lunedì 30 luglio 2018

FAMMI UNA DOMANDA!


SULLA STRANEZZA DEGLI ANIMALI ANTICHI


Collocarsi con originalità nel panorama dei libri sugli animali preistorici è un’impresa per pochi.
Come è noto, animali ‘eccessivi’, come i peggiori predatori del pianeta, dal T-Rex alla tigre dai denti a sciabola, è uno degli argomenti più richiesti dal pubblico degli appassionati lettori e lettrici dai quattro ai sei anni, per poi diventare, per alcuni, passione quasi maniacale.
La scelta operata da Maja Safstrom, in linea con il precedente ‘Il piccolo libro dei grandi segreti degli animali’, è quella di operare tre forti discontinuità con la produzione corrente. Non si parla, volutamente, di dinosauri ma di animali vissuti fra i 550 milioni di anni fa e gli 11 mila. Un arco temporale lunghissimo, scandito da alcune tappe identificate con questo o quel animale preistorico. L’esclusione dei dinosauri e l’assenza di qualsiasi riferimento all’ambiente e alla tassonomia costituiscono un approccio decisamente diverso dalla consueta carrellata di animali, affiancata da schede esplicative. E’ anche evidente che a fianco delle illustrazioni sono presenti delle informazioni brevi in forma di didascalia che aiutano il lettore e la lettrice a farsi un’idea. L’altra discontinuità è data dallo stile illustrativo, che abbandona qualsiasi tentazione di resa realistica del soggetto, in un rigoroso bianco e nero, sottolineandone, al contrario, il lato buffo, grottesco, singolare.
Infine, il formato, che è quello di un libro tascabile, con quasi cento pagine.


Sicuramente, a differenza di libri più tradizionali, questa impostazione spinge ad un uso libero dell’oggetto libro, a prescindere anche dal contenuto scientifico, ma nello stesso tempo contiene informazioni interessanti, curiose, sui singoli animali.
Lo stile della Safstrom tende a stilizzare fortemente i diversi soggetti, in stretta connessione con le caratteristiche descritte nel testo.
Se devo essere sincera, ho qualche perplessità sulla capacità di catturare l’attenzione dei giovani lettori e lettrici, che cercano nei libri sugli amati animali, più o meno mostruosi, un gran numero di informazioni e che immaginano mondi fantastici in cui collocare i loro beniamini. La quantità di informazione ovviamente non c’è: c’è lo spunto, l’accensione della scintilla di curiosità che porta ad andare oltre il più ovvio e conosciuto. Ma questo richiede una forte mediazione adulta, che dia un seguito credibile ai perché e per come che inevitabilmente ne derivano.


Andrebbe testato, ovviamente, con i diretti interessati, che in libreria sono attratti di solito da testi più grandi, più colorati.
Per noi adulti è una miniera di scoperte e di sorrisi per l’ironia con cui l’autrice ci racconta un mondo scomparso.

Eleonora

“Il piccolo libro degli animali del Mondo Antico”, M. Safstrom, Nomos edizioni 2018

venerdì 27 luglio 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


PETER SEMPREINPIEDI

Peter il gatto, Nadine Robert, Jean Jullien (trad. Janna Carioli)
Lapis 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Finalmente libero, Peter il gatto si alza sulle zampe posteriori.
'E così tu saresti Peter! Ma... stai in piedi!?'
Filippo non ha mai visto un gatto camminare su due zampe. Ma che importa, ha sempre sognato di averne uno. E così, da quel giorno, ha adottato Peter."


Mentre è lì che fa colazione, Filippo sente un forte miagolio. Pensa sia il gatto della vicina, ma poi scopre che viene dalla scatola che è davanti alla sua porta di casa da cui pende un cartello con su scritto PETER. La apre e quello che vede è per l'appunto un bel gatto nero e bianco, un po' pezzato come se portasse la livrea di un pinguino o di un cameriere.
 

E come il pinguino o il cameriere sta felicemente sulle zampe posteriori. Ma questa non è l'unica peculiarità di Peter. Delle cose da gatto non ne fa nessuna (o perché non è capace o perché non ne ha voglia). Non caccia i topi, ma li insegue sullo skate, non gioca con i gomitoli di lana, ma sa servire il tè. Non si arrampica sugli alberi ma fa yoga... Tuttavia la cosa migliore che lo distingue da tutti gli altri, semmai ce ne fosse bisogno, è il recupero di una pallina rosa: per prenderla si lancia, vola e l'afferra. E poi c'è un'altra cosa ancora che lo rende amatissimo agli occhi di Filippo. Da non svelare.

Peter, il gatto non è che l'ultimo degli animali che Jean Jullien ha disegnato nella sua scoppiettante carriera di illustratore. Tra i libri italiani si può ricordare l'insuperato Attenti al gufo! e tra gli stranieri Ralf., il cane bassotto estensibile.
In un disegno sempre molto riconoscibile - un tratto nero continuo per segnare i profili, colori piatti, esilarante espressività dei personaggi e ironia a secchi- Jean Jullien dimostra di essere un eccellente comunicatore attraverso un canale poco frequentato: la semplicità.
Comunicare cercando di essere semplice non è roba da tutti. E' roba da graphic designer. Che è esattamente quello che lui è. In realtà Jullien, francese di nascita ma inglese di adozione, è un affermato pubblicitario e i suoi libri illustrati non sono che una goccia nel mare della sua varissima e sconfinata produzione.


Le caratteristiche comuni che segnano i suoi libri si ritrovano anche in contesti molto diversi dunque, ma sono sostanzialmente dei fili rossi che li attraversano: semplicità, ovvero leggibilità, comunicabilità, ovvero capacità di trovare un codice comune, ironia, ovvero il ribaltamento di prospettiva.
Ed è forse quest'ultima caratteristica a tenere insieme il testo di Nadine Robert con il disegno di Jean Jullien.
L'ironia di Peter il gatto si concentra in due punti soprattutto. Da una parte il gioco narrativo messo in piedi nel dialogo tra i due amici, laddove la prima - Adele - elenca le cose che fanno i gatti di solito cui Filippo controbatte rilanciando le peculiarità del gatto in piedi. Dall'altra parte è proprio nei contenuti, ovvero nell'assurdo che si aggiunge all'assurdo che il divertimento si moltiplica. 


Quindi non è solo la forma che a ogni giro di pagina, come un metronomo, si ripete, ma è in particolare nel 'crescendo' di cose che il gatto fa come normali per lui che i lettori trovano il massimo del godimento e della risata. 


A questo si aggiunge il registro umoristico e spesso ironico che Jullien ha connaturato nel suo segno. Da godere, una per una le facce e i gesti del gatto Peter (che spesso e volentieri sconfinano sulla doppia pagina), a ogni giro di foglio. 


Va da sé che un adulto - possibilmente in cerca di spunti di riflessione se non addirittura di perniciosi insegnamenti - potrà utilizzare Peter il gatto come esca per dimostrare ai suoi piccoli ascoltatori che essere diversi, e possibilmente unici, è un valore in sé.


Lasciamoglielo fare. Non ci sono controindicazioni.

Carla

mercoledì 25 luglio 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


OSCURE PRESENZE


Le ‘oscure presenze’ non sono una novità assoluta nei libri per ragazzi, senza pensare al sovrannaturale che serpeggia nei libri di Almond, con tutt’altra finalità. Nel nostro caso parliamo non tanto di generiche manifestazioni dell’aldilà, ma di presenze maligne che infestano un luogo. Qualcosa del genere si è visto con i libri della Ohlsson in cui la quotidianità viene turbata dai segni di presenze misteriose. In ‘Dark Hall’ di Lois Duncan, scritto nel ‘74 e tradotto ora da Mondadori per inseguire l’uscita del film tratto dal romanzo, abbiamo proprio un libro che affonda le proprie radici nella narrativa di ‘genere’, con tutti i cliché, e non è un male, che ne derivano.
L’ambientazione è quanto di più cupo si possa immaginare: una vecchia magione, con una storia tragica, che viene trasformata in collegio per signorine. Ma se pensate che il problema siano gli spiriti dei precedenti abitanti, siete completamente fuori strada.
La protagonista, Kit, è un’adolescente tranquilla, come lo può essere un’adolescente, piazzata dalla madre in quell’oscuro collegio perché in partenza per il secondo viaggio di nozze, sei mesi in Europa.
Dunque una ragazzina sola, orfana di padre, che può sentirsi a buon diritto abbandonata, si trova in un collegio frequentato da quattro ragazze in tutto e con tre insegnanti per niente rassicuranti. La descrizione dell’edificio è fatta per trasmettere alla lettrice e al lettore tutta l’inquietudine possibile: luci tremolanti, scricchiolii, porte che si chiudono solo dall’esterno.
Se le giornate hanno una parvenza di normalità, è la notte il momento in cui i peggiori incubi si scatenano. Sogni strani perseguitano il sonno delle ragazze, che al mattino si ritrovano con inusitati e improbabili talenti artistici. A rafforzare il senso d’inquietudine, apparizioni negli specchi, echi di parole. Kit ci mette poco a comprendere che qualcosa non va. Cerca in tutti i modi di mettersi in contatto con la famiglia e con l’amica del cuore, ma senza successo, è prigioniera della casa e dei suoi misteri. Pian piano si comprende il motivo per cui sono state scelte quelle ragazzine: sono potenzialmente delle medium, capaci di ricevere i messaggi da artisti del passato, consentendo loro di creare ancora e alla perfida direttrice di arricchirsi con i presunti capolavori ritrovati.
Tralascio l’inevitabile, e dovuto, finale catartico, che sta tutto dentro la tipologia del genere horror. E’ evidente che qui davvero sono presenti tutti gli stilemi del genere: la casa, che racchiude in sé i segreti dei suoi abitanti; e come non ricordare la ‘Casa degli anni scomparsi’, di Barker,  dove in realtà si gioca con le segrete aspirazioni dei bambini. Gli inquietanti abitatori, che nascondono sotto la rispettabilità finalità abbiette. La dimensione claustrofobica: un luogo da cui non si può scappare, che è la casa, ma anche la dimensione del sogno, involontaria e incontrollabile.
Infine la liberazione, che implica, trattandosi di un romanzo per ragazzi, la giusta punizione dei cattivi.
Come ho detto sopra, è un esempio di narrativa di genere, senza mezzi termini nel territorio delle storie di paura, in cui le presenze inquietanti prendono vita e si impossessano delle malcapitate. Non vanno cercati altri significati, se non la motivazione, più che legittima, di giocare con la paura, con i limiti, in termini di tematiche e di linguaggio, che sono necessari per un pubblico di lettrici e lettori ancora molto giovani.
Se sicuramente possiamo apprezzare maggiormente storie più articolate, più ‘letterarie’, con maggiore approfondimento psicologico, basti pensare a ‘Il nido’, di Oppel, dobbiamo ricordare sempre che nella narrativa di genere è proprio la corrispondenza ai canoni che più attira gli appassionati e le appassionate. Solo la dimestichezza con altre letture, con tante letture di tutti i tipi, può dare gli strumenti per distinguere buona e mediocre letteratura, letture che lasciano il segno o letture che vengono presto dimenticate.
Senza implicazioni psicologiche di grande rilievo, questo romanzo alla fine è un romanzo d’evasione, che si legge d’un fiato, con un’autrice che dimostra grande mestiere nel tenere in piedi la trama. Non è poco.

Eleonora

“Dark Hall”, L. Duncan, Mondadori 2018


lunedì 23 luglio 2018

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


BUONA NOTTE! BUONA NOTTE!
 
Gabbiano più gabbiano meno, Silvia Borando, Marco Scalcione
Minibombo 2018
A taaavola!, Michael Escoffier, Mathieu Modet (trad. Federica Rocca)
Babalibri 2018



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)

Sono due le cose che tengono assieme questi libri: il tema e il registro.
Nel primo caso siamo di fronte a una storia di gabbiani (più un ippopotamo e un alligatore). Uno stormo di quattordici gabbiani che, in mezzo all'acqua, si accalcano su un piccolo frammento di superficie all'asciutto. Ed è proprio la calca che spinge uno di loro, il più individualista di tutti, a 'migrare' un metro più in là su una seconda collinetta all'asciutto. Staccarsi dal gruppo non è mai un atto che passa sotto silenzio: merita da parte di chi lascia una certa forza di volontà e robuste motivazioni e da parte di chi resta è inevitabile quanto meno lo sconcerto. Il gabbiano che sceglie di separarsi non si limita a prendere la sua strada, ma piuttosto ci tiene a far sapere ai tredici rimasti, che lo guardano basiti, quanto lui finalmente stia meglio lontano da loro...


Nel secondo caso l'ambientazione è meno esotica: una casa all'ora di pranzo con un bambino svogliato a tavola e una mamma insistente con una spiccata dimestichezza con le fiabe...se si tiene che conto che è in grado di evocare lupi e orchi, come se nulla fosse.


Qual è dunque il tema che li tiene insieme? Le piramidi alimentari all'interno di un ecosistema. Sono due esempi di come in natura chi è sopra nella gerarchia alimentare si mangia che è più in basso, più piccolo, più debole. Con una sola piccola variabile data dal livello di intelligenza dei soggetti in questione. Un gabbiano pieno di sé e non proprio furbo soccombe tra le fauci di un alligatore, mentre i suoi compagni più prudenti e attenti si salvano. E un bambinetto furbo mangia di più di un lupo e di un orco che, sebbene potenzialmente pericolosi, rimangono a bocca asciutta...
Spetta comunque al secondo elemento comune, ovvero al registro, il merito più grande di questi due titoli. In entrambi i casi si è di fronte a un certo gusto per la cattiveria, tout court. Quella cattiveria che radica in alcune inesorabili leggi della vita. E che quindi ha dalla sua, non la gratuità, ma la necessità, ovvero la verità.


Sebbene solitamente tenuta a debita distanza nei libri per bambini così piccoli che, si crede, necessitano solo di rassicurazioni sul fatto che il male non esiste, sul fatto che nessuno muore mai, trova libero sfogo nei libri di alcuni autori che sembrano infischiarsene talvolta di certe 'delicatezze' nei confronti dei più piccoli. Silvia Borando è una di questi (suo per esempio Apri la gabbia!), al pari della consolidata coppia di crudeli francesi Escoffier/Maudet (Buon giorno postino!, Babalibri 2012).
Autori spesso sintonizzati nel raccontare storie con finali tutt'altro che lieti, ma, al contrario, inesorabilmente autentici. Lupi che fanno fuori vari animali in attesa di essere visitati dal dottore oppure serpenti che, a terrario aperto, inghiottono interi plotoni di innocui animaletti.


Questo genere di libri, lasciati spesso sugli scaffali da una certa censura esercitata da parte dei genitori, sarebbero invece tanto necessari quanto amati dai loro piccolissimi utenti.
In Svezia, 10.000 copie vendute di un libro che racconta con sole 94 parole una tra le più lugubri tragedie shakesperiane in cui, come è giusto che sia, muoiono tutti. E siccome non si può lasciare il piccolo lettore solo di fronte a tanto, con buona pace dei genitori, a chiusa del libro si legge un rassicurante: Tutti morti. Buona notte! Buona notte! 


Sogni d'oro!

Carla

venerdì 20 luglio 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


IL RITORNO DI REBECCA RAFFERTY


Ritorna il diario della quattordicenne Rebecca, che avevamo lasciato nel libro precedente, ‘La mia vita secondo me’, alle prese con l’inizio della strepitosa carriera di una band di ragazzine, e con l’inizio di un flirt con il ragazzo dei giornali, non a caso detto Paperboy.
Solo che, all’inizio di questo nuovo romanzo, ‘La mia vita secondo me 2. Il nuovo diario di Rebecca Rafferty. Nuove regole!’, le cose non sembrano essere andate poi così bene. Il ragazzo del cuore è emigrato con la famiglia in Canada e a quanto pare non c’è modo di superare il lutto di questa forzosa separazione. Se non bastasse, Rebecca e le sue amiche del cuore, Cass e Alice, hanno deciso di partecipare alla sfarzosa festa di compleanno della nemica di sempre, Vanessa, anche in questo caso inserita in un reality per adolescenti.
A completare il disastro, Alice, nel corso della festa, si frattura il polso e quindi niente prove con la band. In un momento in cui tutto sembra volgere al peggio e la routine quotidiana sembra far affondare tutto nella noia, arriva un’iniziativa della scuola: si farà uno spettacolo, un musical ispirato a Mary Poppins.
Fervore di preparativi, nuovi incontri, momenti di esaltazione che si alternano a delusioni. Alla fine di questi mesi difficili, Rebecca è un po’ più grande, ha capito che la storia con Paperboy è finita e questo non è una tragedia, così come ha capito che non sempre le fiammate di entusiasmo per una persona sono destinate a durare. Ma non c’è solo l’amore a interessare questa ragazzina e le sue amiche: c’è il talento, il voler fare cose importanti seguendo le proprie passioni; c’è il mettersi in gioco e provare a spostare l’asticella un po’ più in su.
I romanzi dell’irlandese Anna Carey hanno il grande pregio di coniugare la leggerezza con uno sguardo sereno sull’adolescenza, senza mai scadere nella banalità. A fronte di romanzi certamente più complessi e spesso incentrati su tematiche difficili, spesso troviamo produzioni seriali discutibili, che appassionano le preadolescenti perché ‘parlano d’amore’. Il risultato è ben triste, quindi la ventata di ironia che trasmettono i diari di Rebecca è una boccata d’aria fresca, una sana immersione in una dimensione ‘da ragazzine’ con una buona dose di realismo, ma senza sottolineature drammatiche.
Lo stile brioso, le battute che si susseguono a ritmo serrato fanno di questo libro una salutare lettura estiva.
Per farmi del male, e perché vorrei capire cosa frulla nella mente delle ragazzine, prometto che in agosto mi leggerò due o tre bestseller formato teenager, proprio quelli che vendono copie a centinaia.
Vi farò sapere.

Eleonora

“La mia vita secondo me. Il nuovo diario di Rebecca Rafferty. Nuove regole!”, A: Carey, Edt Giralangolo 2018



mercoledì 18 luglio 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


L'ORSETTO SUL CARRETTO

L'isola dei giocattoli perduti, Cynthia Voigt, Fabio Sardo
(trad. Alessandra Orcese)
Giunti 2017


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Lui era una palla marrone di orso. Aveva una testa marrone di pelo, con due bottoni lucidi al posto degli occhi, un tozzo musetto marrone e piccole orecchie marroni. Non aveva collo e aveva le braccia corte e un pancino rotondo e marrone, e aveva perso le gambe tanto tempo prima."

Lui è Teddy. L'orsetto sul carretto. L'orso pieno di domande, l'orso filosofo, l'orso curioso. Ad evidenza, il catalizzatore di un gruppo eterogeneo di giocattoli scompagnati che vivono sulla stessa isola: Umpah, un elefante maschio, molto materno e con la passione della cucina, Sid, un serpente sempre affamato dei muffin di Umpah, Peng, il pinguino di legno solitario e introverso, Zia, una maialina con la passione per il rosa e Prinny, anch'essa porcellina dai mille desideri, Mister C, un coniglio misterioso e Clara una bambola con la vocazione al comando.
Intorno a questo orso che non può muoversi autonomamente ruotano tutti gli altri. Spetta a lui, nonostante l'impossibilità di deambulare, il merito di dare l'avvio a tutte le avventure. È Teddy che muore dalla voglia di vedere cosa c'è al di là dei meli e che organizza una spedizione. È Teddy che decide di andare al mare perché Prinny impari a nuotare. 


Qualsiasi novità si presenti è a Teddy che va riferita, perché Teddy è quello più adatto a pensare. Quando invece si tratta di cibo entra in gioco Umpah, e quando c'è da organizzare una festa a sorpresa è Prinny che prende il comando. A Zia invece spetta il compito di impersonare la voce della prudenza. A Peng il ruolo del Bastian Contrario e a Mister C quello dell'inafferrabile. A Sid il magnifico ruolo di tenere assieme le fila di questo scombiccherato ma affiatato gruppo. Tutto bene fino all'arrivo di Clara, bambola perduta. Per indole sembra nata per fare la regina. Il suo compito, fortunatamente effimero, è quello di mettere regole che ne garantiscano la supremazia. Dura poco il suo regno. Rientrata nei ranghi, Clara torna a essere una di loro.
Giusto in tempo per una grandiosa festa a sorpresa. In onore di chi?

In una galleria di caratteri molto ben definiti e in una semplice sequenza di fatterelli, Cynthia Voigt costruisce un racconto piacevolissimo. Cosa lo rende tale? In primo luogo il tono sommesso, sulla scia del canone classico che ricorda e volutamente allude a Milne, e che dà vita a una storia fatta soprattutto di contesto e personaggi, ovvero di atmosfere, spesso piovose, e caratteri, spesso malinconici. In secondo luogo lo spunto di partenza, ovvero il giocattolo perduto: un topos letterario che ha precedenti illustri a partire dal bellissimo Mi sono perso di Gregoire Solotareff e Olga Lecaye, madre e figlio nonché giganti dell'albo illustrato d'autore (Babalibri 2003). O ancora Oh, com'è bella Panama di Janosch (Kalandraka, 2013).


A parte questo, il giocattolo, per giusta perduto, esercita necessariamente un ascendente sull'emotività dei lettori, grandi o piccoli che siano. E anche qui non si fa eccezione.
Terzo motivo di apprezzamento è certa sapienza, scevra da ogni retorica e stereotipo, nel voler affidare a una bambola o a un orsetto, o a un pinguino di legno pensieri e ragionamenti piuttosto 'umani' su cui eventualmente, a libro chiuso, si può continuare a riflettere. Quarto, ma non ultimo, motivo di apprezzamento risiede nella doppia traduzione che del testo di Voigt hanno fatto rispettivamente Alessandra Orcese, a parole, e Fabio Sardo, con i sui disegni. Da una parte c'è la scorrevolezza di un testo che sa essere esatto, senza nessun timore di apparire complesso. Anzi facendosene, giustamente, vanto. E dall'altra c'è un immaginario classico e soffice, e come altrimenti?, che trova forma e spessore materico: una per tutte le piegoline delle orecchie di Umpah.

Carla

lunedì 16 luglio 2018

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


VERDITA’


Perdonatemi per il pessimo neologismo, che vuole solamente indicare un filo conduttore cromatico fra due albi ambientati entrambi in un bosco.
Sarà la calura estiva, che si preannuncia lunga, ma l’evasione virtuale in questi boschi di carta è un sollievo temporaneo, ma confortante.
In un caso, ‘Una baita per due’, di Loic Froissart, pubblicato da Terre di mezzo, siamo proprio nel pieno di una vacanza di un giovanotto che si reca per un breve periodo nella sua baita in mezzo al bosco. Tavole a doppia pagina ci raccontano le giornate felici, passate ora a leggere un libro in veranda, ora a a scattare foto alle farfalle, oppure a fare una bella passeggiata con tuffo finale in un bel laghetto con annessa cascata. Solo che il nostro protagonista non è solo, c’è un occhiuto orso che lo segue passo passo; ne ha ben donde, è l’altro che occupa, per il resto dell’anno, la baita, coltivando le stesse abitudini dell’ospite umano. Sembra molto incuriosito da questa invasione, ma preferisce aspettare in disparte che l’ospite, o il padrone di casa, a seconda dei punti di vista, se ne vada.


Fra il blu notte del cielo e il verde prorompente che occupa buona parte delle pagine, punteggiato qua e là da bruchi, farfalle, qualche fiore, emerge la perfetta solitudine della baita rossa, piccola, comoda, adatta a persone solitarie. Come un orso.


Se nell’albo di Froissart è divertente scovare i piccoli dettagli che punteggiano il verde della foresta, così come l’arte mimetica del grosso orso, in ‘Le scarpe della volpe’, di Cristiana Valentini e Maria Moya, per Zoolibri, l’arte di saper guardare è indispensabile. A metà strada fra un albo illustrato e un cerca-trova, vede un filo conduttore, la sorte di un paio di scarponcini rossi, ma forse il vero nocciolo del racconto riguarda le volpi: infatti il gioco che le autrici condividono con i giovani lettori e lettrici è quello di sparigliare le carte ad ogni giro di pagina. Se cominciamo con un classico c’era una volta e focalizziamo l’attenzione su due orsi, un riccio e un coniglio con una scarpa, ci dobbiamo subito ricredere perché forse le scarpe sono due. E l’altra dov’è? Le tavole si susseguono descrivendo anche qui un bosco, questo però popolatissimo di personaggi che entrano ed escono di scena. Trovi una mamma cinghiale con sei cuccioli in una pagina, ma in quella dopo dorme dietro ad un cespuglio con solo due cinghialini; e gli altri quattro? Ma alla fine di questa rincorsa perenne di tanti personaggi, c’è la storia di due volpi che mettono su famiglia e chiudono il cerchio di questa movimentata storia boschiva.


Si tratta di libri divertenti, il secondo decisamente orientato verso il gioco dichiarato con il lettore, mi ha ricordato un po’ ‘Tortinfuga’, il primo più basato sulla surreale convivenza non dichiarata fra l’orso e l’umano. Sono letture leggere, che possono allietare le giornate afose di lettori e lettrici propensi alla risata, a partire dai cinque anni.



Eleonora

“Una baita per due”, L. Froissart, Terre di mezzo 2018
“Le scarpe della volpe”, C. Valentini e M.Moya, Zoolibri 2018









venerdì 13 luglio 2018

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


LE FACCE DELLA MEDAGLIA

 Zagazoo, Quentin Blake (trad. Sara Saorin),
Camelozampa 2016
Michael Rosen's Sad Book, Michael Rosen, Quentin Blake,
Walker Books 2011



ILLUSTRATI

Considero questi due libri inseparabili. A tenerli insieme non è solo l'illustratore, quindi un segno unico riconoscibilissimo come quello di Quentin Blake, ma qualcosa di molto più profondo.
Sono, per meraviglia del destino, le facce di una stessa medaglia. Ognuno porta in sé qualcosa dell'altro pur non toccandosi.
Di quale medaglia si tratti, mi pare subito evidente: la vita, nelle sue due facce.
Da un lato Zagazoo è un inno gioioso a un nuovo bambino che arriva: pieno di sottile ironia, percepibile al meglio se si è già grandi, racconta un'esistenza, o meglio due, ovvero tre che si intrecciano per fare strada assieme. Un libro pieno di colore, speranza, allegria. Due giovani pieni di entusiasmo si vedono recapitare un pacco e all'interno c'è un bambino rosa che immediatamente ne catalizza ogni intenzione, ogni pensiero, ogni momento...


Il bambino cresce e, per ogni fase, ironizza Blake, c'è un animale corrispondente: pulcino di avvoltoio per il suo pianto stridente, poi passando il tempo, per le goffate fatte in casa diventa elefante e poi, passati altri anni facocero fino ad arrivare a essere un bel giovanotto, poi irascibile drago nell'adolescenza fino a essere cortese e premuroso con i suoi genitori anziani, sul finire della storia. Ecco, se fosse possibile immaginare che il personaggio di Zagazoo esca dal suo libro per andare in quello di Michael Rosen, quello stesso giovane uomo potrebbe impersonare Eddie, il compianto figlio di Michael Rosen. Il destino che Blake ha pensato per lui sarebbe diverso.
Mentre dall'altro lato Michael Rosen e sua moglie avrebbero sperato per loro di entrare dentro Zagazoo in modo da aspettarsi un destino da pellicani...ma la medaglia è fatta così.


In mezzo, come legante delle due facce di questo unico oggetto che è la vita, c'è quel colosso di Quentin Blake. Da un lato racconta una storia tutta sua, come spesso accade, concepita sul margine tra realtà e immaginazione. Come l'inarrivabile La nave d'erba anche in Zagazoo si parte da un punto di realtà per poi manipolarlo fino ad arrivare all'assurdo. E, in fase finale, il sapore del meraviglioso, non si sa neanche come, continua a rimanere in bocca al lettore. E nulla è più come prima.
Siamo di fronte al 'tempo sospeso' di una narrazione, alla forza del racconto.
Dall'altra parte c'è lo stesso Blake, il suo segno pieno di espressione, lo stesso ritmo variato e movimentato dall'alternarsi di testo e immagini che si mischiano. La stessa tecnica. Solo in una cosa differisce: in Zagazoo c'è uno spazio bianco in cui tutto può espandersi, in Michael Rosen's sad book quella cornice ha la missione di 'chiudere' entro un margine chiaro a tutti.


Il tono della storia è, ovviamente, completamente un altro.
In primo luogo colpisce la lucidità del racconto di Rosen che riesce a mettere nero su bianco il suo dolore nei confronti della morte. Con la delicatezza di un vero amico, Blake dà forma alla tristezza che si alterna alla gioia temporanea di un ricordo. Con silenzioso rispetto si ferma con l'eloquente vignetta bianca quando deve raffigurare l'assenza, il vuoto lasciato, cui Rosen allude. 


È un gran libro e forse anche qualcosa di più.
La cosa che però colpisce maggiormente è la capacità di raccontare per immagini con il medesimo 'armamentario' figurativo tanto la gioia, quanto il suo rovescio, la tristezza; tanto la vita quanto il suo contrario, la morte. La voce, profonda, è la stessa. 


Solo i migliori lo sanno fare.

Carla

Noterella al margine. A chi volesse cimentarsi suggerirei la lettura di entrambi, nella dovuta sequenza, con ragazzini e ragazzine. Il contrasto il più delle volte ha il merito di portare luce dove c'è ombra e ombra dove c'è luce. Se ne potrebbe poi parlare per giorni e giorni...

mercoledì 11 luglio 2018

FAMMI UNA DOMANDA!



IL VIAGGIO DEL BEAGLE


Dopo una lunga pausa, ricompare in libreria la collana Celacanto, che l’editore Laterza dedica ai ragazzi e alle ragazze curiose. Titoli importanti, e ne cito solo alcuni, come ‘Spartaco’  , ‘Portico d’Ottavia’ , e ‘Lisette e La scoperta dei dinosauri’  hanno segnato una significativa innovazione nei libri di divulgazione storica, sposando l’intento divulgativo con la forza espressiva dell’illustrato.
Questa sperimentazione ha incontrato una certa resistenza nel pubblico, abituato a separare i due ambiti. La collana ha poi cambiato formato e costo, mantendeno però le sue caratteristiche.
Ora arriva in libreria ‘Il viaggio di Darwin’, di Giacomo Scarpelli, già coautore di ‘Lisette’, con le illustrazioni di Maurizio Quarello.
Quale tema più affascinante del viaggio compiuto da Darwin a bordo del brigantino Beagle?
L’autore, storico e filosofo della scienza, si mette nei panni di Simon Covington, detto Syms, il mozzo addetto all’assistenza del viaggiatore, il naturalista Charles Darwin. Siamo nel 1831 e le spedizioni scientifiche hanno una grande importanza non solo dal punto di vista naturalistico, ma anche geografico, ridefinendo dettagliatamente i confini del mondo conosciuto. Darwin era all’epoca poco più che ventenne, ma già animato da molteplici quesiti riguardanti la variabilità del mondo naturale. Nei cinque anni di viaggio intorno al mondo, dalle coste del Sud America alle Galapagos, all’Oceania e poi all’Asia e all’Africa, raccoglie moltissimo materiale e scrive il reportage conosciuto come ‘Viaggio di un naturalista intorno al mondo’. Nel 1859, proprio partendo dalle osservazioni compiute in quel viaggio, pubblica ‘L’origine delle specie’, il testo fondamentale dell’evoluzionismo, che segnava la fine del mondo linneano della fissità delle specie, così come Dio le aveva create, e della scala naturae, che poneva al vertice di tutta la natura l’essere umano.


Stiamo dunque parlando di qualcosa di fondamentale non solo nella storia della scienza, ma anche nella percezione che l’umanità ha di se stessa e del suo posto nel mondo. Per questo motivo è stato così discussa da risultare, per alcune religioni, ancora oggi inaccettabile.
Con un peso così ponderoso, la storia del viaggio del Beagle viene invece affrontata col tono leggero dell’avventura, focalizzando solo alcuni passaggi chiave, come la visita delle isole Galapagos, popolate da animali presenti solo in determinate nicchie ambientali. Ad esempio, in isole poste a poca distanza l'una dall'altra esistono specie di fringuelli diverse.
Da qui l’intuizione della variabilità delle specie in natura, poi sottoposte alla selezione naturale, che consente la sopravvivenza solo del più adatto. E Syms, in tutto questo? Il ragazzo segue con curiosità ed aiuta il giovane naturalista a raccogliere ed ordinare i reperti, in compagnia di un piccolo armadillo, raccolto nella pampa sudamericana. E, d'altra parte, questo è un aspetto affascinante della storia della scienza, del suo lavoro anche 'artigianale', fatto di raccolte di reperti, comparazioni meticolose e disegni, per altro di rara bellezza.
Quarello segue passo passo la spedizione, mostrandoci l’avventura, ma anche il paziente lavoro di classificazione e mostrando alla fine quello che è il nocciolo scandaloso della teoria evoluzionistica: siamo anche noi animali e condividiamo molto con i nostri parenti più prossimi, le scimmie antropomorfe.
Può essere questa l'occasione, con un testo stimolante e avventuroso, per riproporre una collana che non ha incontrato la fortuna che meritava.

Eleonora

“Il viaggio di Darwin”, G. Scarpelli, M. Quarello, Laterza 2018




lunedì 9 luglio 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


NEL CUORE DELL'INFANZIA
 
Il Club della Via Lattea, Bart Moeyaert (trad. di Laura Pignatti)
Sinnos 2016


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Quella notte, al buio, Max mi disse che non c'era posto per me nel suo letto. Io avevo appena attraversato la stanza e non avevo il coraggio di girarmi o di tornare indietro.
C'era sempre il rischio che mi perdessi nel cuore della notte.
Era quel momento in cui il giorno passato non c'era più e il giorno dopo non era ancora incominciato. Non avevo la più pallida idea di come lo sapessi, non avevo la più pallida idea se fosse vero, ma era meglio non rischiare."

Se ci fossero dubbi: Max è il maggiore, Oscar è il minore dei due fratelli.  Tre ragazzini, Oscar Emma e Max in un'estate strana: passata a fare 'niente'. Un gruppo di tre è di fatto già un club, e quel tetto di capannone dove si incontrano tutti i giorni è la loro clubhouse. Controllare la gente che passa lungo la Via Lattea all'incrocio con via delle Rose è la loro attività di rilievo, nella fattispecie verificare che il vecchio bassotto soprannominato Dottor Jekyll compaia all'angolo nel giusto orario, seguito dalla altrettanto vecchia padrona soprannominata Nancy Sinatra...
Questa è quella bella noia estiva, dietro cui si nascondono però altri malesseri: una mamma lontana per pensieri ingarbugliati, una zia che sta per morire. Per cacciarli lontani, i pensieri hanno bisogno di altri pensieri e Jekyll e Nancy sono un'ottima scusa: da un giorno all'altro, sono spariti nel nulla? E perché proprio ora che quei tre hanno scommesso su chi per primo dei due morirà?

E' un fatto: ci sono autori che sanno raccontare l'infanzia meglio di altri.
Bart Moeyaert è uno di loro. Il racconto attento di soli due giorni di vita di questi tre ragazzini e di tutto il mondo che li circonda può distendersi senza fretta in poco più di un centinaio di pagine.
Ed è un piacere assoluto leggerlo, per merito anche di una sensibile traduzione di Laura Pignatti, sua voce italiana.
Con la stessa onestà che possiede un videoregistratore, Moeyaert racconta e sembra quasi sparire: è talmente tanto nascosto dietro il suo racconto, che chi legge sente solo la voce del piccolo Oscar, Os, segue i suoi dialoghi frequenti e spesso trepidanti e soprattutto i suoi bellissimi monologhi interiori. E in questi riconosce pezzi della propria infanzia o di quella dei propri figli, alunni, nipoti. Insomma di altri bambini veri. Un universo infantile perfettamente centrato in una porzione di realtà in cui agiscono e si intersecano piccoli nuclei affettivi, specchio di una società complessa: un padre che lavora troppo e una madre fuggitiva che stanno cercando di capire come salvare il loro matrimonio, una famiglia malinconica per una morte incombente, una coppia di emigrati che si arrangiano con una lingua non loro e con un lavoro 'ai margini', una madre e una figlia che vivono lontane dai modelli convenzionali. Sono un pugnetto di personaggi che costituiscono il piccolo mondo relazionale di questo ragazzino.
Ed è forse qui la grandezza maggiore di Moeyaert, quella di aver saputo capire che il mondo di un bambino si può circoscrivere sufficientemente anche in un incrocio di due strade e in relazioni interpersonali che si contano sulle dita di una mano.
La seconda sua abilità, che condivide con altri autori comparabili e olandesi come lui e mi riferisco a Kuijer, sta nel saper leggere e ricostruire in ambito letterario la società con uno sguardo laico e maledettamente onesto con il risultato di non scalfire mai la complessità della vita reale.
La terza sapienza che mi sento di attribuirgli ha a che fare con la prima.
A mio parere, Bart Moeyaert è allo stato attuale dell'arte uno dei migliori narratori di storie di fratellanza. Con la delicatezza e l'attenzione che sempre distingue la sua ricerca introspettiva dei personaggi, spesso si è soffermato sulla specifica relazione che esiste tra ragazzini e ragazzine consanguinee. Visto che in passato, ha già avuto modo di mettere a fuoco il tema, con Fratelli (Rizzoli, 2011) di impronta autobiografica, e ha convinto molti suoi lettori e lettrici, me compresa, si conferma qui che sull'argomento abbia avuto modo di ragionarci a lungo, fin da quando aveva quattro anni....

Carla