mercoledì 4 dicembre 2024

UNO SGARDO DAL PONTE (libri a confronto)

ASCOLTATE CON GLI OCCHI 

Avete mai guardato un video senza audio? 
Potrebbe sembrare una richiesta strana, ma provate…silenziate il ballerino, abbassate a zero l’orchestra, chiudete l’audio lasciando il batterista suonare. 
Guardate, guardate soltanto. Non accadrà subito. Voi però abbiate pazienza, permettete al cervello di mettersi in moto, di recuperare ciò che sa per compensare quel dato che tanto vi ora manca: il suono. Lasciate che arrivi…ascoltate! 
Il gradiente sonoro delle immagini, ovvero tutti quegli elementi rilevabili dagli occhi che hanno la potenzialità di descrivere visivamente quello che percepiamo con l’udito, viene ampiamente sfruttato nei libri dei piccolissimi. 
Prendiamo ad esempio, quel piccolo capolavoro di interdipendenza suono/immagine: L’uccellino fa…
La sua struttura è apparentemente semplice: sulla pagina di destra – immediatamente visibile - un’immagine con altissimo gradiente sonoro…


sulla pagina di sinistra la descrizione letterale del suono, fatta con quel particolare segno che è la scrittura… 

In copertina sta il detonatore, la richiesta che bambini e bambine sentono porre almeno una volta nella vita: 


Segue una carrellata copiosa di figure: ognuna si impone allo sguardo come una domanda la cui risposta è un suono, un verso, un rumore. Se il collegamento non è immediato, il testo fornisce lo spunto per un piccolo ampliamento di indagine con cui connettere ciò che non sembra immediatamente riferito ad un suono a un elemento che sta immediatamente nelle vicinanze, e che invece risuona…


Compreso il gioco però, ben presto il testo può essere by-passato, ed è possibile lasciarsi andare alla riesumazione attiva del rumore rappreso nell’immagine, in un accumulo progressivo che scava, con divertimento e sorpresa, attorno all’esperienza simultanea di osservazione e riproduzione. Si può individuare così un tracciato esperienziale da osservare per capire come deve essere accaduto, che abbiamo intrappolato il suono nelle lettere, nelle note…deve essere stato su una strada lastricata di sublimi sinestesie che si è intrecciato il doppio legame tra un segno muto e un suono senza corpo. 


L’uccellino fa… è infatti una sorta di abbecedario portato all’ennesima potenza, che insiste figura dopo figura sull’analisi attenta delle combinazioni sonore necessarie al successivo sviluppo della parola. Esso precede il meccanismo della lettura, e affonda le radici, per il suo funzionamento, in un territorio di corrispondenze antico, nell’infinito repertorio di lallazioni che trovano proprio nei versi degli animali – anche quelli mai visti o sentiti dal vivo – terreno fertile per una restituzione piena e viscerale dell’informazione contenuta nell’immagine. Qui hanno proliferato le filastrocche, le ninne nanne, le onomatopee. Le immagini contengono suoni e rumori facilmente riproducibili: si attinge al conosciuto, e anche se nella regia di Soledad Bravi non mancano l’ironia e le sorprese, con immagini enigmatiche e interlocutorie che si dispongono a diverse chiavi di interpretazione, è lì che si scava: nel domestico, nel familiare, nel culturalmente codificato. 



Non riesco mai a non meravigliarmi della potenza intrinseca che questo piccolo albo dalle forme compatte possiede di far deragliare i propri lettori, frantumando la barriera silenziosa che ci separa dalle immagini per legittimare la capacità spontanea di relazionarsi con gli elementi “sonori” dell’immagine per fare rumori. Tuttavia, se apparentemente questo gioco sviluppa un movimento dal dentro al fuori, stimolando rumorosissime letture condivise, esso paradossalmente irrobustisce la relazione interna di corrispondenza segreta tra immagine e suono. Queste immagini – con la loro preminenza solida, la semplicità del tratto, la prossimità piatta al simbolico e al rappresentativo - effettuano sulla questione dinamica e fisicamente estemporanea della vibrazione – che è onda, movimento, percezione immediata e a tutto tondo – quell’incantesimo di sparizione e assorbimento che in un passo successivo condurrà al grafema. Tocca poi a noi ravvivare, gonfiare… permettere all’immagine di risuonare per poter ascoltare – letteralmente – con gli occhi, ed è questo che accade nell’albo SDENG BUM SPLASH! Il grande libro dei rumori.


Si tratta di una tesi di laurea sull’interdipendenza tra l’immagine e il suono, un’indagine quindi approfondita a proposito di quegli elementi grafici e visivi che possono essere sfruttati per trasferire nel visivo ciò che entra dalle orecchie, ma anche al contrario, che dal visivo restituiscono l’elemento sonoro. Nell’introduzione l’autore usa parole semplici (le uniche che incontreremo per un albo che tuttavia è improprio definire silente) per circoscrivere il cuore della questione: “ Riesci a sentire quello che vedi? Sono tutte cose che avrai sentito da qualche parte… qui però, in via eccezionale, i suoni arrivano alla tua testa non attraverso le orecchie, attraverso gli occhi…” Che l’asticella dell’indagine proposta si alzi di molto lo si capisce a partire dai soggetti rappresentati: un cavallino al trotto e una pallina da ping-pong fatta saltare sulla racchetta, una gru che distrugge un palazzo e il cucchiaino che rompe il guscio di un uovo alla coque… 



Per mettere il lettore nelle condizioni di recuperare quei rumori che spesso nemmeno sa di aver ascoltato e incamerato, Benjamin Gottwald procede ordinatamente attraverso l’accumulo di abbinamenti contrapposti che giocano con l’interdipendenza di tutti i sensi, con narrazioni e piccole sequenze che permettono di mettere a fuoco il gradiente sonoro anche minimo contenuto nelle immagini. 



Vengono accostate situazioni analoghe per permettere l’individuazione di timbri simili, oppure, si favorisce la ricostruzione procedendo per contrasto di volume, con ampio utilizzo delle espressioni del viso e delle linee cinetiche di provenienza fumettistica, facendo grande affidamento sui movimenti delle persone – e quante ce ne sono! – e delle cose… 



di sinestesia per sinestesia, si va a ripescare il dato sonoro che abbiamo vissuto e sistematicamente eluso da un ascolto consapevole, nell’l’esperienza di tutti gli altri sensi.
 


Il Grande libro dei rumori è veramente grande. Per ascoltarlo non ci si può limitare a un riflesso condizionato, è necessario osservare, osservare meglio, recuperare, ricostruire, compensare utilizzando una memoria a cui non si ricorre consapevolmente ma che è sempre a disposizione per rendere tridimensionale l’esperienza del mondo: i suoni che abbiamo ascoltato, quelli che ci hanno attraversato senza che ce ne siamo accorti, le mille voci del mondo che ci avvolgono incessantemente, le loro caratteristiche qualitative, estetiche, emotive… 



SDENG BUM SPLASH! ribalta la gerarchia consueta e fa dell’immagine un vettore capace di sviluppare una abilità di ascolto rinnovata, improvvisamente pronta a captare tutto il flusso informativo che, anche nelle illustrazioni e nelle figure, costantemente investe le nostre orecchie e a cui spesso, proprio per la sua onnipresenza a 360 gradi, è difficile prestare la dovuta attenzione. Questo albo chiede tempo per consentire l’emersione della memoria sonora e farne conoscenza, chiede tempo affinché ci si accorga che quella che sembra una semplice esperienza di lettura è in realtà una nuova capacità di ascolto, una esperienza che non si esaurisce tra le pagine, ma continua fuori, nella realtà, con la recuperata consapevolezza di una percezione sonora improvvisamente riattivata…



E se è vero come è vero che la capienza dell’ascolto è fatta dall’ascoltatore, allora dopo la lettura di questi albi il mondo intorno a noi sarà più grande. E ora ditemi…avete poi provato a guardare quel video? 

Giorgia

 “L’uccellino fa…” Soledad Bravi, (trad. Federica Rocca), Babalibri 2005
“Sdeng Bum, Splash! Il grande libro dei rumori” Benjamin Gottwald, Terre di mezzo 2022


lunedì 2 dicembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TANTO RUMORE PER NULLA 

Il Natale sono io!, Olivier Tallec (trad. Tommaso Gurrieri) 
Edizioni Clichy 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Abele l'abete pensa che non vorrebbe crescere qui, all'ombra di centinaia di alberi sinistri, che lo terrorizzano. 
Ha ambizioni un po' diverse dal diventare un armadio. 
E tra l'altro non gli piacciono quei mobili commerciali, costruiti in serie. 
Lui sogna luci e colori. Se solo potesse sentire i suoi rami piegarsi sotto il peso degli addobbi e avere un'enorme stella in cima alla testa... 
Perché Abele ha un unico sogno: diventare un albero di Natale." 

Parafrasando il motto di Luigi XIV, l'etat c'est moi (!), questo piccolo abete, di nome Abele (!) cerca di dare una svolta alla sua carriera di albero: di certo non ha le fisique du role e nemmeno la predisposizione d'animo per diventare un mobile componibile Ikea. Non è neppure credibile che voglia finire come fiammifero, o peggio ancora come bara... 
Abele sogna altro. Già si vede con lucine, decorazioni laccate, una stella sulla testa e nastri colorati che pendono dai suoi rametti, essere il centro dell'attenzione durante la festa più importante dell'anno, almeno nel mondo occidentale... 
Questo suo progetto cozza con la circostanza di essere piantato in un terreno in mezzo a tanti altri abeti come lui. Spostarsi potrebbe sembrare un problema oggettivo, visto che lui è albero, ma in verità con un buon lavoro di scavo delle proprie giovani radici con i rami più lunghi e più bassi, anche quel vincolo si supera. 
Il problema, semmai, viene dopo, quando il natale gli sfreccia letteralmente sotto gli aghi... 

Ho giurato a me stessa che non avrei scritto una riga su libri esplicitamente natalizi prima dell'arrivo di dicembre. Lo considero immorale. 
Questo albo che dell'intero circo natalizio mette a fuoco un solo aspetto, il desiderio di un abete sognatore, è un altro di quei preziosi racconti che Tallec offre ai suoi numerosi e affezionati estimatori. 


A parte lo sguardo affettuoso che dimostra nei confronti dell'abete Abele (!), a parte la qualità del disegno,Tallec fa succedere un altro paio di cose interessanti, anzi tre: da una parte piega la realtà a suo uso e consumo, dall'altro mette fra le righe un suo preciso punto di vista sul natale e sul modo frettoloso e meccanico in cui lo celebriamo, ma accende anche una lucina sulla questione dell'autodeterminazione (di un abete). Cose, queste che mi paiono interessanti a prescindere. Terza cosa: Tallec, come molti altri buoni autori di storie per bambini, non disdegna affatto il piacere di rivolgersi anche ai grandi, quando scrive e disegna. 
Qui come altrove si percepisce la sua volontà di parlare (complice anche il suo sapido traduttore), sia ai suoi lettori sotto il metro e quaranta sia a quelli sopra detta misura. 
Credo dipenda dal fatto che Tallec, come molti altri, quando scrive, scrive. Punto. Non pensando troppo ossessivamente all'età dei propri lettori. 
Torniamo al punto uno: piegare la realtà verso l'assurdo. A parte il gioco di dare a ciascun abete naso e occhi - l'antropomorfizzazione è cosa diffusa nelle illustrazioni dei libri per bambini - Tallec fa un passetto in più. 


Concede ad Abele un know-how non comune per un abete: quello di sradicarsi, come se nulla fosse. L'idea di crescere in mezzo ai suoi simili già adulti, con un futuro prestabilito, proprio non gli piace, quindi Tallec gli affida il superpotere di sradicarsi e di camminare, e poi di correre verso il suo nuovo destino. Perché questa è un po' la questione che attraversa l'intero racconto... In questo scarto totalmente assurdo però non perde l'occasione di disegnare le cose come "dovrebbero essere", ovvero se si osservano le gambette di Abele si noterà un certo irsutismo, dato dalle piccole radicette, ora all'aria. 
Tacerò sulla pallina rossa, e il suo ruolo di oggetto transizionale. 
Il secondo pregio del libro sta appunto nelle due questioni intorno a cui il racconto ruota. La prima ragiona sulle aspettative personali. In questo caso, contrariamente all'abete di Andersen, Abele riesce nel suo obiettivo, con la complicità del suo illustratore, tuttavia la cosa che gli preme è poter scegliere di non crescere come un pollo di batteria, ma godersi il suo momento di unicità e celebrità. 


A onor del vero, con l'abete di Andersen condivide anche un certo senso di insoddisfazione. 
L'abete di Tallec, nello specifico, è molto deluso nei confronti del tanto decantato natale. Tanto rumore per nulla! 
Tuttavia, rispetto al suo più famoso predecessore, il finale che lo aspetta è molto meno lacrimevole. 
 A meno che non si tratti di lacrime dal troppo ridere. 

Carla