Taccuino per un luogo è un libro – laboratorio. E’ uno strumento che offre degli spunti pratici per andare, stare o attraversare i luoghi in modo consapevole e originale.
Due cose mi sono venute in mente subito aprendo Taccuino per un luogo di Monica Guerra. Una quasi direi banale e un’altra forse legata a un’immagine che da anni mi si è piantata nel cervello e che ricerco continuamente nelle letture che faccio.
La prima è stata ripensare a Keri Smith e al suo Come diventare un esploratore del mondo, edito sempre da Corraini nel 2011: più che all’accostamento dei due libri in sé, in me è nato naturalmente l’accostamento delle due autrici, anche se oltre a un oceano a dividerle, c’è anche il piano professionale che apparentemente le pone agli antipodi.
Keri Smith, secondo una sua definizione, è un’illustratrice, artista concettuale, polimaterica.
Monica Guerra è una professoressa di pedagogia presso l’università Bicocca di Milano. Come fanno a stare insieme questi mondi? Se continuiamo a spulciare nelle definizioni che di sé dà Smith, allora capiamo cosa le accomuna, eccone alcune: esploratrice, ricercatrice ossessiva, lettrice, sperimentatrice, onesta, curiosa, etc.
La seconda cosa riguarda la prima lettura del Taccuino. A me è venuto in mente Eco, Eco mentre racconta l’incipit dei Promessi Sposi, una lezione famosissima e magistrale dove Eco riconosceva in Manzoni una narrazione cinematografica: con uno zoom narrativo Manzoni procede dall’alto verso il basso, dal cielo alla terra e ai personaggi. Il Taccuino procede allo stesso modo: all’inizio osservando i luoghi da lontano e poi sempre più da vicino, arrivando a toccare gli oggetti che li compongono, le persone, gli odori, i suoni. Propone degli esercizi per stare nei luoghi, per osservarli ma soprattutto per viverli in modo divergente. Si può leggerlo e praticarlo dall’inizio alla fine, perché, come abbiamo visto, ha una direzione. Ma si può anche aprirlo a caso e lasciarsi condurre, tornare indietro, trovare la pratica perfetta per questo momento, che non avrà la stessa perfezione domani.
Il libro - grande come una mano, con un formato adatto al trasporto, alle tasche, agli zainetti – ha due caratteristiche davvero interessanti e, mi verrebbe da scrivere, deliziosamente anacronistiche.
La prima è che va contro l’idea di luogo come spazio instagrammabile: in quest’epoca molti luoghi sono diventati location per la maggior parte delle persone e assumono tanto più valore quanto più hanno caratteristiche adatte all’istantanea, alla fotografia, al selfie. Non è importante stare in un luogo, darsi tempo, quanto far vedere che lì si è stati, anche solo per lo spazio di pochi minuti. Il Taccuino insegna invece a stare negli spazi, ad avere la pazienza di osservarli, a chiedere il permesso, porta l’attenzione sui luoghi che frequentiamo spesso e dei quali probabilmente non ci accorgiamo nemmeno più. L’idea stessa di tornare più volte in un luogo, oggi, diventa strana, essendo diventati ormai bulimici consumatori di esperienze di superficie. Ma conoscere uno spazio significa ritornarci ancora e ancora e ripensarlo e immaginarselo.
Monica Guerra non lavora solo sullo spazio fisico, ma anche su quello mentale, tornando per esempio indietro nel tempo: com’era quel luogo un tempo? Così si aprono gli orizzonti immaginativi e un luogo diventa una storia.
La seconda caratteristica del libro che va controcorrente rispetto alle dinamiche attuali è il farsi da parte dell’autrice. Nel libro è assente la biografia di Monica Guerra, il suo nome in copertina e nelle pagine successive è quasi sussurrato. Il Taccuino è una sottrazione del concetto di Autore e in questa caratteristica sta la grande differenza rispetto ai libri di Keri Smith. Dove là l’autrice canadese in qualche modo segna ogni pagina col proprio stile, con la propria presenza – a partire dalla forte personalizzazione del lettering, fino alle foto e ai disegni delle proprie esplorazioni – qui Monica Guerra gioca a nascondino, scansandosi il più possibile e andando così nella pratica di quella funzione pedagogica, che vale per adulti e bambini, che offre strumenti e guarda poi cosa succede.
Trovo questa elusione molto bella e stimolante: pone davvero al centro dell’interesse il lettore, dai 12 anni in su, e quindi la sua esperienza. La trovo anche coraggiosa in un mondo editoriale dove la personalizzazione gioca un ruolo molto forte.
Il Taccuino è fatto per lo più di domande. Non di domande retoriche, Monica Guerra fa domande di cui non conosce le risposte, fa domande per suscitare stupore, per dare strumenti che facciano apprezzare dove stiamo, che facciano far pace, che creino relazioni. Di fatto anche lei vuole a sua volta essere stupita dal lettore, e questa a me pare una grande lezione.
Valentina
"Taccuino per un luogo – Pagine per una ricerca quotidiana" Monica Guerra, Corraini 2024