. In effetti è quello che poi gli capita, e a un certo punto si trovano a seguire percorsi con esiti differenti: lo smarrimento di Tin diventerà una sorta di fuga dagli adulti che vorranno riportarla a casa e, strada facendo, incontrerà la nonna che desiderava (e alla quale con l’immaginazione aveva anche dato vita); Bas farà invece la conoscenza di un grosso pachiderma in fuga dalla triste realtà di un circo. 
La conclusione vedrà un felice ritorno a casa dei tre che avranno nel frattempo guadagnato l’affetto di una nonna e quello di un elefante. 
Si può teorizzare uno smarrimento? 
Tin sembra conoscere esattamente le caratteristiche di questa pratica, non solo mette in atto una serie di passaggi che provocano effettivamente l’approdo in un posto sconosciuto (l’estero!), ma è a conoscenza per esempio di quello che compete a un bambino: gli smarrimenti dei piccoli non sono necessariamente corti, i suoi per lo meno sono sempre lunghissimi. 
Tin ha le caratteristiche di alcuni personaggi femminili che popolano le storie di questo importante autore olandese, a partire dalla serie di Madelief, fino ad arrivare a quella di Polleke. Tin è intraprendente, impavida, assolutamente convinta di sapere come ci si muove nel mondo e per nulla disposta a cedere a certe logiche del buon senso comune. 
Qui gli elementi del romanzo d’avventura vengono piegate al volere di una ragazzina che non si muove spinta da curiosità, e poi vittima delle circostanze finisce con lo smarrirsi. 
Tin parte per perdersi, senza però che a questo concetto lei attribuisca alcun senso altro se non quello di smarrire la strada di casa. 
Il titolo originale del libro è proprio Tin Toeval e l’arte di perdersi, nella traduzione in italiano questo argomento si spartisce lo spazio con quello della nonna, un personaggio sicuramente spassoso, ma la cui importanza evidentemente l’autore non pensava di sottolineare. Proprio perché il nucleo narrativo di questo romanzo è la logica gratuita dello smarrimento, che non rappresenta quindi solo l’innesco narrativo dell’avventura. 
Perché dei bambini scelgono di perdersi? Per nessuna ragione a dir il vero, se non il divertimento. Ci si perde perché questo ci allontana da casa e cosa potrebbe esserci di più elettrizzante di un pericolo scampato e poi di un ritorno a casa? 
Tin non è nuova a questa pratica, conosce i modi e coinvolge gli altri amici che, in modo un po’ più incosciente, accettano di stare al gioco. 
Ma la “professionista” è lei, la bambina che spinge l’impresa oltre, fino a sfuggire deliberatamente alla vista del padre che vorrebbe riportarla a casa. E anche questa scelta di non farsi intercettare è del tutto gratuita: Tin non fugge, come in tanti romanzi di avventure capita di leggere, perché ha commesso una marachella e teme di essere punita; no, lei scappa per il gusto di farlo, per lo stesso piecere che si prova giocando a rincorrersi in cortile. Qui cambia il contesto e si alza l’asticella del rischio. E, d’altro canto, sorprendendo non poco il papà di Job, il padre di Tin non dimostra di preoccuparsi troppo per le sorti della figlia, abituato com’è alle imprese ardue della figlia. 
C’è in tutto questo la spinta energica dei bambini a immaginarsi oltre il presente e il conosciuto, senza però alcun intento contestatorio, come accadrà invece durante l’adolescenza. 
In questo romanzo l’autore celebra l’infanzia nelle sue logiche di pensiero ancora lontane da quelle del mondo adulto che è comunque popolato anche di soggetti in dialogo aperto con questi bambini: la nonna cieca che Tin conoscerà e “adotterà” alla fine della storia, i due fornai che accolgono Job e Bas e offrono loro da mangiare in attesa che i genitori li raggiungano, lo stesso padre di Tin. 
I personaggi non bambini che però si affiancano nella storia e che rivestono un ruolo più importante, sono la nonna e l’elefante. 
La prima viene coinvolta nell’impresa da Tin e finisce con avere parte attiva nella storia. 
Il secondo incontra per caso il piccolo Bas e si lega a tal punto al bambino da difenderlo da chiunque voglia portarglielo via. Non capita certamente tutti i giorni di incontrare un elefante e questo, in particolare, decide per la fuga e si perde, come i bambini protagonisti. Ma differenza di questi, il suo intento è proprio quello di allontanarsi da una condizione di dolore (dalla quale poi, grazie proprio ai giovani protagonisti, riesce a riscattarsi). 
Gli animali, insieme ai nonni, costituiscono i soggetti che più di altri sono in grado di relazionarsi spontaneamente e in modo libero con i bambini e non è un caso che entrambi siano presenti in questa storia. Tuttavia, nonostante animali e vecchi qui abbiano caratteristiche assolutamente irresistibili, sono i bambini - i loro dialoghi, i loro giochi e la loro immaginazione - a rappresentare la parte più felice di questo breve romanzo. 
Non è una storia di contrasti e antagonismi questa, come lo sono molte altre scritte da questo autore. Qui il tono è quello della leggerezza e dell’avventura divertita e spensierata. 
Un libro perfetto per i bambini che hanno acquisito una discreta competenza di lettura autonoma, che può essere proposto anche ai più piccoli in lettura condivisa. 

Teodosia 

"Ti perdi e trovi una nonna", G. Kuijer, trad. L. Draghi, Salani 2023


lunedì 2 settembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LEGATI A UN GRANELLO DI SABBIA

Il castello di sabbia, Einat Tsarfati (trad. Giusy Scarfone) 
Il Castoro, 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Mi piacciono i castelli. 
Così ne ho costruito uno di sabbia. E non un castello qualunque. 
Un vero castello, con cupole, torri e un fossato per i coccodrilli. 
E grandi finestre vista mare." 

Esistono due grandi tipologie di castelli di sabbia. Ogni bambino lo sa: quelli 'qualunque' e quelli 'speciali'. Quello che questa bambina sulla spiaggia, vicina al suo ombrellone, dove la mamma è sdraiata a leggere un libro, sta costruendo appartiene alla seconda categoria: quelli speciali che naturalmente attirano l'attenzione. Ed essendo un castello, i primi ad accorgersene e a interessarsi a lui, sono proprio re e regine. Arrivano a frotte, da ogni angolo del mondo e, a guardarli bene, anche da ogni epoca. La Regina Elisabetta, grande assente, è rappresentata da uno dei suoi amatissimi corgi. 
Il castello si riempie, si affolla di gente coronata e di relativi regi bagagli. Tutti si guardano in giro molto ammirati: sabbia purissima, ogni dettaglio architettonico è curato. E si sente anche la risacca del mare...


Nella grande Sala da Pranzo viene servito il gelato: tutti i gusti a tutte le ore. La sera nella Sala da ballo c'è la grande festa. E' semplicemente fantastico perché tutti ballano, e tutti in modo differente, secondo usi e passioni personali (anche gli intrusi...). 
I problemi arrivano la mattina seguente quando, a colazione, la sabbia comincia a farsi sentire: nel cibo prima di tutto e poi un po' ovunque. Nelle armature, nelle piante esotiche della serra che stanno appassendo, nelle serrature dei bauli, tra le lenzuola. 
Il disappunto generale che sfocia in rabbia - si lamentano tutti da Raperonzolo a Giulio Cesare - suggerisce alla bambina architetta, un'idea geniale quanto definitiva per ovviare al problema... 

Einat Sarfati è una che non va persa di vista. 
E' facile perché non sono poi molti i suoi libri che circolano nel mondo (in Italia sono quattro: Un invito fatale; I miei vicini; Potrebbe andare peggio! e Potrebbe andare molto peggio!), e quelli che ci sono paiono tutti molto convincenti. 
Le ragioni che la rendono speciale si ritrovano nella maggior parte delle sue storie, come se fossero appunto cifre per lei irrinunciabili. 
Una costante è il suo sense of humor, sempre tagliente e sempre virato verso l'assurdo. Presumo che i più piccoli lo possano cogliere, di sicuro i grandi ci potranno sguazzare dentro (la presenza nel castello di sabbia della Regina Vittoria sta lì per gli adulti o tutt'al più per i dotti bambini britannici, ma va bene così). Questo divertimento nasce evidentemente da una sua personale gioia nel disegnare ciò che disegna, e questa felicità diffusa rende il suo lavoro, oltre che piacevole per tutti, anche molto potente. Un po' come se le cose che ha da dire fossero così impellenti per lei che poco le importa a chi siano dirette. Insomma, quando scrive e disegna non ha in testa un lettore preciso, ma ha molto più semplicemente il bisogno di raccontare. E' lei la sua prima lettrice convinta! 
Il gusto per l'assurdo è la sua lingua. 


Dopo aver trovato lo spunto di partenza (un palazzo da esplorare, un viaggio in barca o un castello di sabbia), la direzione che sceglie di prendere le è proprio naturale ed è spesso simile nei libri in cui è autrice unica: partire da un punto che sia reale e consueto e poi procedere con l'accumulo di personaggi, sempre un po' imperfetti, situazioni, sempre un po' improbabili, contesti che, per aggiunte sempre più esagerate e sempre più lontane dal reale, sfogano in un tripudio di follia. 
Un gioco che è sempre divertente e che i bambini che si esercitano a misurare il mondo e la loro capacità di immaginarlo fanno in continuazione. Questo meccanismo, almeno con me, è garanzia di successo. 
Un terzo Leitmotiv nei suoi libri è naturale conseguenza espressiva del suo gusto per il rilanciare sempre oltre. Le sue pagine illustrate si strutturano via via in un crescendo di personaggi, particolari e dettagli. 


Il risultato qui, per esempio, sono doppie pagine con almeno una trentina tra monarchi e imperatori, ciascuno caratterizzato a suo modo e molto allusivo, saturano il fondo. O ancora si apre allo sguardo curioso del lettore una sezione dell'intero castello di sabbia con circa una settantina di ambienti, ciascuno caratterizzato da un arredo precipuo che ne attesta l'uso: dalle camere da letto, alle sale da ballo, dai corpi scale, alle biblioteche, dalle cucine alle wunderkammer, dalla sala giostra per i più piccoli al vano ascensore, dalle stalle alle dispense. Va da sé che molti di questi ambienti, laddove possibile, contengono una serie di guizzi comici che non sto qui a dire. 
Nell'esplorazione, attitudine che Tsarfati suggerisce ai suoi lettori, c'è sempre un personaggio guida. 
Qui - come nel precedente pubblicato da Il Castoro, I miei vicini - è una bambina, la medesima bambina (appassionata di tessuti con le stelle) che è il motore trainante. 
Lì esploratrice del suo condomino, qui ingegnere-architetto sul bagnasciuga.


Con lo stesso intento dei migliori costruttori di Wimmelbücher, Tsarfati crea una serie di personaggi che ritornano (qui per esempio come nel precedente, andrebbe cercato un criceto. Ma io suggerisco, anche molto altro), ma la cosa che la distingue è lo sguardo sempre ironico - nei confronti della società - che è capace di mettere in ogni più piccolo dettaglio. 
E, sottile ma fondamentale, tra tutto questo fitto intreccio di peculiarità proprie della Tsarfati, si scorge un filo che non manca mai: se lo si segue si ha il senso più profondo della storia, che - visto il tema - ha a che fare con il granello (o i granelli) di sabbia che inceppano in modo irreparabile un meccanismo che andava alla perfezione. 


Tocca ricominciare? 

Carla