mercoledì 5 febbraio 2025

FAMMI UNA DOMANDA!

TORNARE, RITORNARE 


Taccuino per un luogo è un libro – laboratorio. E’ uno strumento che offre degli spunti pratici per andare, stare o attraversare i luoghi in modo consapevole e originale. 
Due cose mi sono venute in mente subito aprendo Taccuino per un luogo di Monica Guerra. Una quasi direi banale e un’altra forse legata a un’immagine che da anni mi si è piantata nel cervello e che ricerco continuamente nelle letture che faccio. 
La prima è stata ripensare a Keri Smith e al suo Come diventare un esploratore del mondo, edito sempre da Corraini nel 2011: più che all’accostamento dei due libri in sé, in me è nato naturalmente l’accostamento delle due autrici, anche se oltre a un oceano a dividerle, c’è anche il piano professionale che apparentemente le pone agli antipodi. 
Keri Smith, secondo una sua definizione, è un’illustratrice, artista concettuale, polimaterica. 
Monica Guerra è una professoressa di pedagogia presso l’università Bicocca di Milano. Come fanno a stare insieme questi mondi? Se continuiamo a spulciare nelle definizioni che di sé dà Smith, allora capiamo cosa le accomuna, eccone alcune: esploratrice, ricercatrice ossessiva, lettrice, sperimentatrice, onesta, curiosa, etc. 
La seconda cosa riguarda la prima lettura del Taccuino. A me è venuto in mente Eco, Eco mentre racconta l’incipit dei Promessi Sposi, una lezione famosissima e magistrale dove Eco riconosceva in Manzoni una narrazione cinematografica: con uno zoom narrativo Manzoni procede dall’alto verso il basso, dal cielo alla terra e ai personaggi. Il Taccuino procede allo stesso modo: all’inizio osservando i luoghi da lontano e poi sempre più da vicino, arrivando a toccare gli oggetti che li compongono, le persone, gli odori, i suoni. Propone degli esercizi per stare nei luoghi, per osservarli ma soprattutto per viverli in modo divergente. Si può leggerlo e praticarlo dall’inizio alla fine, perché, come abbiamo visto, ha una direzione. Ma si può anche aprirlo a caso e lasciarsi condurre, tornare indietro, trovare la pratica perfetta per questo momento, che non avrà la stessa perfezione domani. 



Il libro - grande come una mano, con un formato adatto al trasporto, alle tasche, agli zainetti – ha due caratteristiche davvero interessanti e, mi verrebbe da scrivere, deliziosamente anacronistiche. 
La prima è che va contro l’idea di luogo come spazio instagrammabile: in quest’epoca molti luoghi sono diventati location per la maggior parte delle persone e assumono tanto più valore quanto più hanno caratteristiche adatte all’istantanea, alla fotografia, al selfie. Non è importante stare in un luogo, darsi tempo, quanto far vedere che lì si è stati, anche solo per lo spazio di pochi minuti. Il Taccuino insegna invece a stare negli spazi, ad avere la pazienza di osservarli, a chiedere il permesso, porta l’attenzione sui luoghi che frequentiamo spesso e dei quali probabilmente non ci accorgiamo nemmeno più. L’idea stessa di tornare più volte in un luogo, oggi, diventa strana, essendo diventati ormai bulimici consumatori di esperienze di superficie. Ma conoscere uno spazio significa ritornarci ancora e ancora e ripensarlo e immaginarselo. 
Monica Guerra non lavora solo sullo spazio fisico, ma anche su quello mentale, tornando per esempio indietro nel tempo: com’era quel luogo un tempo? Così si aprono gli orizzonti immaginativi e un luogo diventa una storia. 


La seconda caratteristica del libro che va controcorrente rispetto alle dinamiche attuali è il farsi da parte dell’autrice. Nel libro è assente la biografia di Monica Guerra, il suo nome in copertina e nelle pagine successive è quasi sussurrato. Il Taccuino è una sottrazione del concetto di Autore e in questa caratteristica sta la grande differenza rispetto ai libri di Keri Smith. Dove là l’autrice canadese in qualche modo segna ogni pagina col proprio stile, con la propria presenza – a partire dalla forte personalizzazione del lettering, fino alle foto e ai disegni delle proprie esplorazioni – qui Monica Guerra gioca a nascondino, scansandosi il più possibile e andando così nella pratica di quella funzione pedagogica, che vale per adulti e bambini, che offre strumenti e guarda poi cosa succede. 
Trovo questa elusione molto bella e stimolante: pone davvero al centro dell’interesse il lettore, dai 12 anni in su, e quindi la sua esperienza. La trovo anche coraggiosa in un mondo editoriale dove la personalizzazione gioca un ruolo molto forte. 
Il Taccuino è fatto per lo più di domande. Non di domande retoriche, Monica Guerra fa domande di cui non conosce le risposte, fa domande per suscitare stupore, per dare strumenti che facciano apprezzare dove stiamo, che facciano far pace, che creino relazioni. Di fatto anche lei vuole a sua volta essere stupita dal lettore, e questa a me pare una grande lezione. 

Valentina

 "Taccuino per un luogo – Pagine per una ricerca quotidiana" Monica Guerra, Corraini 2024 



lunedì 3 febbraio 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UNA VOCE FUORI CAMPO

Non ho fame! Violette Vaїsse (trad. Federico Appel) 
Sinnos 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Va tutto bene Léon? 
'Non ho fame!' 
Ma quel piatto sembra proprio delizioso! 
'Blerk! La minestra non è buona per niente!' 
Ma ti fa diventare grande! 
'No! La minestra di carote va bene per i conigli!' 
La mamma dice che la minestra fa diventare simpatici... 
'Allora, in questo caso, io non ne ho bisogno di sicuro!'
Ah! Ah! Ma senti questa! Ma dov'è la mamma?" 

Interno cucina. Camera fissa sul tavolo da pranzo apparecchiato. Léon, una volpetta, sta dialogando con qualcuno. 
Voce fuori campo? 
L'argomento è il passato di carote che sua madre vuole lui mangi, anzi finisca, nel tempo in cui lei è al telefono con la vicina. Lui non ci pensa neanche e, con la scusa di non aver fame, fa di tutto per liberarsi della suddetta zuppa. Addirittura mette il piatto sul bordo del tavolo in modo che inavvertitamente con una gomitatina cada, ma il piatto resiste, purtroppo. 


E allora prende la decisione: riversa il contenuto della sua scodella nel pentolone. E, nonostante avesse dichiarato di non aver fame, si allestisce un super panino con tutto quello che il frigorifero contiene. Cocomero, formaggio, una fetta di torta alle pere, ketchup, marmellata, cetriolini, cioccolato e via andare. Il panino, una baguette naturalmente, riesce miracolosamente a contenere tutto. 


E Léon lo mangia di gusto. Ora è sazio e sua madre ha finito la sua telefonata. 
In men che non si dica, deve sbaraccare tutto quello che ora è sul tavolo e stiparlo altrove prima dell'arrivo di sua madre. E sperare che lei non si accorga anche che la baguette ora sul tavolo non c'è più. 
Miracolosamente Léon ci riesce: tutto in un sacco dell'immondizia dietro al frigo, ma a una madre volpe non puoi chiedere di essere stupida come una gallina... 

Non ho fame! arriva a circa un anno di distanza da Mi annoio! e con questo condivide l'autrice, Violette Vaїsse, una giovane e gagliarda fumettista francese, e il traduttore, altrettanto gagliardo, Federico Appel. Condivide l'impostazione generale, compreso lo stampato maiuscolo e il fumetto (!) per la voce di Léon. 
Gagliarda anche la casa editrice.


Qui e lì il titolo è una dichiarazione di intenti da parte del medesimo protagonista. 
Qui e lì al protagonista piace esagerare. 
Qui e lì c'è una voce fuori campo, pacata e ragionevole, con cui dialoga, cercando di essergli d'aiuto o di supporto. Il testo è di fatto solo un serrato botta e risposta a due voci.
Qui e lì c'è la camera fissa che tutt'al più si permette delle zoomate. 
Qui e lì c'è una madre da far fessa... 
Questo e quello avevano attirato la mia attenzione. 
Le ragioni. 
La prima è il disegno: colori piatti linea di contorno grossa, data a pennello. Buon gusto nella composizione, grande espressività dei corpi. Mancinismo del protagonista. 
La seconda è la comicità in crescendo, che attraversa le storie. Pur nella loro semplicità, colgono nel segno entrambe le volte e mi è parsa davvero divertente la capacità e la velocità del protagonista nel mettersi nei guai da solo, nella rapida sequenza di scemenze che mette in atto. 
In entrambi, il ritmo è quello del comico: a passo svelto.
Trovo sottilmente ironico il fatto che lui dichiari una cosa, salvo poi smentirsi nei fatti. Non ho fame! urla il titolo di un libro in cui il protagonista sbrana una baguette con tutto dentro, Mi annoio! è il titolo di una storia in cui il protagonista battaglia nella sua stanza come Napoleone contro eserciti interi di nemici inesistenti. 


La terza è la sua irresistibile la faccia tosta. 
La quarta è la voce fuori campo. Onestamente non so dire se ho sovrainterpretato, ma mi viene da pensare che nel caso di Non ho fame! a parlare con Léon sia il frigorifero in persona. Mi piacerebbe fosse davvero così, la considererei proprio una bella idea. Per cui, per trovare conferma plausibile mi sono detta che se, almeno per metà libro, il blocchetto di testo è fisicamente vicino al frigo qualcosa vorrà pur dire... 
Se davvero così fosse in Mi annoio! sarebbe la scansia dei libri a dialogare con Léon. E prova ne sarebbe il fatto che a un certo punto proponga all'annoiata volpetta un dei libri che contiene. 
Il suo ruolo, quello della voce fuori campo, frigorifero o no, è quello di essere contemporaneamente voce della coscienza, compagna di gioco, ma anche di farsi 'paracadute' a un niente dall'impatto con la madre. 


La quinta ha un po' a che fare con la terza. Dietro la faccia tosta di Léon si nasconde un modello di infanzia un po' ingenua, un bel po' bugiarda, un tantino monella, piuttosto coraggiosa nello sfidare le regole adulte. 
Insomma, un'infanzia resistente. 

Carla