venerdì 28 febbraio 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


LIBRI PER TUTTI


Un gustoso pamphlet dedicato alla letteratura per ragazzi è firmato da Katherine Rundell, nota autrice inglese, per i tipi della Rizzoli; ‘Perché dovresti leggere libri per ragazzi anche se sei vecchio e saggio’ è un titolo che esprime già in sintesi la tesi contenuta nel testo.
La Rundell, con uno stile asciutto e ironico, esplicita quello che in tanti e tante pensiamo, che sia ora, cioè, di accantonare i pregiudizi relativi alla letteratura per bambini e ragazzi, che la relegano in una nicchia di addetti ai lavori e di lettrici e lettori in erba.
Il testo della Rundell non vuole essere e non è un saggio di critica letteraria o di storia della letteratura; propone, viceversa, una serie di argomenti a sostegno dell’idea di fondo, così chiaramente espressa nel titolo. L’argomento più immediato, e facilmente condivisibile, è che un bel libro per ragazzi è un bel libro e non necessita di limitazioni, e questo è immediatamente evidente per il corpus, ricchissimo e articolato, delle fiabe, o per i grandi classici della letteratura per ragazzi, che riletti in età adulta mostrano nuovi tesori. Così come è vero che leggere un albo o un romanzo rivolto ai più giovani dà corpo e voce al bambino o bambina dentro di noi. Ma qui credo che l’autrice colga con acume non tanto l’aspetto più legato al fantastico, all’immaginazione sfrenata: ‘ ..si torna alla letteratura per ragazzi quando si vuol provare incanto, fame e brama di giustizia’. E proprio questo è il punto che mi preme sottolineare: non è certo un lieto fine disneyano quello che ha in mente la Rundell, quanto il nocciolo passionale, l’indignazione, il bisogno di lottare contro le ingiustizie, nella veste di arcigne matrigne o di istitutrici tiranniche. E’ quel furore che non conosce ancora la rassegnazione, il compromesso, la diplomazia, ma che si schiera armi, metaforiche o reali, in pugno contro i potenti, gli usurpatori, i traditori.
Quanto è importante tener viva questa brama, questo furore, per non cadere nell’opportunismo cinico e, in fondo, disperato! Le storie per ragazzi dicono che ce la possiamo giocare, questa nostra difficile partita, che possiamo provarci, che non è ancora detta l’ultima parola.
Ma è anche fame di conoscenza, di trasformazione, di cambiamento. L’immaginazione si oppone allo scetticismo, apre le porte al possibile, consente all’adulto di indossare nuovamente quelle lenti che rendono il mondo straordinario e spaventoso nello stesso tempo.
C’è un aspetto che l’autrice non mette a fuoco in modo particolare ed è la condivisione di queste letture con bambine e bambini, ragazzi e ragazze. Pensiamo di conoscerli e solo quando si esprimono con maggiore consapevolezza ci rendiamo conto, come adulti, di non conoscerli così bene; condividere con loro la noia, l’indignazione, lo stupore, la partecipazione alle vicende di questo o quel personaggio è come entrare in punta di piedi nel loro mondo, tessendo un filo molto resistente, capace di sopravvivere a qualsiasi lontananza.
Per tutto questo e per molte altre ragioni, vorrei che leggessero questo libretto, così denso e divertente, le/gli insegnanti che condividono con me il percorso dei circoli di lettura e quelle mamme coraggiose che hanno colto questa opportunità.

Eleonora

“Perché dovresti leggere libri per ragazzi anceh se sei vecchio e saggio”, K. Rundell, Rizzoli 2020


mercoledì 26 febbraio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


L'INFANZIA È COME L'ACQUA

La buca, Emma Adbåge (trad. Samanta K. Milton Knowles)
Camelozampa 2020


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Il mio posto preferito di tutta la Buca è la Grande Radice.
Là si può giocare a qualsiasi cosa: a mamma orsa, a capanna, a nascondersi, al negozio...a tutto.
Una delle piccoli radici che spuntano dalla Grande Radice è tutta liscia e lucida. Da quante volte l'abbiamo afferrata per arrampicarci, si è tutta consumata. Come una maniglia.
I grandi odiano la Buca."

La Buca è accanto al giardino di scuola ed è nata quando hanno portato via un gran mucchio di ghiaia. Ora ci sono cresciute le piante e ci sono delle parti in cui c'è una riserva inesauribile di fango giallo. Appena suona la ricreazione tutti vanno alla Buca e non è necessario fare tutti lo stesso gioco.
 

È buona per scivolare, per arrampicarsi. Ma i grandi, le maestre Eva in testa, pensano che sia pericolosa. Da oggi c'è una nuova regola: vietato è entrare nella buca, ma il bordo è ancora lì a disposizione. Il Bordo, con il suo precipizio a un passo, è quasi più bello della buca. Ma i grandi, le maestre, Eva in testa pensano che si pericoloso. Da oggi c'è una novità: è sparita tanto la Buca quanto il suo Bordo. Riempita di terra, ora è una bella spianata piatta. I giochi nel giardino non sono altrettanto divertenti, palloni sgonfi, altalene cigolanti. Noia! Ma a ben guardare dall'altra parte dello spiazzo c'è un mucchio fatto di ghiaia, sabbia e sassi. Fine della noia! È buono per arrampicarsi, per spenzolarsi, per scavare. Il Mucchio è più divertente del Bordo e della Buca messi insieme. E domani si ricomincia.

Due dei criteri che di solito non tradiscono nella scelta di un libro per l'infanzia hanno entrambi a che fare con l'infanzia.
Il primo riguarda direttamente il tipo di infanzia che essi raccontano. Qui vale la legge della memoria, dell'amarcord, della rêverie e dell'osservazione dal vero, il tutto condito con un po' di sensibilità umana.
Il secondo è un po' più ambiguo e riguarda la relazione eventuale tra grandi e piccoli all'interno della storia. 


Questo secondo va un po' spiegato. Statisticamente (vent'anni di letture) i libri dove i grandi sono assenti, o si sono fatti da parte, o fanno sostanzialmente da 'tappezzeria' sono di solito libri ben fatti, che funzionano. A questi vanno aggiunti tutti quei libri che raccontano con onestà l'esistenza di una certa frizione, o contrasto, o distanza di vedute tra grandi e piccoli.
Va da sé che in questi libri l'adulto che scrive lo fa in una modalità non giudicante, onesta appunto, e spesso anche ruvida e scomoda per se stesso e per tutta la categoria di appartenenza.
La buca appartiene a pieno titolo a questa categoria di storie. Ci sono dei ragazzini e delle ragazzine che si creano in assoluta autonomia un loro personale campo di gioco, fatto di niente, ovvero fatto con quello che un pezzo di giardino può offrire: terra, radici scoperte, rami rotti e fango. Poco interessa loro il gioco tradizionale, fatto secondo regole, dondolarsi sull'altalena o dare calci a palloni sgonfi.
E gli adulti dissentono, proibiscono, esercitano tutto il loro potere.
Il risultato qual è? Lo stesso che si ottiene quando si tenta di dire all'acqua dove andare. I bambini e le bambine del Nord, nipoti di Emil e Pippi, come l'acqua vanno piuttosto dritti per la loro strada o sanno trovare una strada alternativa e se un grande diventa un ostacolo, allora occorrerà aggirarlo. 


Ed è esattamente quello che accade qui: i grandi rappresentano l'ottusità di pensiero, la caparbia convinzione di sapere in anticipo come andranno le cose - tutte le volte smentiti dai fatti che i ragazzini e le ragazzine non possono ignorare. L'evidenza viene sistematicamente smentita e alla lecita domanda sul perché delle scelte, i grandi fanno l'ennesima pessima figura, trincerandosi dietro l'odioso quanto inutile 'perché sì' che è tutto meno che una risposta.
Nel frattempo i bambini eleggono di volta in volta il loro campo di azione, dandogli ogni volta dignità e importanza, con quella lettera maiuscola, inequivocabile: la Buca, il Bordo, il Mucchio. 


Brava a raccontare questa gemella di casa Adbåge e a farlo tanto a parole, ben tradotte dalla Milton Knowles, quanto a disegni. Così perfettamente connessi con il panorama della giovane illustrazione svedese che parecchio deve alla Lindström per tipo di inquadratura, per linea chiara, per quella caratteristica distorsione delle figure. Ma, volendo allargare il cerchio, si notano legami con il panorama più ampio scandinavo, da Torseter alla Maijala, attraversato sempre da tanta leggerezza e spontaneità di segno. Brava, bravissima nel lavoro di impaginazione del testo all'interno dell'immagine; brava bravissima nel ritmo e nella libertà di movimento e nella scelta di una dominante cromatica, che può essere a pieno titolo eletta come personaggio a sé: la terra su cui l'infanzia corre e scorre.


Carla

lunedì 24 febbraio 2020

FAMMI UNA DOMANDA!


STORIA E VIAGGI DELLE PIANTE

Uno dei tanti frutti, è il caso di dirlo, del rinnovato interesse per il mondo vegetale è rappresentato da un corposo volume firmato da Telmo Pievani e Andrea Vico, uscito alla fine del 2019: ‘Piante in viaggio’, pubblicato da Editoriale Scienza.
Impostato narrativamente, ovvero con un brogliaccio di trama che fornisce il filo conduttore da un capitolo all’altro, il libro racconta di una passeggiata molto istruttiva che nonno e nipotina svolgono nel Mercato Grande di una città non meglio identificata: è un mercato interamente dedicato a frutta e verdura e la passeggiata fra queste è il pretesto per raccontare la storia e gli spostamenti che i diversi tipi di vegetali hanno compiuto spontaneamente o, più spesso, per opera dell’uomo.
L’intento è quello di mettere in evidenza il ruolo delle diverse piante nell’alimentazione e quindi anche nella storia delle civiltà, sottolineando la coevoluzione fra loro e noi: piante modificate per selezione artificiale, ma anche una fisiologia della digestione che si è modificata in seguito all’introduzione di questo o quell’alimento.


Il punto di partenza obbligato è la storia del grano e dei suoi parenti, cui tanto devono le culture del Mediterraneo, dal neolitico in poi; ma anche farro, orzo, mais, quinoa, miglio, che coprono praticamente quasi tutti i continenti. Si parla poi di legumi, di tuberi, di alberi da frutto, di pomodori, di olivi, fichi, per finire con le spezie, fra cui primeggiano caffè e cioccolato. Dulcis in fundo, è il caso di dirlo, canna da zucchero e barbabietola.
Un quadro completo che fa comprendere l’importanza degli alimenti di origine vegetale nella storia delle civiltà umane. In ciascun capitolo, infatti, si racconta dove sono iniziate le coltivazioni, come sono state trasformate le piante nel processo di domesticazione e la loro diffusione nel mondo.
Se un’impressione generale si può trarre da questa lettura, direi che questa è ben espressa dal termine complessità: complesse le relazioni, sostanzialmente di interdipendenza, fra mondo umano e vegetale, viste dal punto di vista dell’alimentazione; complesso l’impatto ambientale delle coltivazioni, soprattutto quelle intensive. In realtà anche parlare di pizza Margherita o di pasta e fagioli finisce con fare i conti con i problemi della biodiversità e lo sfruttamento dei terreni agricoli.
Tutto questo concentrato in un libro per ragazzi è un po’ impegnativo, anche se alleggerito da una ricchissima aneddotica.
La quantità di notizie e di informazioni è davvero elevata e degna dei due autori, divulgatori di grande rilievo, accompagnati dalle immagini di Nicolò Mingolini; immagino sicuramente una consultazione a uso scolastico, a colmare tante lacune nelle conoscenze di ragazzi e ragazze, ma anche una fonte di curiosità per tutti quelli che si sono avvicinati al tema ambientale sull’onda dei più recenti movimenti ecologisti.


Va segnalato che il libro, facente parte della collana ‘I libri dell’Orto’, nasce dalla collaborazione con l’Orto Botanico dell’Università di Padova, nella cui homepage della pagina web campeggia la scritta secondo la quale conosciamo solo il 10% delle specie vegetali.
Dunque, c’è molto lavoro per le ragazze e i ragazzi che un giorno volessero approfondire l’argomento e farne un bellissimo mestiere.

Eleonora

“Piante in viaggio”, T. Pievani e A. Vico, Editoriale Scienza 2019


venerdì 21 febbraio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

AL CINEMA

Duello al sole, Manuel Marsol
Orecchio acerbo 2020


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Oh! Guarda quel cactus gigante che attraversa il cielo."
"Si direbbe piuttosto una forchetta."
"No. È un cactus gigante!"

L'indiano a sud del fiume e il cowboy a nord. Uno di fronte all'altro, si sfidano a duello. Una freccia nell'arco e una pallottola nel tamburo della pistola. Sguardo fermo l'uno sull'altro e poi appare lei: la papera.
Appoggiata sulla canna della Colt, sembra aver bisogno di una pausa. Il cowboy non apprezza e con un rapido movimento della pistola la fa decollare nuovamente, ma lei non lo perdona e gli molla un suo ricordo sulla tesa del cappello. 


Il duello può ricominciare, ma no anche questa volta c'è qualcosa che disturba: una nuvola in cielo, un treno di passaggio, un'affettuosità del proprio cavallo, un serpente a sonagli, un bisonte. E questo duello sembra non arrivare mai. Anche perché, complice la carica del bisonte, ora i due contendenti sono dalla stessa parte (del fiume). Prima acerrimi nemici, ora accomunati dal medesimo destino: avvoltoi e bisonti in attesa del loro primo passo falso.
Basta poco per solidarizzare e il fuoco del bivacco li vede ancora insieme al tramontare del sole... domani è un altro giorno.

Quando un film (western) diventa libro, accade questo.


L'azione si focalizza sui protagonisti, la pagina diventa fotogramma, l'inquadratura passa dal campo lungo al primissimo piano, all'americana, fino alla figura intera, ogni giro di pagina scandisce con regolarità il tempo. Un tempo lento, da deserto infuocato dell'Arizona, dove le palle di fieno sono sospinte dal vento e dove le nuvole in cielo sono rare.
Quando un libro diventa cinema, ovvero storia raccontata per inquadrature, dietro spesso c'è Manuel Marsol.


Lo abbiamo appena visto in coppia con Javier Sáez Cástan vincere il BRAW a Bologna, non a caso nella sezione Cinema, con Museum. Lì Marsol è ai pennelli su legno mentre a Cástan spetta la sceneggiatura e gli schizzi delle singole tavole.
Qui invece è da solo dietro 'la macchina da presa', confermando ancora una volta un talento fuori dal comune. 
La caratteristica dei disegni di Marsol, siano essi fatti per le tavole di un libro, per manifesti pubblicitari, per oggetti o per animazioni, è quella di restare dentro lo sguardo. È plausibile che questa caratteristica gli derivi dalla sua formazione nel campo pubblicitario, ma poco importa: Marsol buca lo schermo. Sempre.
Da cosa dipende?
Proviamo a mettere in sequenza i fattori che caratterizzano i suoi libri: una sensibilità per il colore, spesso dato a grandi campiture su cui poi rilavora tanto i dettagli che ne movimentano la superficie. Colore che va sempre in cerca di un'atmosfera precisa. E, una volta trovata, si mantiene in perfetta coerenza con l'avanzare della storia. 
 

A questo va aggiunta un'apertura forte verso la luminosità e i colori caldi: spesso il rosso, l'arancio con i loro complementari verde e turchese. Uno studio attento su giochi delle ombre, rendono i corpi dei protagonisti vibranti.
Una palette di colori molto ampia che attinge anche a toni insoliti - ma non sconosciuti - nei libri per bambini: il colore del cielo dopo il tramonto del sole di Duello al sole ricorda tanto i cieli di un altro libro western, Toh! Un cappello! di Jon Klassen. Non ha paura del nero e dei suoi derivati a cui affida le ultime pagine del libro.
 

Ulteriore fattore sta nella cura maniacale del dettaglio e della coerenza. Su un disegno apparentemente semplificato Marsol riesce a mettere a fuoco una tale mole di dettagli, la maggioranza dei quali portatori di grande ironia, che è impossibile per l'occhio non mettersi in cerca. 
E per ciascuno di loro è rintracciabile un nesso forte con la storia in sé. Basti solo seguire le sorti del sole o del malcapitato serpente a sonagli, per capire di cosa stiamo parlando.


Ma la cosa che forse di più rende i suoi libri cinema sta proprio nella capacità che ha di movimentare la storia e la pagina con un disegno che pare nascere dietro l'obiettivo di una cinepresa. Pagina dopo pagina alterna i campi lunghissimi, ai primi piani fino ad arrivare, appunto, al dettaglio di un paio di stivali o di una mano che tende l'arco e di un avvoltoio che si abbevera a notte. Come anche in Museum anche qui un paio di soggettive, per non farsi mancare nulla.
Ultimo ma non ultimo, Marsol è capace di pescare negli immaginari più diversi: parla a grandi e piccoli, dicendo loro cose anche molto diverse, con linguaggi di volta in volta differenti. Passa dal tattile del quadro in copertina di Museum, ai titoli di coda per i crediti in Duello al sole. E lo fa in grande scioltezza, senza curarsi di far perdere l'orientamento ai suoi lettori, come accade in Museum, o di farli ridere a crepapelle(rossa), come accade qui.
Evviva.

Carla

mercoledì 19 febbraio 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


RIPETERE NON GUASTA


Sorprendentemente, di anno in anno si moltiplicano le pubblicazioni che, sfruttando la data del 27 gennaio, raccontano in vari modi la Shoah. Tema spesso in passato affrontato con una certa svogliatezza, ora sembra essere nuovamente attuale, almeno a giudicare dalla quantità di titoli nuovi pubblicati sull’argomento. Un po’ sulla lunghezza d’onda delle polemiche provocate da un negazionismo mai sopito, un po’ per l’efficacia di testimonianze come quella di Liliana Segre, sembra davvero cresciuto il desiderio di informazione sull’argomento. E questa è una cosa buona, che fa in qualche modo da contrappeso agli episodi sempre più frequenti di antisemitismo e di rivalutazione delle figure criminali di Hitler e Mussolini.
Fra i testi usciti questo gennaio c’è anche ‘La musica del silenzio scritto da Luca Cognolato e Silvia Del Francia, già autori di un altro testo dedicato a Perlasca; in questo libro, pubblicato da Feltrinelli Kids, raccontano un episodio vero legato all’azione dell’uomo che, fingendosi prima console poi ambasciatore di Spagna, nella Budapest occupata dai nazisti, riuscì a mettere in salvo migliaia di ebrei. Raccontano la storia vera di due bambini, fratello e sorella, che nel giro di poco tempo passano da una vita agiata e gradevole alla condizione di emarginati, condizione che peggiora sensibilmente dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’esercito tedesco. Non è solo la stella gialla, l’esclusione dalla vita civile, le angherie e gli insulti: essere ebreo, in quelle condizioni, fra i bombardamenti russi e l’occupazione nazista, vuol dire rischiare la vita ogni giorno. Lo sport, la musica i giochi della bimba più piccola sono solo un ricordo, mentre con l’avanzare dell’esercito russo aumenta la ferocia nazista. Comincia per i due bambini una fuga rocambolesca, con l’aiuto di persone che erano disposte a rischiare la propria vita; in questo modo i bambini raggiungono una casa protetta, che però resterà tale solo per poco. Ecco che compare in scena Perlasca, Jorge Perlasca, finto diplomatico spagnolo, che batteva le case protette per mettere in salvo gli ebrei che lì si erano nascosti.
Ai due bambini, la cui madre è stata portata via durante un rastrellamento e il cui padre è disperso, non resta che affidarsi a quest’uomo qualunque che ha saputo fare la scelta giusta nel momento più difficile.
La storia in sé ha il valore della testimonianza, il ricordo vivido dei gesti di coraggio che comunque, nel male dilagante della Seconda Guerra Mondiale, qualcuno ha avuto il coraggio di compiere. Attuale perché, di fronte a chi tenta improbabili rivalutazioni dei personaggi del regima nazi-fascista, mostra che anche nelle condizioni peggiori è possibile opporsi alla dittatura. Così come altre testimonianze, anche questa ricorda quale fosse la posta in gioco in quel conflitto e da quale parte, sia pure contraddittoriamente, stesse la ragione.
E’ una storia trattata con garbo, senza retorica, nello stile dello stesso Perlasca, che mai si vantò delle sue imprese. Una lettura scorrevole, quasi didattica per ragazzini e ragazzine dai dieci anni in poi.

Eleonora

“La musica del silenzio”, L.Cognolato e S. Del Francia, Feltrinelli kids 2020




domenica 16 febbraio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


STILEBORANDO

Niente da fare, Silvia Borando
Minibombo 2020


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)

"Quando in giro non c'è niente da fare... qualcosa da fare prima o poi salta fuori!"

Questo è ciò che capita a un ragazzino dalla maglietta a righe e dai capelli tagliati con la scodella. Si annoia fin dalla copertina e il titolo gli è appena caduto in testa. La noia continua anche dopo, quando si affaccia al bordo della prima pagina in cerca di qualcosa che possa attirare la sua attenzione. 



Un semicerchio grigio, che pare proprio un sasso tondo su cui inerpicarsi, si rivela essere il carapace di una accigliata tartaruga. Si scende e fine del divertimento. Il successivo elemento che attira la sua attenzione è un albero a cui rami sarebbe divertente appendersi. Se non fossero le corna di un cervo indispettito...


Si scende e fine del divertimento. La passeggiata del bambino annoiato prosegue e quel fiorellino diverso potrebbe essere raccolto, se non fosse il codino di un leprotto spaventato...si salta ma poi è fine del divertimento. Con quella palla rossa, nella pagina successiva, potrebbe essere divertente giocarci a calcio, se non fosse che è il guscio di una chiocciola risentita. Forse tutto questo camminare stanca quelle due gambette corte quindi quella sedia gialla arriva al momento giusto, se non fosse che è il fondo schiena di una giraffa seccatissima.
Solo l'ultimo incontro sembra essere foriero di gioco e divertimento in compagnia, ma non per tutti...
Ma per scoprirlo bisogna addirittura chiedere il libro e arrivare con gli occhi attenti fino alla quarta di copertina.

In perfetto 'Stileborando' anche questo libro tutto bianco e silenzioso si può annoverare nella schiera dei 'libri cattivelli' che ogni tanto Minibombo sforna.



In perfetto 'Stileborando' tutto ruota intorno alla forma delle cose. E alla loro relativa trasformazione. Dagli acquerelli magnifici della Agostinelli di Sembra questo sembra quello è stata percorsa diversa strada e qui è tutto molto 'geometrico', compresa la testa e i capelli di quel bambino che non ha niente da fare. Il gioco per un bambino piccolo però si ripete ogni volta con lo stesso gusto (magari un po' meno stimolato sotto il profilo estetico, ma pazienza) e dopo ogni giro di pagina, qui come allora si disvela la forma completa e quindi l'animale che il bambino è andato a disturbare. Il colore che cambia di volta in volta favorisce la comprensione, fatta eccezione per la coda punk del leprotto.
Il particolare che però lo rende più divertente e inaspettato del solito sta nell'uso che la Borando ha deciso di fare del libro, in quanto oggetto, in sé.
Così i risguardi finali sono portatori di un pezzo importante della storia che si può dire effettivamente conclusa solo nell'ultimo spazio utile di un libro: il piatto della quarta di copertina. Ed è lì che si genera la definitiva risata. La anomalia sta nel fatto che di solito al gesto di chiusura di un libro corrisponda il silenzio della storia e non una bella risata che - convenzionalmente - è contenuta tra le pagine e non oltre.
Il dubbio che viene 'maligno', in perfetto 'Stileborando', è che nella paginazione si siano fatti male i conti e che quindi la storia sia andata lunga, oltre lo spazio canonico. Ma invece è decisamente più probalbile che proprio per stupire i propri lettori si siano valicati alcuni confini poco esplorati finora.


Un unico rischio però c'è: il lettore medio e distratto - che non sia troppo avvezzo al fatto che negli albi illustrati tutte, ma proprio tutte, le parti del libro valgono per sé, contribuendo a dare valore e senso a parole e immagini, alla narrazione- se ne accorgerà per tempo che non finisce tutto con un doppio a tennis, dato che su quel campo non sono in quattro, ma in cinque?

Carla

venerdì 14 febbraio 2020

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


VICOLO CIECO


Tra le tante proposte editoriali che cercano di raccontare il mondo giovanile, l’ultimo romanzo di Gabriele Clima, ‘Black Boys’, pubblicato da Feltrinelli, credo abbia più di un motivo per essere segnalato.
Com’era già avvenuto con ‘La stanza del lupo’,  si ha a che fare con la materia incandescente del disagio giovanile, comunque lo si voglia definire, riuscendo a evitare i rischi delle storie ‘a tema’, spesso intrise di retorica.
Se è interessante l’intento, va detto che anche questa volta l’autore riesce nella difficile impresa di tenersi alla larga dai facili moralismi e dagli happy end scontati. Si tratta, infatti di una storia molto dura, che descrive, e qui un altro merito del libro, la galassia dei gruppi dell’estrema destra che si formano fra le curve degli stadi e i raid razzisti contro gli immigrati.
In breve la trama: il protagonista, Alex, è ossessionato dall’incidente automobilistico in cui è morto il padre e di cui ritiene responsabile un uomo di colore. Alex è stato due mesi in coma e quando si riprende vuole farsi in qualche modo giustizia e si mette sulle tracce di Moussa. Per aiutarlo, l’amico Teo lo fa incontrare con Ferenc, capo di una banda di neonazisti, ossessionato dagli immigrati e cultore della violenza politica. Alex un po’ per la sua ossessione, trovare il nero che reputa responsabile della morte del padre, un po’ per inerzia, si trova coinvolto con le azioni criminali del gruppo dei Black Boys. E’ proprio con la sua iniziazione che si apre il romanzo, e questo è un altro merito del libro, farci entrare direttamente nel dramma: il ragazzo deve dare una ‘lezione’ a un immigrato che dorme in un vecchio birrificio, ma le cose non vanno per il verso giusto, l’uomo rotola giù per un pendio proprio mentre un barca passa lì vicino e illumina col proprio faro il terzetto di teppisti.
Cosa muove realmente questo ragazzino tramortito dal lutto e dalla difficoltà a prendere atto di ciò che è realmente successo? Penso che qui Gabriele Clima riesca nell’obbiettivo più difficile, dar conto di quel mix, di potenziale drammaticità, che nella testa degli adolescenti mescola rabbia, solitudine, incapacità di comunicare col mondo adulto. Il dolore per la perdita porta Alex a perdere il senso del limite fra ciò che accettabile e ciò che non lo è, la dimensione etica viene distorta nella chiave della subalterna partecipazione a un gruppo, che fornisce identità e motivazioni a chi non riesce a costruirsele da sé.
Di bande criminali di ragazzi si sente parlare sempre più spesso nella cronaca nera, più o meno rivestita di motivazioni politiche. Mi è capitato di assistere, agghiacciata, alla conversazione di due giovani che parlavano di una spedizione punitiva contro un ragazzo di colore, colpevole solo di esistere, così come sono assurti agli onori della cronaca romana i ‘bangla tour’, i raid perpetrati contro persone provenienti dal Bangladesh, garantiti, i criminali, dalla certezza che le vittime non avrebbero sporto denuncia. Questo è quanto.
In questo putrido terreno di coltura può smarrirsi il ragazzo che, come il protagonista del romanzo, ha perso punti di riferimento e insegue confusamente un’idea personale di giustizia.
Il finale chiarisce e mette in ordine una storia che, raccontata in soggettiva dal protagonista, oscilla fra ricordo e ossessione e non fornisce, ed è un gran merito, soluzioni consolatorie. I personaggi sono tutti tragicamente credibili ed è di particolare intensità al figura della madre del protagonista, che incarna un’idea di forza del tutto diversa dalla muscolarità perdente di Ferenc e compagni.
‘Black Boys’ è certamente una lettura impegnativa, che può dire molto sul nostro presente a ragazze e ragazzi a partire dai quattordici anni.

Eleonora

“Black Boys”, G. Clima, Feltrinelli 2020


mercoledì 12 febbraio 2020

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


COME A CASA

Il Lupo non verrà, Myriam Ouyessad, Ronan Badel
Lo Editions (Officina libraria) 2019


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

- Dormi, leprottina mia.
- Sei sicura che il lupo non verrà?
- Sicurissima.
- Come fai a esserne così sicura?
- I lupi non ci sono più. I cacciatori li hanno cacciati.
- E non ce n'è proprio più nessuno?
- Sì, qualcuno è rimasto, ma pochi.
- Allora come fai a essere sicura che uno di questi lupi non verrà?

Interno notte.
Ora di dormire, ma non c'è modo. In un dialogo serrato tra madre e figlia di può dedurre che la maggior preoccupazione di quella piccolina sia l'arrivo del lupo e la maggior preoccupazione della madre sia quella di rassicurarla sul fatto che il lupo non arriverà. 


Parole pacate, accompagnate da gesti consueti: chiudere le tende, ripiegare i vestiti, prendere una coperta aggiuntiva dall'armadio, stenderla sul lettino, e darle il bacio della buonanotte prima di spegnere la luce grande e accendere quella piccolina, sul comodino.
Questo è quello che la madre dice, ma ben altra cosa è quello che immagina la leprotta, rilanciando domanda dopo domanda.
Spenta la luce, uscita la madre, qualcuno bussa alla porta di casa. La leprottina sfreccia ad aprire, certa che sia il lupo...
E lo è.

Ci sono dei libri che hanno il pregio di essere meccanismi narrativi perfetti.
Disegno, testo, ritmo dell'uno e dell'altro, tempo interno, contesto, lingua, segno, colore dialogano per poi convergere tutti verso un centro ideale che è il senso ultimo del racconto e che è anche un meraviglioso colpo di scena.


La circostanza che ha quasi del miracoloso è la doppia firma, ovvero il fatto che due teste separate concepiscano ognuna per proprio conto, oppure ammettiamolo comunque, in regime di collaborazione, una narrazione che di fatto è impeccabile nel suo essere armonica, da qualsiasi parte la si guardi.
Testo a sinistra e disegno a destra dialogano che è una bellezza!
Per chiarezza conviene mettere in lista le cose che sono successe sulla pagina perché tutto ciò avvenisse nel miglior modo possibile.
Anche se le parti sono osmotiche forse conviene separarle per capire meglio.
E una volta tanto si può partire dal lavoro compositivo dell'illustratore.
Una palette di colori ridotta, ma coerente: il bruno del lupo, dei leprotti, dei cacciatori, del bosco e del mobilio a cui risponde un rosa in crescendo: prima solo accennato e pieno di sfumature, poi sempre più sicuro di sé diventa colore pieno di pigiama, palloncini e scatola, nella sterzata finale. In mezzo, un azzurro polvere che aiuta nelle connessioni e favorisce le ombre notturne. 
  

Il segno alla Sempé, pieno di ironia e gusto per il piccolo dettaglio che ha la capacità di creare un ambiente familiare in cui tutti possono riconoscere porzioni del proprio vissuto. E non sono solo gli interni di un appartamento o gli esterni del bosco e della città a far sentire il lettore 'a casa'; grande contributo arriva dalla gestualità dei personaggi: per intenderci la madre che si intravede dietro un'anta aperta di un armadio, o vista di fronte a svuotare i piatti dai rimasugli di crema della torta, o quel padre sfinito da una festa di compleanno allo smontaggio delle decorazioni, o quel salto finale che mette in mostra un pigiama ormai troppo piccolo di taglia sono piccole pietre preziose: pezzi di vita quotidiana che un bambino o una bambina hanno già acquisito nella propria memoria visiva.
Che bel modo che hanno scelto Ouyessad e Badel di accogliere il lettore nel loro libro, nella loro storia, fin dai risguardi...
Il ritmo delle immagini è scandito con assoluta regolarità. Pagina di sinistra con disegno più piccolo, che si abbassa o si alza nella pagina per dar modo al testo di inserirsi, e racconta ciò che accade in casa; pagina di destra a disegno pieno senza margini che racconta la proiezione mentale della leprotta alle parole della madre. Questa cadenza, ovviamente, si interrompe sul più bello per finire in un trionfo della piena pagina con il fine di accogliere e accompagnare degnamente il colpo di scena finale. 


Il merito da assegnare alla Ouyessad è la costruzione di un dialogo che tiene su l'intera storia. Nessuna voce fuori campo: sono mamma e figlia che - in un botta e risposta continuo - si sfiniscono a vicenda (già questo basterebbe per far sentire nuovamente 'a casa' i lettori, grandi e piccoli).
Così come notato nel disegno, anche nel testo è possibile cogliere una serie di piccole gioie per l'ascolto. In questo, l'anonimo traduttore, ha fatto un gran lavoro per esempio per l'ambiguità della parola 'cacciati', per il metaforico 'stirato' del lupo nel traffico.


Il merito maggiore però ancora una volta è il ritmo: un lento quanto inarrestabile crescendo, una sorta di gara al rialzo che si tacita, almeno per un attimo, con lo spegnimento della luce e con il bacio della buonanotte.
Ecco, buonanotte. Ma domani procuratevelo.

Carla