venerdì 29 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN CORPICINO FORZUTO

Qualcuno mi aspetta dietro la neve, Timothée De Fombelle, Thomas Campi
(trad. Maria Bastanzetti) 
Terre di Mezzo 2024 


 NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni) 

"La maggior parte delle rondini non conosce nient'altro dell'umanità, delle sue tragedie e della sua bellezza, che queste minuscole sagome, laggiù in basso, che si credono grandi sulla terra ma non superano il più piccolo dei loro alberi. 
Perché non bisogna idealizzare gli uccelli. Al di là della passione del volo che dà vita alla loro anima e alla loro poesia, le rondini si occupano unicamente di sé stesse. Ci sono solo tre punti cardinali nel minuscolo triangolo della loro testa: il nido, i piccoli, la sopravvivenza. 
Gloria, lei non aveva niente di tutto ciò.

E infatti in quella vigilia di Natale lei non era al caldo con le altre sulla linea dell'Equatore. No, lei stava volando in direzione opposta e contraria. Verso Nord: Francia. Come le altre, che lo fanno ogni autunno e ogni primavera ma in senso inverso, a guidarla c'era l'istinto e non altro. 
Sotto di lei c'è anche qualcun altro che sta viaggiando in direzione Nord, Inghilterra. Un furgoncino della ditta Pepino & Schultz, gelati italiani. 


Un messaggio laconico sul telefono di chi ne è alla guida lo informa che la consegna è stata annullata. 
In cielo c'è Gloria, la rondine. E sotto di lei c'è Freddy D'Angelo, il fattorino che sta trasportando, in quella nevosa vigilia di Natale, gelati di qualità. 
Freddy, francese nonostante quel cognome, lavora da più di trent'anni per Pepino & Schultz, famosa ditta, ora in disarmo. Ha appena saputo che la sua consegna è rinviata a dopo Natale. Ormai è notte, fa freddo e casa non è lontana: l'unica cosa da fare e arrivarci, mettere in garage il furgoncino, e cenare. 
Da solo, come sempre. 
Gloria, la rondine, invece è lì che vola. Stremata, infreddolita, ma caparbia. 
Lei si è guadagnata questo nome - di solito le rondini non hanno nome - perché anni prima, abbagliata dalla lucentezza di un vetro, ci si era schiantata contro e un ragazzino l'aveva trovata e salvata. In fin di vita, lui l'aveva raccolta e curata, mettendola in una scatola del latte Gloria, che per tutto il tempo fu il suo nido sicuro. 
Questa è la storia di questa rondine che vola contro corrente, di questo trasportatore solitario e anche di qualcun altro. E del loro magnifico incontro. 

Capita, di solito nel tempo che precede il natale, che un libro di piccolo formato, contenente un unico racconto di un grande autore, mi commuova fino alle lacrime. 
Ben inteso la commozione non è solo da imputare al tema dei racconti che contengono, quanto anche alla loro perfetta bellezza. 
Nel 2022 fu la volta di Morris di Bart Moeyaert.
Nel 2024 è Timothée De Fombelle a colpire nel profondo. 
Grande costruttore di trame, nei suoi libri lunghi, da Vango a Alma del vento, passando per Tobia, qui decide di costruire un minuscolo meccanismo narrativo, assolutamente perfetto. Non un granello in più, o fuori posto. Tutto torna con matematica esattezza. 
Non un giochino, ma un corpicino forzuto e sodo come un romanzo. 
E come succede? 
E' un po' un paradosso: quella bella lingua universale, alla quale De Fombelle ci ha abituato, qui è centellinata. E' il silenzio, a parlare. Sono così tante le cose non dette che però baluginano tra le parole, che il lettore che nei libri va cercando qualcosa che non sa, qualcosa che non sta in evidenza sul piatto della pagina, qui ha di che saziarsi. 
A parte i due fili narrativi, quello che racconta della rondine e quello che racconta del corriere, a parte 'la quadratura del cerchio finale' su cui si può solo tacere, sono molti altri quelli che illuminano con lo scopo di dare quella profondità di visione, che un buon libro deve avere con sé. Per essere ancora più chiari forse ha senso entrare nel merito, almeno in due casi, quello di Freddy D'Angelo e quello di Gloria. Anche i loro nomi hanno un senso...
 

Chi sia quell'omino, quale la sua storia, lo si apprende in due modi, entrambi efficaci. Da un lato, le magnifiche tavole di Thomas Campi: quel camioncino Citroën tenuto bene nonostante l'età che attraversa le Alpi e sbuca dalle gallerie; la gran nevicata nella cittadina sulla A26; la casa in penombra; il garage tutto ordinato, illuminato con la torcia; un primissimo piano - l'unico. 
E dall'altra una sequenza di piccoli dettagli che De Fombelle semina qui e là: una musicassetta di Frank Sinatra, sempre la stessa per molte stagioni; la guerriglia intorno al Tunnel; il neon della cucina di casa che sfarfalla; gli incontri, venti minuti al massimo, con Emilia, la donna del deposito di gelati a Genova, abbracciata al suo quaderno; e poi il cameriere francese in un caffè londinese, le canne da pesca, gli ami del dodici; la cassetta degli attrezzi sul sedile... 


Chi sia quella rondine, lo si apprende negli stessi due modi, entrambi efficaci: Thomas Campi con le sue panoramiche dall'alto: un mare di sabbia, un mare in tempesta, uno scuro e uno chiaro, ma entrambi abitati. Sono i luoghi che la rondine sorvola. 
Dall'altro, ancora dettagli, accenni. Campi di battaglia, edifici bruciati e cortei nuziali; una manica della camicia, la sinistra, cucita; la porta di un garage che si chiude... 


Et voilà. 

Carla

mercoledì 27 novembre 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

GATTO, SONO STATO BRAVISSIMO! DISSE TOPO 


 -Ma?! 
-TOPO! -Si, Gatto? 
-Cos'è questo? 
-Sembrerebbe un vaso di biscotti rotto. 
-Lo so che è un vaso di biscotti rotto! Cos'è successo? Dove sono i biscotti? 
-Ottime domande, Gatto. 
 Adesso ti spiego... 

 



Due personaggi, tra i più classici della letteratura per bambini: un gatto e un topo, e un misfatto, ossia un vaso rotto e dei biscotti spariti. 
Partiamo da una constatazione evidente, quella davanti alla quale si trova Gatto che, entrato in camera, vede del suo vaso in vetro solo i cocci in terra, e nessuna traccia dei biscotti contenuti. Gatto arriva e urla il nome del topo, Topo appunto, perché non ci vuole molto a immaginare che sia lui l'autore della sparizione e del danno. 
Il campo si allarga e accanto al felino giustamente adirato troviamo un topo in atteggiamento tutt'altro che preoccupato: seduto comodamente in poltrona, il topo si gode il suo libro, accanto a lui un tavolino con acqua e piattino. Placidamente risponde al gatto che lo ha chiamato, cosa può volere questo “simpatico” seccatore? Di fronte alla domanda ovvia che il gatto gli rivolge, il topo, che sembra stupito, risponde con grandissima disinvoltura raccontando una propria, singolare versione dei fatti: pare che i biscotti fossero stanchi di rimanere costretti in un vaso e abbiano cominciato a muoversi, provocando la caduta del vaso che, una volta rotto gli ha permesso di fuggire. 


Di fronte all'irritazione di Gatto, Topo rilancerà con una, due, tre altre versioni dei fatti, una più bizzarra dell'altra, provocando un crescendo di irritazione dell'altro, che si sente preso in giro. La conclusione sovvertirà ogni previsione, perché sebbene al lettore possa apparire da subito chiaro che Topo sta bleffando, non è altrettanto chiaro come Gatto pensi di risolvere il problema e rivendicare il furto che ha subito.
Il finale che qui non rivelo, pena la perdita di sorpresa, è quello che conferisce al discorso il suo senso compiuto e che permette di inquadrare questa divertente storia nel novero delle riflessioni del significato stesso del narrare. 
Partiamo dalla considerazione dei due personaggi. 
Non a caso Ruzzier ha scelto un gatto e un topo, infatti chi legge la storia, per quanto giovane possa essere, si trova davanti prima ancora che due animali, due soggetti fortemente simbolici: uno grande, il predatore, l'altro piccolo, la preda, che da sempre ha cercato di guadagnarsi la salvezza facendo leva sulla scaltrezza e l'astuzia. Possiamo risalire fino ad Esopo e alle sue favole per incontrare gatti e topi alle prese con la lotta alla sopravvivenza e anche in quel caso la piccola potenziale preda deve fare affidamento sulle sue doti intellettive se vuole salva la vita. Il gatto, d'altro canto, può contare su una mole e una forza maggiore ma, in questa come in tutti i racconti tradizionali, non è detto che risulti necessariamente il vincitore, come a dire che se la natura ti ha dotato di un iniziale vantaggio, non devi comunque dare per scontato che questo ti permetta di primeggiare. 


Gatto in questa storia veste i panni di una figura genitoriale, adulta, sono suoi i biscotti e il barattolo; e come un adulto quando smaschera una marachella esige una spiegazione anche quando si trova davanti all'evidenza dei fatti, salvo poi arrabbiarsi se il racconto fornito non risulta corrispondente alla propria ipotesi. 
Topo veste i panni del bambino, forza eversiva e poco incline al controllo per natura, mangia i biscotti per il solo fatto di averne voglia e trova assolutamente naturale farlo. Eppure sa che Gatto non sarebbe d'accordo e che per questo potrebbe punirlo, allora utilizza quell'unica risorsa che potrebbe mettere in difficoltà l'adulto pedante e razionale: l'immaginazione. 
Scombinare le carte, chiamare in causa le situazioni e i personaggi più assurdi, perché in questo modo ciò che è già chiaro e innegabile possa apparire contestabile. E in ognuna delle messe in scena di Topo quello che stupisce è l'atteggiamento che assume: perfettamente nei panni di un diligente bambino che segue gli insegnamenti degli adulti, ogni volta accoglie le richieste dei bizzarri personaggi come la buona educazione richiede e mai si sognerebbe di comportarsi in modo sgarbato, perché in fondo ci hanno insegnato che bisogna essere gentili e dunque non si può negare un biscotto a un insettino o il carburante a un extraterrestre di nome Giuseppina con l'astrononave a secco. Topo, oltre che incredibile inventore, si rivela raffinato interprete parodico che mette discretamente alla gogna certi precetti buonisti che il mondo adulto impartire da sempre al mondo infantile. 
Le versioni dei fatti messe in tavola da Topo sono solo quattro e questo è davvero un peccato, perché ne vorremmo ascoltare ancora e perché sarebbe bello se i personaggi che popolano queste storie fossero veri; è questo di fatto il desiderio che chiude il racconto, il non detto che viene consegnato al lettore, preferibilmente bambino, preferibilmente dai 3 anni in su, che si diverta anche lui a prendere in giro Gatto e immaginare cosa altro possa aver causato la scomparsa di quei biscotti e la rottura di quel vaso! 


Il racconto verbale viene affidato unicamente alla forma dialogica, nessuna narrazione a corredo di un botta e risposta sintetico ed efficace. Per il resto sono le immagini che completano l'ambientazione in cui si muovono i due protagonisti. Gatto e Topo abitano in una casa che sembrerebbe ricca, a giudicare dal pavimento e dai quei pochi elementi di arredo che vediamo nelle prime scene, un tavolino di gusto aristocratico, una sedia papalina sulla quale è accomodato Topo. Eppure, nonostante questi elementi di arredo siano realizzati con dovizia di particolari, in un contesto completamente vuoto restituiscono una sensazione straniante, come se fossero pezzi ultimi di un passato sfarzoso e non più esistente, o come se fossero oggetti sospesi in un luogo altro e comparsi solo in quanto funzionali alla narrazione. 
D'altro canto, l'esterno dell'abitazione che vediamo nelle illustrazioni successive non è affatto quello di una casa di lusso e anche i colori caldi e non realistici del paesaggio restituiscono un universo decisamente surreale in cui persino le porzioni di natura, colline, vallate e monti, si piegano a esigenze narrative. Se nella stanza dove ci troviamo all'inizio della storia incontriamo per la prima volta Gatto e la sua pretesa di avere la versione “vera” dei fatti può sembrare plausibile e condivisibile, man mano che procediamo con la lettura e l'immersione in quel contesto immaginifico, quella richiesta perde progressivamente legittimità e il fulcro della questione si sposta dal piano binario del vero/falso a quello cangiante e imprevedibile dell'invenzione. I luoghi esterni e interni che Ruzzier costruisce per mezzo di larghe e leggerissime pennellate di acquerello e china compongono la scena unica dove può plausibilmente abitare la storia, intesa non come ricostruzione dei fatti aderente al vero, ma come prodotto dell'elaborazione fantastica che intrattiene con il reale un rapporto non servile, ma solo accessorio. E quindi non può che essere Topo l'inquilino eletto di questi luoghi, lui e i biscotti fuggiti, il mostro viscido e l'extraterrestre Giuseppina. E Gatto avrà accesso a questo mondo solo quando accetterà le condizioni di Topo. 

Teodosia 

"La storia vera", Sergio Ruzzier, trad. Sergio Ruzzier, Topipittori 2024 


lunedì 25 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LAVORARE CON DESTREZZA 

Quando la sera la luna ci parla, Nicola Cinquetti, Alessandro Sanna 
Lapis Edizioni 2024 


POESIA ILLUSTRATA 

"A me sembra molto strano 
e lo voglio dire piano 
ma per essere sincero 
devo dire che davvero 
sei capace di cantare 
anche se non sai volare 
e rimani fisso al suolo 
disse all’uomo l’usignolo" 

Partirei da qui per questa raccolta di poesie di Nicola Cinquetti. 
Perché la cosa che viene in mente leggendo questa poesia è: ma guarda, quel signore allampanato, accanto alla sua bici, con lo sguardo rivolto all'usignolo che di cantare se ne intende, potrebbe ben essere il Cinquetti... 
Certo, volare non sa, ma a cantare ci riesce, eccome. 
E non credo sfugga a nessuno che in ogni poesia ci sia un canto (come forse anche in ogni canzone c'è un po' di poesia). 
La difficoltà di mettere parole intorno ai libri con i versi dentro ogni volta rinforza il pensiero che la poesia andrebbe letta e punto. 
Tutto quello che essa provoca sarebbe meglio non disturbarlo, circoscriverlo in un discorso. Ma tant'è. 
Varie cose saltano subito agli occhi: l'armonia tra testo e immagine, la qualità alta di entrambi i linguaggi, il gusto per il gioco, il jonglage, che da una parte fa Cinquetti e dall'altra fa Sanna. 
Con le parole innanzi tutto, ma anche con la fantasmagoria delle immagini. E non sto alludendo solo alle tavole di Sanna... 


Partiamo da ciò che è scritto. 
Cinquetti gioca - giocola - con le parole con il loro suono principalmente. 
Per questo a ogni nuova poesia non sai cosa aspettarti. Dal gioco sul verso di un gallo fino alla protesta di una pianta nei confronti di un piede, o meglio della sua pianta... "

"Piantala peste 
disse la pianta 
alla pianta del piede 
che non la piantava 
di pestarle i pistilli" 

Subito dopo il registro cambia e si continua con molto più senso della realtà a ragionare di suono e silenzio: il continuo rumore, un vero disturbo per l'orecchio in cerca di quiete, dei tanti elettrodomestici che tacciono tutti all'istante quando manca la corrente. 


E se qui Cinquetti è serio, sta a Sanna giocolare: inventare con destrezza una figura per illustrare l'impossibile, il silenzio, con un omino che attraversa in bicicletta una città avvolta nel buio. Solo un fanale e forse il ronzio della pedalata. 
E ancora si può leggere di un giro giro tondo che si trasforma in un giro giro tordo con lo scopo di diventare una condivisibile protesta nei confronti degli spari di un fucile, dal suono simile a un petardo, a causa forse di un ritardo, mancano il bersaglio, o forse era un abbaglio? Ma la cosa bella da sapere è che nessuno finisce giù per terra! Perfetto. 
Accanto al gioco delle parole e dei suoni che si trasformano nelle sue mani, Cinquetti è lì che si trastulla con l'altra grande fonte della poesia: la metafora. E quindi diventa qualcosa di ancora diverso: non più divertente, ma stupefacente ed emozionante. Ci si meraviglia e poi ci si emoziona, a sentire di parole che sono lì a tappare le orecchie di chi non vuol vedere una stagione finire, e non vuole neanche sentire il suono del tuono nell'autunno che arriva. 


Ci si emoziona a guardare quel ragazzino al suo ultimo tiro in porta della stagione: sono già andati via tutti, solo il cane a parare... e un uccello a guardare. 
Ed ecco che finiamo con ciò che è disegnato: i versi si sono fatti immagine per le orecchie e intorno l'altra l'immagine, quella visiva, si è fatta figura per lo sguardo. 
Spesso e volentieri inaspettata e potente, come l'acqua che la attraversa. Inaspettata e potente come sono le metafore, appunto. 
Sanna, nel momento in cui è lì davanti al bianco e deve decidere come far muovere i suoi pennelli, dove dirigere il colore, immagina i soggetti e immagina le forme, fa capriole e salti mortali col senso delle parole e per poi atterrare sulla pagina, sicuro e, come spesso credo vada cercando, meravigliato di sé stesso. 
E quindi bravo sempre, ma grandioso qui: 


 Che noia, se non fosse così.

Carla

venerdì 22 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN BUONAFFARE

Le piccole astuzie
, Deborah Ellis (trad. Federico Taibi) 
La nuova frontiera junior 2024 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni) 

"'Posso usare il vecchio capanno per una nuova attività?' 
'Vorrai dire se puoi affittare il vecchio capanno' replica la nonna. 
'Sì, sì. Affittarlo' 
'Gli darai anche una ripulita e pagherai di tasca tua le riparazioni che non riesci a fare da sola?' 
'Sì' rispondo. Penso a tutto io.' Nonna annuisce. 
'D'accordo, allora. Così mi risparmio pure la fatica di demolirlo. Che attività hai in mente?'" 

Kate, dodici anni, ha in mente di aprire un chiosco filosofico, un po' come il baracchino di Lucy Van Pelt. Grandi o piccole domande e sempre una risposta, possibilmente un po' criptica e affidata a una roulette di seconda mano e alle parole dei grandi della letteratura, della filosofia e via andare: dal Buddha a Toni Morrison. Per soli 2 dollari a quesito. 
Un'ideuzza niente male. 
Sospesa da scuola per 6 settimane, questa intraprendente e un po' rabbiosa ragazzina deve tenersi occupata. Sua nonna, allo stato attuale la sua unica severissima famiglia, le ha suggerito di mettere su una sua propria attività di pulizia dei giardini... Ma gli affari non vanno come dovrebbero: gli adulti spesso sono dei gran cialtroni con i ragazzini, E Kate lo sa bene.
Lei, che, come sua nonna, è cresciuta dovendosi un po' arrangiare, ha il pallino degli affari e ha molto ben chiaro come la vita possa essere complicata, ma pur sempre piena di opportunità se sei un po' smart e le sai cogliere. 
Sua nonna, da tre anni croce e delizia delle sue giornate, gestisce il più grande e famoso Emporio di oggetti di seconda o anche terza... mano della contea. Un dedalo di stanze, organizzatissimo e ordinatissimo! A proposito di ideuzze niente male. 
Per lei, e questo ha ben insegnato alla nipote, le seconde possibilità anche agli oggetti vanno concesse... Nel loro ménage a due, una cosa è certa: sanno bastare a sé stesse e l'organizzazione e l'ordine regnano sovrani. Con in testa il motto che nella vita è meglio non far mai nulla per nulla, le loro giornate si susseguono, rassomigliandosi sempre un po'. 
Pochi scossoni e un bel po' di faccende da sbrigare, in modo che loro vita, in particolare quella di Kate, sia molto ben regolata: lei ha i suoi compiti da svolgere e sgarrare è vietato! E così anche la sua rabbia sembra aver trovato un canale per defluire senza danni... 
Però però però in questo tran tran qualcosa cova: entrambe, in segreto, coltivano un sogno, o forse più d'uno. 
Questa è la loro storia, a volte esilarante, a volte drammatica. Spesso duramente realistica. Di certo, mai noiosa. 
Effettivamente potrebbe andare avanti così per anni tra loro. Ma invece no. 
Da un lato le loro vite solitarie non possono più di tanto ignorare il crescente brulichio del microcosmo umano che circonda la loro proprietà. E dall'altro, come se non bastasse, i loro grandi segreti vengono alla luce, il complicato passato ridiventa presente e, nonostante tutto, i sogni diventano progetti. 

Quando si dice una copertina ben fatta... 
In quell'immagine di una ragazzina appoggiata a un albero, con le braccia conserte, che guarda lo sfascio di una catapecchia, con un gatto rosso in cima, si riassume il senso più profondo che ti rimane nella testa, a libro letto. 
Tre cose principalmente mi sembrano degne di nota di Piccole astuzie
Da una parte la solidità dei personaggi, almeno dei due principali - nonna e nipote. 
La seconda cosa è l'inaspettata asprezza generale, nei fatti e nelle persone drammaticamente reali,  che attraversa la storia. 
La terza, invece, riguarda proprio la costruzione narrativa che Ellis è in grado di montare. 
La grande potenza di quella nonna e di quella nipote le rendono fin dal principio così credibili che tutto il grande bagaglio del non detto ce lo carichiamo sulle spalle senza che ci pesi non saperne nulla. 
Che cosa succede dunque? 
Che Ellis, come se avesse una torcia in mano, illumina in modo puntiforme solo ciò che vuole. Mette i suoi lettori di fatto dentro una stanza in penombra: la penombra è il misterioso antefatto, che ignoriamo quasi del tutto. Proviamo a intuire cosa si agita nella stanza, ma ci muoviamo a tentoni. 
La Ellis dà una illuminatina sulla rabbia di Kate, uno sprazzo di luce sulla severità e intransigenza della nonna. Ma noi ancora brancoliamo. E la cosa curiosa è che anche la stessa protagonista, in larga misura, brancola con noi su larga parte del contenuto della stanza: una buona porzione del passato della sua scombinata famiglia, lei la ignora. E quindi spesso è con lei che mettiamo insieme i fatti e facendolo, colleghiamo i fili per creare connessioni e senso e un po' di luce. 
Questa grande penombra e il suo venire fuori a poco a poco ha molto a che fare con l'asprezza cui si alludeva. Uno degli esiti della durezza è data dal mandato che nonna e nipote si sono reciprocamente date: il silenzio. 
Tacere, non spiegare, omettere, nascondere - il grande non detto - fa sì che ci si debba muovere nella suddetta stanza, prendendo spesso e volentieri spigoli vivi e taglienti. 
Poi, quando tutto è illuminato, si smette di prender colpi qui e là e si Ritrova l'armonia, tanto per citare il titolo dell'utile manuale che nonna e nipote hanno tirato fuori dalla libreria dell'emporio e che dagli anni Settanta insegna a gestire la rabbia. 
Insomma, va bene così che nonna e nipote abbiano quel caratteraccio: non potrebbe essere diversamente, a meno di non voler raccontare una storia melensa. Ma non mi pare che la Ellis lo abbia mai fatto.
E ancora: queste asperità degli accadimenti e del carattere dei personaggi, le loro reciproche intransigenze, le molte astuzie non solo piccole, costituiscono l'inaspettato, l'imprevedibile, l'originalità, il punto di vista non scontato in una bella storia per ragazzini e ragazzine delle medie. 
Quindi tutto è bene quel che finisce bene...

Carla

mercoledì 20 novembre 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

COME SI CHIAMANO LE COSE 

Come si chiamano le cose è il primo gioco che i bambini fanno appena nasce in loro il linguaggio. 
“Questo cos’è?” 
“E questo?” 
“Tu sei la mamma” 
Definizione e apprendimento. 
I bambini piccoli spesso amano stilare delle liste di oggetti, alcuni bambini non dimenticano mai questo modo di codificare il mondo, tanto che anche da adulti, continuano ad amare le liste e i nomi: due di questi adulti sono Francesco Pittau e Bernadette Gervais. 
C’è anche da dire che nei paesi francofoni c’è una precisa tipologia di libri per bambini - gli imagier - che raccoglie albi che insegnano i nomi. 
Agli imagier appartiene il libro primavera estate autunno inverno di Pittau&Gervais. In realtà il titolo preciso sarebbe quello con le figure, ossia questo: 


Come un imagier da manuale esige, il libro è formato da un’immagine e dalla sua definizione. In realtà i due autori aggiungono un elemento - anche questo abbastanza comune - ossia quello temporale: parliamo delle stagioni. 
Non è facile per me affrontare questo libro che è uscito in Italia, sempre per Topipittori, la prima volta nel 2011, scomparso poi per anni e cercato invano in tutte le librerie dell’usato, riapparso per la felicità di molti nel 2024. Un libro fantastico. Ma perché? 
Butto giù le idee e mi accorgo che due sono i concetti cardine del libro sotto cui molti aspetti trovano casa. 
Il primo è il concetto di FORMA. 




Il libro nomina due fiori, nel caso del tulipano e del carciofo, che hanno una forma in comune, e un nome in comune, ma che hanno funzioni diverse (uno si mangia e l’altro no) e caratteristiche diverse (uno è liscio e delicato, l’altro è spinoso e carnoso). Una sola categoria, due opposti, si potrebbe dire. 



Questa complessità nell’apparente semplicità potrebbe già essere un motivo sufficiente per avere il libro. Ma qui siamo ancora solo in superficie. 
Quello che gli autori desiderano fare con i loro libri è la valorizzazione del mondo che circonda i bambini, in particolare Gervais si dice “ossessionata dalla natura”: per questo nel libro, tutto è un costante invito all’osservazione fine. 
E’ vero che dal bruco nasce una farfalla – la realtà – ma è anche vero che quella farfalla, così precisamente riprodotta da percepire la polverina che ricopre le delicate ali, diventa l’idea poetica di una farfalla. 



Gervais in un’intervista di qualche tempo fa dice: “(…) quello che mi piace non è disegnare, ma fare i libri”. L’artista belga disegna degli stencil che poi applica al foglio bianco, in più inserisce delle alette che girandosi donano nuovo sguardo agli oggetti rappresentati. 
Lei non ragiona mai per tavole, ma per lei la tavola è solo una delle parti di cui si compone il libro, per questo è l’intero libro a raggiunge una sorta di perfezione e tutti gli elementi concorrono allo stesso modo. 
Quindi anche il corsivo non è un caso: perché usare il corsivo? 
E’ un libro per bambini piccoli che cominciano a dare i nomi alle cose o è un libro per bambini che iniziano a scrivere i nomi delle cose? 
Entrambi. 
Il corsivo mi permette di introdurre il secondo concetto chiave del libro ossia il TEMPO. 
Questo libro è un libro che il bambino consulta per diversi anni. Le relazioni complesse che apre a nomi e figure lo proiettano oltre l’utilizzo dell’apprendimento delle parole. Un bambino imparerà dapprima che esiste un fiore che si chiama ‘tulipano’, poi apprenderà che l’ape non è una ma esistono l’ape operaia, il fuco e l’ape regina, infine che quell’uccello lì si chiama ‘pernice’ mentre quell’altro ‘fagiano’, infine, ormai grande imparerà a leggerlo da solo il libro, quando saprà leggere il corsivo. 
Il tempo è anche rappresentano, in alcune tavole, attraverso l’uso della doppia apertura, come nel caso del papavero. 




Qui a un iniziale accostamento formale tra il bocciolo del papavero, che ricorda un cigno, e la tortora, si prosegue con il trascorrere del tempo che passa attraverso l’apertura della pagina interna e che porta alla piena fioritura del papavero.
 

Di queste accelerazioni temporali il libro è pieno: dagli animali alle foglie, tutto si trasforma: una stagione contiene già in sé la stagione successiva? Per questo – e torniamo al libro come opera completa – l’uso della spirale? C’è un inizio? C’è una fine? 
Da quando il piccolo lettore ha aperto questo libro per la prima volta in cerca di parole nuove che definiscano il mondo a quando è riuscito a leggere le parole in corsivo, sono passati almeno sette anni e lui, o lei, ancora sfoglia questo capolavoro, ne siamo certi. 

Valentina 

"primavera estate autunno inverno", Francesco Pittau, Bernadette Gervais, Topipittori 2024 (2011) 

lunedì 18 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL TROPPO PIENO 

La visita, Núria Figueras, Anna Font (trad. Francesco Ferrucci)
Kalandraka 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"La piccola volpe rimase sola nella tana. Fuori stava calando il buio, ma si sentivano ancora il baccano delle taccole e gli schiamazzi dei passeri. 
All'improvviso bussarono alla porta. Toc, toc, toc. 
- Chi è? - chiese la volpe. 
- Sono il Silenzio. -rispose una voce. 
- Vattene! la mamma mi ha detto di non aprire a nessuno. 
- Mi io non sono nessuno. Sono semplicemente il Silenzio. 
La volpe ci pensò per un po'." 

E poi ha aperto. Quello che si trova davanti e alto e grosso e la guarda dritta negli occhi. 
Entra nella tana e fa la cosa che fa il silenzio: si espande. La piccola volpe si è naturalmente pentita, ma ormai il Silenzio è dentro e la tana e quindi bisogna farci i conti. "Merenda?" propone, pensando che se il Silenzio ha la pancia piena, non avrà voglia di mangiare lei... 
Non sembra pericoloso. "Balliamo?" è la seconda proposta della piccola volpe.
Ma - è ovvio - che se mette la musica lui sparirà. Ma come si balla senza musica? Si può fare, si può fare... Da quando lui è nella tana, tutti i rumori consueti sono spariti dalle orecchie della volpe, uno solo è rimasto: la voce dei suoi pensieri. 
Dai, non è poi così male... anzi è addirittura bello acciambellarsi nel Silenzio e addormentarsi... 

Illustrare una cosa che non è visibile, come lo è il Silenzio, non è una sfida da poco. 
Piuttosto rara è la situazione: pensiamo al vento che è stato la sfida di Fabian Negrin, o il vuoto che è stata quella di Catarina Sobral. 
E di questo libro, sono proprio le due sfide che contiene che mi hanno colpito: provare a parlare del silenzio e provare a disegnarlo. 
Anche la Giuria del premio di Compostela deve averlo notato e lo ha premiato nel 2023. 


Anna Font si è inventata una figurona - il testo lo dice chiaro: il silenzio era alto e grosso. Ma è riuscita a renderla contemporaneamente enorme ed evanescente. Un profilo di matita bianca, tondo, e grande quanto la pagina intera capace di espandersi anche in quelle doppie, occupandole quasi per intero. Proprio come uno potrebbe figurarsi il silenzio. Un 'qualcosa' o un 'qualcuno' che entra in un luogo e lo riempie, ma non si mostra. 
La trasparenza riguardo allo spazio che occupa è lì sotto lo sguardo della volpacchiotta e di noi lettori. 
Se da un lato il testo in sé non mi è parso particolarmente brillante, dall'altro l'idea di parlare ai più piccoli di una cosa che con la pervicacia tipica del mondo adulto viene tenuta a distanza, come se fosse il demonio, mi è sembrata una bella sfida. 


E a questo 'demonio' mi ha fatto pensare sabato mattina Chandra Candiani. 
Parlando dei messaggeri celesti - la vecchiaia, la malattia, la morte e la via che i primi tre fanno per arrivare a noi - argomento del suo ultimo libro - alla domanda di Cimatti su cosa ci tenga istintivamente lontani da loro, Candiani ha risposto con la sua adamantina chiarezza: il troppo pieno. Che porta come conseguenza a uno degli spauracchi più spaventosi del nostro mondo: il vuoto e il silenzio. 
Ed ecco che il cerchio si chiude. 
Percepire e accettare tanto il vuoto, potremmo anche aggiungere la noia, quanto il silenzio non è affatto una condizione scomoda, o peggio deprecabile. Al contrario dovrebbe essere considerata in qualche modo necessaria per poter permettere ai nostri pensieri di essere accoglienti nei confronti di quello che arriva. 


E invece no. Riempiamo di suoni, più o meno gradevoli, più o meno ascoltati, di sicuro distraenti, riempiamo di immagini, più o meno gradevoli, più o meno guardate, di sicuro distraenti, riempiamo di cose da fare, di azioni e attività, dal nuoto alla ceramica a quattro mani, la vita dei più piccoli, ma anche la nostra ben inteso, e non gli/ci permettiamo di potersi/ci annoiare o peggio ancora non gli/ci lasciamo nessuna possibilità di imparare a stare 'in pace' con un po' di silenzio intorno. 
Ragionare con loro, e anche con noi stessi, dello stare in silenzio a non fare, e magari addirittura istigarli a pretendere che questa anomalia nei confronti della consueta frenesia accada nelle loro giovani esistenze già 'troppo piene', potrebbe essere un atto rivoluzionario. 
Potrebbe. 

Carla

venerdì 15 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LE PERLE SUL FILO

Il coraggio è cosa buona
, Wolf Erlbruch, Arne Rautenberg (trad. Silvia Montis) 
E/O 2024 


POESIA ILLUSTRATA

piccolo canto di coraggio da intonare da soli 

su trampolini ho visto mucche volare a saltelli 
poi maialini esercitarsi scattanti agli anelli 
formiche in slitta su gelato al caffè 
 così ho pensato pian piano tra me 
se ci credi ce la fai pure te! 

Il coraggio è cosa buona, è il primo verso della prima poesia che apre questo libro piccolo piccolo. 
Cos'è il coraggio è la prima di diciotto poesie che sulla questione ruotano e che Arne Rautenberg ha scritto, ispirandosi ad altrettanti disegni di Wolf Erlbruch, pescandoli dal suo magnifico repertorio di animali a pastelli.


A partire dal maiale in copertina, in procinto di fare un tuffo a bomba per arrivare, appunto, a quello che si tiene in equilibrio fra i due anelli, passando per i suoi consueti leprotti dalle orecchie esageratamente lunghe e per i moltissimi gatti, dagli occhi sgranati pronti allo scatto, oppure molto pensierosi davanti a una minestra sgradita. Per non parlare delle oche dal collo allungatissimo o dei cani sempre un po' ispidi, qui titubanti davanti a una doccia da cui scroscia acqua. 
Insomma, la gioia sta proprio in questa minuscola galleria di ritratti che hanno due pregi innanzi tutto: da una parte sono una piacevole e inaspettata sorpresa, perché di nuovi libri di Erlbruch pensavamo di non vederne più, visto che lui ha smesso di disegnare quasi due anni fa, perché gli si è fermato il cuore. Dall'altra, sono la prova provata che i suoi disegni hanno una tale carica narrativa, che basta guardarli per leggerci un sacco di cose dentro. E su queste, scriverne. 
Tale è la prospettiva che ha scelto Arne Rautenberg, stimato poeta tedesco, che li ha selezionati e poi infilati come perle su un filo (del discorso) che è unico: il coraggio. 
E così la "cosa buona" che è successa è che ancora una volta diciotto disegni di Erlbruch sono lì che fanno bella mostra di sé in un nuovo libro, dialogando felicemente con le poesie che Rautenberg ha deciso di scriverci attorno. 
Ogni immagine è per lui (ma anche per noi) trampolino di lancio, spunto per vedere oltre e dire anche altro.


Dall'assoluta mancanza di coraggio, quella che dimostra il piccolo coniglio sul bordo del trampolino, prima di un tuffo che forse mai farà nell'acqua sottostante che forse potrebbe essere piena di girini, al gran fegato che dimostra l'oca (!) che fa equilibrismi sopra i tetti dei palazzoni. Lei poco sforzo fa, perché anche se perde l'equilibrio le ali la salvano. Al contrario, quel pavido coniglietto a cosa potrebbe aggrapparsi? E come se non bastasse, alle sue spalle tremebonde si accalcano gli altri tuffatori. E così ci godiamo un altro po' di Erlbruch con la sua esilarante carrellata di espressioni su facce di animali: da quella evidentemente scocciata della porcella con la cuffia a quelle perplesse e spazientite di cani e gatti, fino a quella speranzosa dell'alce, l'unica a dare un po' di fiducia al povero coniglio. Lui, lì impalato, a macerarsi nella fifa. E, nel frattempo che lui si macera e cerca il coraggio per saltare - forse - tra i girini, la poesia di Rautenberg va avanti in un divertente elenco di casi in cui ci si trova di fronte al bivio tra paura e coraggio estremo: per esempio bere l'acqua dal vaso dei fiori o un buon frappè? o ancora scrivere una lettera d'amore o accontentarsi del premio di consolazione?


Questo libro è nato "podalico", al rovescio, almeno rispetto alla consuetudine: prima sono uscite le immagini e poi le parole che da queste si sono fatte felicemente guidare. 
Non tutte e diciotto le poesie hanno una loro perfetta rotondità, almeno in italiano: talvolta la necessità di una rima chiama dentro un diminutivo di troppo, talaltra il senso addirittura si annebbia un po', ma a parte qualche farraginosità, il guizzo interpretativo di Rautenberg sui disegni di Erlbruch riesce a coglierne e a valorizzarne l'ironia di partenza. E non solo. 
Penso al gattino sull'armadio, testimone di un bacio furtivo oppure ai due genitori davanti a un figlio inappetente, o ancora la rivendicazione forte del piccolo gufo di fronte a un'oca materna. 
Alcune poesie mi sono parse particolarmente riuscite e, guarda caso, sono quelle che al disegno si connettono senza troppa riverenza: alludo a cosa ti passa per la testa quando non riesci a dormire e a gocce di pioggia, che mi paiono entrambe autoportanti. 
Ma, in assoluto, il piccolo capolavoro di Rautenberg sta nell'essere riuscito a dare un senso, e che senso, a un'immagine di per sé meravigliosamente equivoca, che diventa per incanto simbolo di desiderio e nostalgia. 


Insomma, il raffinato gioco di sguardi al quale Elrbruch ci ha educato, quel suo puntuale e attento modo di raccontare l'umanità sotto mentite spoglie - un po' come ha fatto Toon Tellegen con i suoi animali nel bosco - dimostra di essere ancora e ancora pieno di linfa vitale. 

Evviva! 

Carla

mercoledì 13 novembre 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

PIED-DE-COQ: IL CADAVERE 


Sarà qui necessario sorvolare sulla descrizione dettagliata delle relazioni famigliari che legano tutti (o quasi) i personaggi che popolano questa storia. Sarà sufficiente dire che tutto accade in famiglia. 
Una famiglia e una casa, la Collinière, dimora dei Nonni Madame e Monsieur Coudrier. Una magione posizionata in cima alla collina più alta da cui si domina l’intero borgo e impregnata di del senso di superiorità di Madame Coudrier.  Ogni anno, il 31 di ottobre, la Nonna convoca tutta la famiglia per festeggiare il compleanno del Nonno. 
Quel 31 ottobre in casa (in scena) ci sono già i nipoti Hermès, le gemelle Annette e Violette e Colin-seianni. 
La storia comincia da un Prologo che ci mostra questa allegra comitiva di cugini di fronte al cadavere con la sua giacca pied-de-coq marrone scuro in cui si sono imbattuti all’improvviso, vicino al campo delle zucche, per poi fare un passo indietro e, con il capitolo successivo, ricominciare a raccontare dalle ore 6:00 di quel movimentato 31 ottobre. 
Dunque la casa piano piano si sveglia e nel trascorrere della giornata arriverà prima la giovanissima Madeleine e poi tutti gli altri, gli adulti, a completare e complicare la trama di questo giallo che come ogni giallo che si rispetti ci rivelerà un assassinio e un assassino davvero insoliti, con tanto di scena finale in cui tutti sono presenti al disvelamento della verità. Fin qui la trama. Di un giallo non si può dire di più. Però si può dire come viene raccontato, e allora proveremo a individuare alcuni elementi che risultano centrali nell’esperienza di chi legge. 
CINEMA. Bisogna innanzitutto dire che Malika Ferdjoukh scrive come se imbracciasse una telecamera. Le descrizioni dei luoghi e delle azioni sono capaci di prendere occhio e orecchio di chi legge per portarlo dentro la scena. Alcune pagine sembrano proprio delle sceneggiature. Molto coinvolgente. INFANZIA. La storia, nel suo complesso, disegna un contesto di fatti e personaggi compatto e a poco a poco sempre più coerente, ma si percepisce immediatamente l’esistenza di due mondi ben distinti, quello degli adulti e quello di chi adulto ancora non è: Hermès 13 anni e mezzo, le gemelle 9 anni, Colin-seianni (lo dice la parola stessa) e Madeleine 15 anni. Sono loro al centro della scena, i soli a sapere del cadavere e a condurre l’indagine alla scoperta dell’assassino. I soli a interrogarsi sulla morte e sul male. Gli adulti sono impegnati a celare segreti che loro stessi non sanno e non vogliono svelare. 
Un’infanzia destinata a sparire anno dopo anno. Hermès un tredicenne particolarmente maturo dirà: 
“Ho fatto più fatica dell’anno scorso ad arrampicarmici (sul sicomoro, ndr). E già l’anno scorso mi era sembrato più faticoso dell’anno precedente…I bambini piccoli sanno volare, è cosa risaputa da Peter Pan in poi. Dunque, a ogni anno che passa, ho meno infanzia a facilitarmi il compito. Ho tredici anni e mezzo, in fin dei conti”. 
Un’infanzia che vive una vita autonoma, ricca di esperienze, di immaginazione, di intraprendenza, capace di vivere e difendere un’istanza di verità. 
E Colin-seianni, che è il più piccolo di tutti, è il personaggio più splendido. Sulla scena si illumina di luce propria, una luce che lo colloca su un piano diverso, dove si è molto più vicini alla natura e si può stringere amicizia sincera con una volpe ferita e si può vedere nettamente lo spaventapasseri che indica la strada giusta per incontrarla; dove si può fronteggiare il dolore di vivere lontano da una madre inaccessibile e sofferente e ogni impresa è accompagnata da esserini pressoché invisibili che possono essere quelli buoni, i Ghwilltt , o quelli cattivi cattivissimi, i Kyytwwug che bisogna in ogni modo scansare. 
Un piano dell’infanzia al quale nessuno degli adulti può accedere e che anzi dagli adulti è braccata. Così che il pur evidente richiamo al Piccolo Principe e alla Volpe che chiede di essere addomesticata qui devia verso un esito ben diverso. 
VOCE. Tante voci si alternano e si intrecciano: chi legge ascolta alcuni personaggi raccontare in prima persona ma anche una voce fuori campo che riferisce tutto il resto, con l’effetto di una polifonia che ci chiama (anche esplicitamente) nella storia. E chi legge se pur disorientata/o nell’andare da uno all’altro dei personaggi e degli accadimenti, rimane coinvolta/o da un racconto complesso e intrigante. 
Un giallo che si infittisce di personaggi, fatti, sospetti e indizi che noi lettori cerchiamo di mettere insieme. 
A chi vorrà sempre avere chiaro il filo dei fatti così come si dipanano in questo 31 ottobre toccherà a volte tornare indietro nelle pagine tanti sono gli elementi che l’autrice ha voluto inserire in questa storia (qualcuno anche episodico e non molto utile al racconto). 
Una storia che ti cattura fino alla fine ma che forse proprio alla fine perde quella forza autentica che l’aveva sorretta fin lì. Ma qui ogni lettore e ogni lettrice potrà dire la sua. Bellissima anche la copertina di Luca Tagliafico (già autore delle altrettanto belle copertine della quadrilogia “Quattro sorelle”) che ci trasporta immediatamente ai piedi di un cadavere in pied-de-coq nel mezzo di un insolito autunno da ragazzi. Famiglia, casa, infanzia, morte, male, cinema e polifonia si ritrovano spesso nelle storie di questa brava autrice che in Francia ha già pubblicato una quarantina di romanzi. In Italia Malika Ferdjoukh è arrivata proprio con “Livide zucche” pubblicato da Salani nel 2004. Pension Lepic la richiamerà al pubblico italiano pubblicando i quatto volumi delle “Quattro sorelle”, poi “Una notte un assassino” e ora riedita “Livide zucche”. 
Camelozampa ha scelto di pubblicare “Mezzanotte e cinque” e Babalibri, per la collana Prime Letture, “La fidanzata del fantasma”
Tutte storie da leggere. Questa, in particolare, dai 12 ai 112 anni.

Patrizia 

“Livide zucche”, Malika Ferdjoukh, (trad. Orietta Mori), Pension Lepic 2024

lunedì 11 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

QUEL CHE SI VEDE, È?

Conigli micro spaziali, Alessio Alcini 
Camelozampa 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Era una noiosa domenica mattina quando vidi tre piccole astronavi entrare nella porta finestra della cucina e atterrare in soggiorno. 
I mini sportelli delle astronavi si aprirono con piccoli schiocchi metallici. Ne uscirono delle creature molto simili a conigli, ma piccole come topi.
'Chi siete? Cosa sta succedendo?'" 

La cosa che successe dopo fu un diffuso squittio che con la dovuta attenzione fu decodificato nella testa del giovane padrone di casa come un discorso articolato con il quale lo si informava su identità e avvenimenti. 
"Siamo quello che vedi, ossia dei conigli micro spaziali." 
La ragione della loro presenza lì era la necessità di trovare in fretta del succo d'arancia. Ragion per cui i conigli si dirigono con sicurezza verso il cestino della frutta e della verdura e ravanano cercando arance. Purtroppo, solo pere, limoni, pomodori, cipolle e zucche. 


L'unica soluzione è andare a fare la spesa. Ma come ingannare l'attesa fino al ritorno del papà con le tanto attese arance? Mangiare? Pregare? Leggere? Ballare? 

In questa micro storia, sono principalmente tre le cose che mi colpiscono favorevolmente. Due di valore oggettivo e una molto soggettiva.


Quella soggettiva è il largo uso del colore arancione. Visto il tema, ci sta tutto. E io me ne compiaccio, di riflesso. 
Le due oggettive sono da una parte il disegno, ovvero la sua qualità e dall'altra il racconto, ossia la sequenza dei fatti. Si potrebbe anche aggiungere un terzo ulteriore valore nel tono perentorio e assertivo che mi pare si possa cogliere nelle poche dichiarazioni da parte dei conigli e che fa scintille con il contesto. 
Ecco. Questa micro storia, davvero molto piccola e senza particolari significati reconditi da scoprire, è costruita sui contrasti tra cose. E sulle scintille essi che provocano. Il primo contrasto, forse il più evidente, è tra il tipo di disegno e il tipo di testo. Il primo è estremamente realistico (infatti il talento di Alcini era stato messo al servizio del catalogo di animali in pericolo, stilato con la grazia piena di sapienza di Serenella Quarello: Estintopedia). 
Il secondo, al contrario, è estremamente irrealistico. Visionario. 
Ci torniamo. 
Altro contrasto patente sta nel tipo di ambientazione: da un lato un appartamento, il più normale possibile, così tipico da diventare ordinario, e dall'altro una flottiglia di astronavi e astronauti estremamente originali, diremmo senza tema, unici. 


Spieghiamo: nella prima tavola si notano tutta una serie di dettagli, assolutamente non casuali: le tapparelle - a me ricordano quelle di plastica leggere (che con la prima grandinata sono crivellate di buchi), il carrellino a ripiani con verdure e frutta più o meno lasciate lì ad invecchiare sotto il tavolo della cucina con le sue zampone cilindriche (sono certa che sotto la tovaglia, 90% di plastica perché si pulisce meglio, c'è un piano di formica). Accanto al lavello, appeso a uno di quei gancetti autoincollanti, uno strofinaccio a quadretti con la sua etichetta, un ramaiolo che sicuramente è appeso per il suo manico che termina a gancio, un portaposate, che - sono certa - ha un po' di acquetta accumulata sul fondo... 
Non credo di dover continuare. Ecco in questa cucina, che potrebbe essere la cucina di milioni di persone, smaccatamente consueta, volano in planata, arrivati da chissà dove, tre diversi modelli di velivoli, molto originali per forma e contenuto. Sebbene gli abitanti della casa non si mostrino, li possiamo immaginare in pantofole muoversi tra cucina e soggiorno, è domenica, con vestiti comodi, forse addirittura ancora in pigiama. E in contrasto con loro c'è un equipaggio di sette conigli con caschi e tutte aerospaziali. Non esattamente la cosa più usuale. 
Bel contrasto, con scintille. 


Passiamo al secondo contrasto, che è più sottile, ossia tra un disegno che fa del credibile la sua forza e un testo che fa dell'incredibile la sua forza. I conigli e tutto quello che li circonda sono raffigurati con una buona percentuale di realismo, sono conigli molto credibili come conigli, peccato che raccontino un fatto del tutto irreale, un atterraggio di fortuna in una cucina qualsiasi. 
Bel contrasto, di nuovo. 
A questo proposito si potrebbe ricordare quanto racconta David Wiesner che, su questo contrasto magnifico, ha concepito quasi tutti i suoi libri. Da Martedì in poi. La costante che li attraversa tutti è proprio quella a cui sembra ispirarsi Alcini. Fermo restando che Wiesner è Wiesner e le sue storie non sono micro storie, ma veri capolavori. 
Wiesner parte sempre da un dato di realtà, un realismo esasperato e studiato in ogni minimo dettaglio. Con una logica ferrea porta piano piano i suoi lettori a credergli a tal punto che poi può permettersi di far loro vedere l'impossibile, come se fosse vero. 
Io credo che Alcini abbia 'studiato' Wiesner. Presumo lo abbia fatto, visto che concepisce una storia che un po' ricalca quella di Mr. Wuffles (in Italia come Mr. Ubik!). 
Anche lì c'è un atterraggio di fortuna di un'astronave in avaria, guidata da piccoli alieni che entrano in contatto con formiche evolute e con un gatto che ricalca alla perfezione l'originale felino di casa Wiesner. 
Il vero Wuffles, per il maniacale gusto per l'esattezza del suo proprietario, si è portato attaccata al collo una telecamerina per giorni per permettere a Wiesner di vedere come vede un vero gatto... 
Ma questa è un'altra storia...

Carla